È stato il re di Cinecittà, ha prodotto cult come Umberto D., Roma città aperta, Francesco Giullare di Dio e travolgenti successi come la saga di Don Camillo. Quanti però ricordano il nome e la storia di Angelo Amato, detto Peppino? Spesso la storia ricorda chi recita o dirige un film, ma non chi ci mette il denaro e l'intuizione giusta.
La verità su La dolce vita è una visione perfetta per capire quanto possa essere cruciale l'apporto di un produttore, ben oltre la sua disponibilità economica.
Dagli anni '60 ad oggi anche questo aspetto del cinema è cambiato, soprattutto in Italia. Difficile però non vedere il nesso tra una stagione irripetibile del cinema italiano - con grandissimi come Rossellini, De Sica e Fellini che sfornavano un capolavoro dietro l'altro - e un manipolo di produttori forti, capaci di trovare il copione giusto, prendere a male parole il regista, influenzare positivamente le pellicole con i propri diktat e il proprio carisma. Uomini che ci mettevano il portafoglio ma anche l'iniziativa, influenzando in maniera non indifferente il risultato finale.
Giuseppe Pedersoli, figlio di Bud Spencer e nipote di Amato racconta la figura del produttore dall'intuito infallibile attraverso il successo che gli costò la vita, o almeno questa è la teoria di La verità su La dolce vita, documentario dedicato al dietro le quinte del celebre capolavoro di Federico Fellini presentato a Venezia 77. Seppur non manchi di evidenziarne i difetti (come per esempio l'irrefrenabile passione per il gioco), Pedersoli parteggia palesemente per il protagonista della sua storia. In tutta onestà il documentario vale la visione per la storia che ha da raccontare, non certo per la forma o il montaggio, così polveroso e poco rifinito da poter essere facilmente scambiabile per un prodotto di cassetta di venti e più anni fa.
La dolce vita fu l'inferno di Amato
Tutto nasce da un copione: quello di La dolce vita di Federico Fellini, pachidermico script che l'autore partorì dopo essere uscito trionfante da Cannes e dagli Oscar con le sue precedenti film. A Cinecittà si pensava non avesse più nulla da dire, perciò nessuno voleva produrre un film tanto faraonico nei costi e confuso negli scopi. Angelo invece s'innamora della sceneggiatura, pensa sia la migliore che abbia mai letto, così convince De Laurentiis a cedergliene i diritti in cambio di quelli de La grande guerra.
Per finanziare il film viene tirato in mezzo il cavalier Rizzoli, interessato a produrre cinema ma concentrato solo sul profitto. Si concordano 400 milioni di budget e 3000 metri di pellicola con Fellini e si firma il contratto. Da qui parte un calvario personale per Amato, stretto tra l'avidità di Rizzoli e l'intemperanza di Fellini. Il film segue nel dettaglio l'infinito carteggio tra i tre, che si blandiscono, insultano, ammoniscono e minacciano a vicenda mentre il costo del progetto lievita.
Intanto gli attori sui set non sanno cosa fare, girano giorno per giorno senza avere un copione per le mani. A Mastroianni, che aveva provato a chiederne una copia, Fellini fa recapitare una cartellina vuota e più tardi un disegno con un uomo che nuota in mare con un membro gigante. Girare direttamente in via Veneto è impossibile, così viene ricostruita al Centro Safa Palatino, dove il regista riminese gira per mesi, cercando ulteriori location in mezzo Lazio.
La dolce vita fu salvato dalla gente comune e dai francesi
Quel che impressiona di questa storia è l'egoismo dei contendenti, tale da far sembrare spacciato il titolo più famoso del cinema italiano. Vedendo il film appare evidente come sia diventato il classico che è oggi grazie alla gente comune e ai francesi. Alla fine annunciata delle riprese (Fellini in realtà doveva girare ancora alcune scene) il film contava più di centomila metri di pellicola e un costo spaventoso di oltre 800 milioni di lire, più del doppio di quanto pattuito. Il ventennale sodalizio tra Rizzoli e Amato si dissolse, il rapporto amicale ormai passato nelle mani degli avvocati.
Fellini ottenere un rinvio rispetto alla prima data d'uscita per montare il film, gettando Amato ancor più nel panico. Il primo infarto del produttore si colloca in questo periodo. Persino le nozze di sua figlia (una delle voci del documentario) vennero rimandate con una scusa a qualche settimana più tardi, quando la titanica impresa di La dolce vita si sarebbe conclusa.
Arriva un altro impedimento: la prima versione del film dura quattro ore, è praticamente invendibile. Saltano tutti i contratti con gli esercenti italiani, già pronti ad ospitare il film in 60 diverse città. L'unica speranza è il mercato internazionale. Con minacce e lusinghe Amato strappa a Fellini un'ora di tagli e presenta il film agli americani, indecisi se comprarlo o no.
Dal disastro al trionfo
Intanto si svolge la prima del film, con tutta la Roma di Via Veneto in sala. Chi c'era ricorda che le reazioni furono contrastanti, in sala ci furono applausi ma anche un'atmosfera sospesa, tesa. La stampa italiana si scatenò, parlando di orge, oscenità e offese per la capitale del paese. In particolare a risentirsi furono le testate di matrice cattolica: eppure se il film venne fatto fu grazie alla benedizione di Padre Pio. Devotissimo fedele, Amato si rivolse a lui prima di imbarcarsi nell'impresa, chiedendo consiglio.
Dopo la prima mondiale a Roma La dolce vita sembrava pronto a diventare il disastro che avrebbe mandato in bancarotta mezza Cinecittà. Invece il pubblico cominciò ad affollare le sale: folle oceaniche mai viste prima e dopo di allora assaltarono i cinema. Tutti volevano vedere il film di Fellini, tutti ne volevano parlare. Negli stessi giorni il pubblico francese impazzì per il film, la stampa d'Oltralpe osannò Fellini, che quell'anno si portò a casa la Palma d'Oro a Cannes e un'Oscar per i costumi.
Il prezzo più caro lo pagò proprio chi aveva lottato strenuamente per la sua riuscita: Amato morì quattro anni più tardi, a causa del cuore sempre più provato. Nonostante tutto il dolore che gli aveva procurato La dolce vita, rimase sempre orgoglioso del film, non lo abbandonò mai né rimpianse l'inferno che gli fece vivere Fellini per realizzarlo.
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