Conoscendo il rigore morale e l'attitudine quasi protestante di Paul Schrader è molto probabile che Il collezionista di carte - sua ultima fatica presentata a Venezia 78 e prodotta dal suo vecchio amico Martin Scorsese - risulti il suo film più commerciale e accessibile al grande pubblico senza dietro alcun calcolo da parte del regista di First Reformed. Il tema del gioco d'azzardo, l'ottima performance di un attore in grande spolvero come Oscar Isaac e la dimensione familiare e sempreverde del thriller potrebbero dunque fare la fortuna di un film che, appena lo si osserva sotto la superficie, rivela i temi che innervano l'intera carriera del suo regista.
Come in First Reformed, al centro di Il collezionista di carte c'è un uomo tormentato da un peso morale da cui non riesce ad assolversi, che prova quindi a salvare disperatamente un'altra persona per provare a perdonare sé stesso, attraverso un'espiazione dolorosa su più livelli. La novità è che stavolta il crimine commesso dal protagonista William Tell non è percepito dallo stesso a livello spirituale, ma fattuale. William ha infatti imparato l'arte di contare le carte in prigione, mentre affrontava una condanna a otto anni per un fatto che si posiziona tra i primissimi posti di quanto di peggio un persona a un'altra.
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Se solitamente quindi il conflitto morale dei personaggi di Schrader si consuma in una dimensione intima e i loro crimini non sono necessariamente tali di fronte alla legge, ciò che ha fatto William è talmente atroce che è comprensibile come senta di non poter essere perdonato, nemmeno dopo aver saldato il proprio debito con la giustizia. Schrader sembra scegliere deliberatamente un crimine così terribile per introdurre una dimensione di responsabilità collettiva e sociale, che riguarda gli interi Stati Uniti. William infatti è anche un capro espiatorio e quanti gli hanno ordinato cosa fare (e insegnato le tecniche per farlo) non hanno affrontato processo e carcere.
Bill gioca oculatamente, senza attirare l'attenzione: viaggia da un casinò all'altro, incassa il necessario contando le carte. È riuscito ad evitare di farsi mangiare vivo da desideri di rivalsa e vendetta, perciò quando incontra Cirk (Tye Sheridan), il figlio di un suo collega morto tragicamente e ossessionato dal vendicare il padre, decide di aiutarlo. Per farlo deve uscire dall'ombra, partecipando alle World Series del poker e diventando un giocatore della scuderia di La Linda (Tiffany Haddish).
La disperazione dietro la faccia da poker
Travestito da film sul poker e sul gioco d'azzardo (con tanto di spiegazioni, percentuali di probabilità e sfide sul tavolo coperto di panno verde), Il collezionista di carte è un lungometraggio incredibilmente incisivo nel guardare dentro a un ex aguzzino, che sa di avere in sé quel qualcosa che rende qualcuno un carnefice, eppure sta a sua volta affrontando un trauma. Il luogo infernale dove William ha compiuto le peggiori azioni (e che Schrader ritrae con una tecnica particolare per un risultato angosciante e da incubo) gli è rimasto appiccicato addosso. Tanto da dover "silenziare" visivamente ogni camera di motel in cui si reca, coprendo i mobili con panni bianchi e spago, rifuggendo il rumore e l'attenzione della gente, vivendo una strana vita fatta di gioco d'azzardo ma anche profondo ascetismo.
Rispetto a visioni ben più cupe del cinema di Schrader - che qui come al solito tira fuori una sceneggiatura profonda e memorabile, di cui viene voglia di appuntarsi ogni singolo passaggio - c'è anche spazio per la speranza e un tocco di romanticismo. Personaggi come William e tematiche dedicate come quelle affrontate dal film dovrebbero essere sempre trattati da un regista e uno scrittore con lo stesso sguardo penetrante di Schrader, capace di vedere ciò che potrebbe essere redento e salvato anche nell'animo più buio.
Se Tiffany Haddish è un po' troppo sopra le righe e sembra quasi una nota stonata in un film composto a firma Schrader, Oscar Isaac è l'interprete perfetto, capace di trovare l'umanità in posti impensabili e di lasciare intravedere una disperazione esistenziale profondissima dietro la perfetta, impassibile faccia da poker.
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