Piccoli Bastardi, recensione: lo scontro generazionale di Hyppostyle

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Se un giorno doveste risvegliarvi adolescenti all’interno di un fumetto Hyppostyle, forse dovreste cominciare a preoccuparvi. Nei suoi dieci prolifici anni di avventure, la casa editrice dell’ippopotamo non ha mancato di mettere giovani protagonisti alle prese con storie in cui l’adolescenza diventa un traumatico passaggio esistenziale, visione che ha trovato nuova incarnazione in Piccoli Bastardi.

Dopo avere privato di un futuro una generazione con Blackbox e aver raccontato un mondo privo di nuove vite in La terra senza figli, Hyppostyle ha voluto dare meritatamente fiducia all’idea di Cristiano Delmonte e Francesco Zappardino, che affronta lo scontro generazionale da una prospettiva diversa, ma inquietantemente affascinante.

La Nuova Era

Durante una tranquilla mattinata di lezione, l’anziana insegnante miss Mollypenny è intenta a sopravvivere all’ennesima, faticosa dura lezione con i suoi giovanissimi allievi, sempre più sfacciati e irriverenti. Una faticosa dedizione al suo ruolo che viene infine ricompensata quando, sul suo telefono, arriva un messaggio a lungo atteso: Age as come.

Sul volto della donna, la rassegnazione lascia spazio a una ferina soddisfazione. Con passo sicuro, prima chiude a chiave la porta dell’aula, poi apre la sua borsetta ed estrae un revolver, con cui inizia a massacrare i suoi studenti.

Un’azione non impulsiva, ma premeditata e a lungo attesa, frutto di una scellerata legge che consente, anzi incoraggia, gli adulti a sterminare i bambini, in un massacro collettivo che lascia emergere dei soffocati odi nei confronti dei propri figli. Un pogrom che spinge un gruppetto di temerari e disperati bambini a cercare una via di fuga verso il Canada, attraverso un’odissea fatta di perdite, inimicizie e sanguinosi scontri.

Piccoli Bastardi: tra critica e splatter

Istintivamente, l’idea alla base di Piccoli  Bastardi risulta disturbante e odiosa, ma andando oltre questo impatto epidermico e vedendo l’intento di dissacrante allegoria messo in scena dagli autori si possono ravvisare delle tematiche tutt’altro che impossibili. La chiave di lettura di questa storia è non tanto nelle reazioni dei giovani protagonisti, quanto nelle liberatorie manifestazioni di rabbia degli adulti intenti alla loro eliminazione.

Intelligentemente, Delmonte e Zapparino focalizzano i più stridenti contrasti in due ambienti che appartengono alla quotidianità dell’infanzia: scuola e famiglia. I luoghi in cui Eddy e i suoi compagni dovrebbero essere protetti diventano i posti da scappare più rapidamente, ribaltando completamente la loro percezione del mondo. L’efferatezza e la sadica gioia con cui figure considerate sicure come maestre o bidelli si accaniscono su di loro sconvolge i piccoli protagonisti, comprensibilmente spaventati e incapaci, in un primo momento, di reagire a un simile sconvolgimento della loro routine.

Piccoli Bastardi in questo coglie nel segno, giocando con la sensibilità del lettore, spiazzandolo e non ponendosi limiti in termini di cinismo. Non solo sul piano visivo, dove abbondano scene splatter e profondamente disturbanti, ma sulla caratterizzazione umorale dei personaggi, specialmente gli adulti, che vedono in questa sanguinosa legge l’occasione per vendicarsi di un presunto crimine dei propri figli: aver infranto i loro sogni.

Ogni adulto, nell’adempiere al proprio dovere civile, non manca di concedersi un commento piccato e liberatorio, accompagnato da un’espressione di sadico godimento. Massima incarnazione di questa visione è il rapporto tra la piccola Kelly e il padre, uno dei più ferventi aderenti alla Nuova Era, che attende con ansia di eliminare la figlia, colpevole, con la sua nascita, di avergli impedito di coronare il suo sogno di essere un giocatore professionista di hockey.

Un odio che non è esclusivo appannaggio degli adulti, ma che trova modo di farsi strada anche nei rapporti tra i piccoli fuggiaschi. Rivalità, primi amori e antipatie puerili serpeggiano anche tra i giovani protagonisti, a volte con un’esasperazione a fini di trama che rischia di privare la storia di credibilità, ma non varcando mai quel limite grazie alla lucidità con cui gli sceneggiatori guidano i propri personaggi.

Il mondo di Piccoli Bastardi

Delmonte e Zapparino costruiscono su questi risentimenti quotidiani e credibili un viaggio disperato che tradisce alcune ispirazioni della pop culture, da I Guerrieri della Notte a certe atmosfere di The Walking Dead, inserendo anche degli omaggi a figure reali, come nel caso della comandante Carola Racket, la salvatrice dei giovani protagonisti.

L’interpretazione visiva di Piccoli Bastardi è affidata a Riccardo Farina, che ha il non facile compito di disegnare questo racconto dai toni forti senza sfociare nello splatter più estremo. Pur concedendosi qualche scena particolarmente truculenta, seguendo l’esempio del primo Adlard su The Walkin Dead, Farina non eccede in questi momenti sanguinosi, concentrandosi maggiormente sull’interpretazione emotiva dei personaggi.

Se da un lato è apprezzabile il lavoro di Farina sulle espressioni dei protagonisti, specie nei momenti più intensi, meno convincente è la sua interpretazione della dinamicità, che risulta spesso troppo statica e poco convincente. La presenza di una ritrattistica anatomica non accurata e alcune pecche in fase di prospettiva e proporzioni risultano ulteriormente stridenti, lasciando più di qualche perplessità sul piano visivo di Piccoli Bastardi, nonostante un buon lavoro in fase di colorazione da parte di Nicolò Laporini.

Come leggere Piccoli Bastardi

HyppoStyle presenta ai lettori Piccoli Bastardi in un volume cartonato di buona fattura, con una copertina realizzata da Riccardo Farina. All’interno, la storia è accompagnata da una gallery di omaggi ai giovani protagonisti.

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