"Oh guarda... è scritto in italiano. Credevo fosse scritto in russo"; esclama sarcastico Don Camillo all'acquisto di Patria Unita, il giornale della verità (così viene definito) stampato dai "rossi" di Brescello. L'incipit di Don Camillo e l'onorevole Peppone, terzo capitolo della saga nata dalla penna graffiante di Giovannino Guareschi, recupera l'atmosfera bonaria dei film precedenti rinnovando l'eterno duello fra l'energico reverendo di Fernandel e il sindaco col volto di Gino Cervi.
Quella diretta dal veterano Carmine Gallone - subentrato a Julien Duvivier, regista dei primi due - è una commedia godibilissima nonostante risulti evidente che la serie inizia a perdere un po' dello smalto e della freschezza degli inizi, logorando alcune gag e arrivando ad esasperare le scaramucce fra i due pittoreschi protagonisti.
Non mancano però le emozioni, suscitate dalla nostalgia per un recente passato a più riprese evocato (il primo incontro fra Peppone e "il pretino" durante la guerra; il ricordo dei "ragazzi del '99") e non latitano neppure i momenti esilaranti.
Don Camillo e l'onorevole Peppone poggia sia su alcune scene entrate a far parte dell'immaginario collettivo che su dialoghi brillanti. Ad esempio, l'episodio narrato nel tema di italiano valido per l'esame di quinta elementare è uno dei momenti più riusciti del film (con Peppone abile a "riscrivere" il corso degli eventi). Ma è tutta la pellicola ad esaltarsi con le battute di Fernandel e Gino Cervi. Il primo si auto-definisce "curato sì, ma anche medio-massimo", il secondo parla di eliminazione fisica, riferendosi però alle galline di Don Camillo e non all'acerrimo rivale.
Abbiamo raccolto alcune scene cult del terzo capitolo della serie in cui fanno capolino l'ottimo caratterista Memmo Carotenuto (I soliti Ignoti e Pane, amore e gelosia tra i film girati), Claude Sylvain e Lamberto Maggiorani, celebre volto del Neorealismo, protagonista di Ladri di biciclette di Vittorio De Sica.
La scena del carro armato
Il podere del mezzadro Tasca nasconde un residuato bellico occultato dagli uomini di Peppone. Il fatto viene alla luce in seguito alla rivendicazione del terreno - forte dell'acquisto - da parte di un contadino. Nascerà un braccio di ferro fra il sindaco di Brescello e il parroco del paese per l'assegnazione del podere. Don Camillo, venuto a sapere della presenza di un panzer tedesco (che si scoprirà poi essere un cingolato americano), prima dissuade Peppone dal far saltare in aria il ponte che conduce al terreno conteso e in seguito lo aiuta a sbarazzarsi del mezzo, portandolo fuori dal podere e facendolo ritrovare (per mezzo di una segnalazione anonima) pochi giorni dopo.
Tutto fila (più o meno) liscio fino a quando Peppone, nel tirare una leva rimasta incastrata, esplode un colpo di cannone che centra in pieno il monumento della colomba della Pace situato nella piazza del paese, allarmando i cittadini ignari della causa. Al loro rientro a Brescello, Peppone e don Camillo finiscono così per rimanere coinvolti in una rissa scatenata dagli animi troppo accesi dei residenti.
Curiosità sul carro armato: il mezzo blindato utilizzato per le riprese è un modello M24 Chaffee (alcuni asseriscono che si tratti invece di uno Sherman), carro leggero statunitense della Seconda Guerra Mondiale. Nella piazza di Brescello, in onore del film, staziona un esemplare restaurato di carro armato: si tratta però di un M26 Pershing.
La scena della canzone del Piave
È uno dei momenti più emozionanti del film. La scena del comizio di Peppone interrotto da La Canzone del Piave (fatta risuonare da don Camillo attraverso gli altoparlanti per protesta elettorale) possiede un alto valore cinematografico: traspare l'amore per la Patria di una generazione nata agli sgoccioli dell'Ottocento, messa a dura prova da due conflitti mondiali. Gino Cervi, nel tratteggiare un politico filocomunista, sembra quasi fare il verso a Mussolini, finendo poi per inneggiare alla Repubblica e al Re.
Le note del Piave regalano un motivo d'orgoglio che scavalca ogni ideologia e che induce rossi e neri a rispondere "presente" dinanzi ai propri doveri morali di generazione guida per i più giovani. È quasi una scena manifesto, un passaggio di consegne tra il dopoguerra e il boom economico.
La scena finale
Il finale di Don Camillo e l'onorevole Peppone ripropone lo schema già adottato per quello del primo film, rovesciandone però le parti. Stavolta a partire è Peppone, eletto alla Camera dei Deputati. Ad attenderlo alla stazione di Boretto trova l'amico/rivale di sempre, che lo rimprovera per la partenza. Le parole di don Camillo sono pregne di nostalgia e non lasciano indifferente l'ex sindaco di Brescello, il quale scende dal lato opposto del treno per far ritorno in paese assieme al reverendo.
I due, in sella a due biciclette, gareggiano verso il paesello. Ricomincia così l'eterna gara nella quale ognuno dei due vuole disperatamente (mai davvero) arrivare prima. Però, "se uno dei due s'attarda, l'altro l'aspetta".
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