L'assassinio di Gianni Versace: Stephen King elogia la serie

Autore: Chiara Poli ,

La cura per la verosimiglianza, con l'assoluta fedeltà alle immagini di repertorio è stata maniacale: la casa galleggiante in cui Andrew Cunanan si nascondeva dopo l’omicidio Versace, la casa nella quale avrebbe anch’egli trovato la morte, è stata interamente ricostruita dalla produzione. Ora che #American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace si è conclusa, con una seconda stagione che ci ha portato dentro la mente di un assassino, nella vita delle sue vittime e nella crudeltà di un mondo fatto di pregiudizi e discriminazione, è il momento di tirare le somme.

E Stephen King, il Re dell’horror, l’ha fatto promuovendo a pieni voti la serie prodotta da Ryan Murphy.

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Tom Rob Smith, va ricordato, è un romanziere come King: ha curato le sceneggiature degli episodi, ma ha anche pubblicato diversi romanzi, fra i quali spicca Bambino 44, di cui Ridley Scott comprò i diritti per produrre il film interpretato da Tom Hardy e Gary Oldman. Definire avvincente (riveting) il racconto di una vicenda così drammatica, e soprattutto già nota, significa elogiare la capacità della sceneggiatura di andare ben oltre il semplice resoconto dei fatti.

Come abbiamo visto nel corso delle recensioni, gli episodi sono stati tutti incentrati sulla denuncia del clima di odio e di pregiudizio incentrato sull’omofobia che regnava negli Usa (e non solo) negli anni ’90. Ma anche l’operato delle forze dell’ordine, in particolare nell’ultimo episodio, è stato al centro delle critiche sottolineate dalla sceneggiatura: se la polizia avesse catturato Andrew Cunanan, #Gianni Versace - la sua ultima e più illustre vittime - non sarebbe finito nel suo mirino.

Proprio la sceneggiatura è stata particolarmente elogiata da Stephen King: i nove episodi de L’assassinio di Gianni Versace sono un lungo viaggio che non segue la cronologia degli eventi, bensì la discesa all’inferno del protagonista assoluto, Cunanan. Magistralmente interpretato da Darren Criss, l’ex ragazzo spensierato degli Usignoli in Glee, Andrew Cunanan è il prodotto dell’odio, delle menzogne, dell’intolleranza e della violenza che hanno contraddistinto non solo la sua vita e la sua famiglia, ma anche un’intero periodo storico.

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Forse, se le vittime non fossero state omosessuali, l’attenzione degli inquirenti sarebbe stata maggiore e avrebbe portato alla cattura di Cunanan prima che fosse il nome di Versace, un nome che nessuno poteva ignorare, a puntare i riflettori sull’assassino: l’intera seconda stagione di American Crime Story punta tutto su questo.

Al di là delle personali ipotesi e ricostruzioni inserite da Smith, e basate su Il caso Versace pubblicato da Maureen Orth, è la natura della narrazione ad aver conquistato Stephen King.

E chiunque altro abbia visto oltre la superficie, immergendosi in un mondo fatto di tabù, inconfessabili segreti, finzioni e rifiuti tali da lasciare un segno indelebile. 

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