Manhunt, recensione: l'avvincente caccia all'uomo dell'assassino di Lincoln

Autore: Manuel Enrico ,

Sic Semper Tyrannis. La storia insegna che furono queste le parole con cui John Wilkes Booth rivendicò l’assassinio del presidente Abraham Lincoln, parole urlate dallo stesso palco di teatro che Booth aveva calcato per anni, divenendo uno dei più celebri attori del periodo. Eppure, oggi il nome di John Wilkes Booth non è legato alla storia del teatro, quanto all’omicidio di una delle figure chiave dell’America moderna, un presidente capace di rivoluzionare una società, spezzandola e riforgiandola. Un momento epocale per gli States, che ora viene raccontato da una diversa prospettiva in Manhunt, nuova miniserie di Apple TV+ disponibile dal 15 marzo.

La centralità di Lincoln non è ravvisabile solo nella moderna storia americana, ma è penetrata nel tessuto sociale e nell’immaginario collettivo statunitense, andando a popolare quel soft power con cui l’America ha saputo presentarsi, e talvolta imporsi, al mondo. Un nomignolo affettuoso, la consacrazione a padre della nazione e figura ispiratrice per le generazioni successive, Abe Lincoln è stato al centro di film, romanzi e reinterpretazioni fantasiose, ma raramente la sua storia è stata raccontata mettendo al centro della narrazione l’odiosa figura di John Wilkes Booth.

Manhunt: caccia all'uomo per vendicare un presidente

14 aprile 1815. Il presidente degli Stati Uniti, Abraham Lincoln (Hamish Linklater), a pochi giorni dall’annuncio della capitolazione dell’esercito confederato e del termine della Guerra di Secessione, prende parte ai festeggiamenti, decidendo di presenziare alla rappresentazione di Our American Cousin presso il Ford Theatre. Nonostante il suo entourage non sia particolarmente felice di questa sua decisione, in particolare il suo amico Edwin Stanton (Tobias Menzies), che dopo esser stato suo Segretario della Guerra si appresta ad aiutare Lincoln a riscostruire un’unità nazionale quanto mai necessaria.

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Lincoln tuttavia non ascolta i suoi consiglieri, ma rimane saldo nel suo intento, come dimostrazione di fiducia nel futuro della nazione. La sua presenza al Ford Theatre viene anzi pubblicizzata come un gesto di apertura e di forza, attirando molte attenzioni. Anche di figure che nutrono un profondo astio per il presidente.

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Tra di esse, il celebre attore John Wilkes Booth (Anthony Boyle). Popolare, ricco e considerato uno degli artisti più influenti del periodo, Booth non apprezza la politica di Lincoln, soprattutto la sua apertura verso l’integrazione della popolazione di colore. Questo astio spinge l’attore a ordire un complotto contro il presidente, che culmina proprio con l’assassino di quest'ultimo durante la messa in scena di Our American Cousin.

Un evento che sconvolge prima Washington e poi un’intera nazione, dando vita a una vera e propria caccia all’uomo.

Manhunt cambia il modo di raccontare questo delicato passaggio storico. La tradizione cinematografica ci ha abituato a una ritrattistica iconografica di Lincoln, dal famigerato Nascita di una nazione (1915) sino all’interpretazione di Daniel Day Lewis in Lincoln, non mancando riscritture più libere e avventurose come ne Il mistero delle pagine perdute. La fascinazione del personaggio di traghettatore degli States verso un’accezione moderna e il meritato titolo di padre della nazione hanno trasformato Lincoln in un martire, portando a lasciare ai margini della storia gli eventi immediatamente successivi alla sua morte.

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La miniserie di Apple TV+ vuole spingersi in direzione opposta, costruendo comunque una visione iconica di Lincoln, ma rendendolo un ideale cui si ispirano i suoi collaboratori o, di contro, il nemico odiato da una fetta di popolazione astiosa, sconfitta. Hamish Linklater indossa con straordinaria dedizione i panni di Lincoln, si fa portatore di un carisma appreso dalla storia e dai ricordi del periodo, dipingendo uno statista che non gode della vittoria come rivalsa contro un nemico, ma come una possibilità di creare una nazione migliore. Visione in parte idealizzata, ma che rende il Lincoln di Linklater magnetico, capace di dominare lo schermo con il suo tono pacato e con una cadenza quasi musicale, in grado di farsi sentire anche nel vocìo più concitato del suo entourage.

Tutti gli uomini del presidente

Questa perfetta caratterizzazione di Lincoln, costruita attentamente episodio dopo episodio tramite un utilizzo estremamente razionale dei flashback, crea la giusta aura di carisma per rendere questa figura il vertice di un triangolo che lo vede affiancato da due figure antitetiche, Stanton e Booth.

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Stanton vive la morte di Lincoln come un fallimento personale, trasformandolo in un'ossessione. Tralasciando il ruolo storico, Manhunt affronta l’impatto emotivo dell’evento sull’uomo, lo spoglia di una figura politica raccontata dai testi di storia e si focalizza sulla sua fragilità. Pur avendo un carattere opposto e contrasti ideologici con Lincoln, Stanton era legato profondamente al suo presidente, al punto di vivere come una missione personale, quasi un’espiazione, il portare avanti il suo progetto di ricreare un’identità nazionale.

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Missione complicata da un nuovo presidente, Johnson, di diverse posizioni rispetto al predecessore, e da una condizione sociale che mostra tutte le criticità di una rivoluzione fallita. Moti civili, ostinata aderenza a precetti razzisti e una difficoltà nel trovare la strada del perdono tanto cara a Lincoln sono gli elementi che ostacoleranno il cammino di Stanton, che diventa il nostro punto di vista nella vita della capitale, si fa voce di una nazione sofferente e adirata nel tentativo di ricucire una società in cerca di una guida.

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Menzies mostra perfettamente queste sfumature del personaggio, trasmette la sofferenza della perdita di Lincoln e l’adamantina ostinazione con cui cerca l’assassino e al contempo tenta di salvare una nazione in pericolo.

Contrapposto a Stanton è il Booth di Anthony Boyle. Non solo assassino di Lincoln come vorrebbe la storia, ma anche una figura che si ammanta di un ruolo rivoluzionario, che vorrebbe apparire come un eroe agli occhi sudisti, cercando un rifugio sicuro lontano dalla caccia all’uomo che lo vede protagonista. Boyle ritrae un Booth a tratti esaltato dal proprio ruolo, quasi che quella rivendicazione furente sul palco del Ford Theatre lo abbia reso un vero rivoluzionario. Ne esce un personaggio sfaccettato, complesso e non facilmente riconducibile al ruolo di semplice assassino, ma voce di un venefico malcontento che non è stato soffocato né dalla vittoria nordista né dall’apertura dello stesso Lincoln.

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Appoggiandosi a queste tre figure, supportate da altri personaggi di grande spessore, Manhunt cerca di trovare un delicato equilibrio tra la preservazione della verità storica e un approccio da detective story, in cui la caccia a Booth si intreccia all’analisi sociale dell’America del periodo. Ricostruzione complessa, fatta di piccoli momenti inseriti all’interno della trama principale che offrono uno spaccato degli Stati Uniti del periodo quanto più possibile concreto e reale, mettendo in mostra criticità del periodo che sembrano appellarsi alle coscienze di oggi per mostrare crepe evidenti di un’America ancora in cerca di un’identità.

Perché vedere Manhunt

Stilisticamente, Manhunt riconferma la oramai assodata qualità delle produzioni di Apple TV+. La messa in scena è sempre visivamente avvolgente, fatta di ambientazioni ricche e realistiche, valorizzate da una fotografica che si fa eco delle emozioni dei personaggi, pizzicando alla perfezione le corde emotive degli spettatori. Una colonna sonora misurata e mai invasiva, che accompagna con la giusta delicatezza lo scorrere degli eventi, segue questa dicotomia narrativa, un’alternanza tra anima investigativa e ritratto sociale di un’America spezzata.

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Le sette puntate che compongono Manhunt uniscono il ritratto storico dell’assassinio di Lincoln alle atmosfere di una storia investigativa, unendo la ricostruzione storica dell’evento alla rielaborazione asservita al racconto, senza rinunciare a una vena ritrattistica critica dell’America del periodo. Grazie a un cast particolarmente ispirato, Manhunt riesce a portare sul piccolo schermo un capitolo centrale della storia americana, privandolo della sua mitologia e scavando nella sua essenza per mostrare le tensioni umane che hanno segnato l’evolversi di un’intera società.

Commento

cpop.it

90

Le sette puntate che compongono Manhunt uniscono il ritratto storico dell’assassinio di Lincoln alle atmosfere di una storia investigativa, unendo la ricostruzione storica dell’evento alla rielaborazione asservita al racconto, senza rinunciare a una vena ritrattistica critica dell’America del periodo. Grazie a un cast particolarmente ispirato, Manhunt riesce a portare sul piccolo schermo un capitolo centrale della storia americana, privandolo della sua mitologia e scavando nella sua essenza per mostrare le tensioni umane che hanno segnato l’evolversi di un’intera società.

Pro

  • Ottima ricostruzione storica
  • Perfetta scansione tra presente e passato
  • Cast impeccabile

Contro

  • Alcuni riferimenti storici sono particolarmente ostici
  • -
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