La Caduta della Casa degli Usher, recensione: l'angosciante caduta degli dei di Flanagan

Autore: Manuel Enrico ,

In principio fu una casa maledetta, poi la maledizione si abbattè prima su una comunità di sfortunati ragazzi e infine su un’intera comunità. Mike Flanagan si è ritagliato un percorso orrorifico di tutto rispetto nel catalogo di Netflix, non limitandosi a puntare alla sensazione di orrore tradizionale, ma giocando con lo spettatore, prendendo elementi tradizionali del genere e intrecciandoli a temi più complessi e attuali, dalla religione alla malattia. Una progressione narrativa personale, sostenuta da una visione precisa e netta, che trova nuova forma con La Caduta della Casa degli Usher, il nuovo racconto oscuro di Mike Flanagan in arrivo su Netflix il 12 ottobre.

Un titolo che non lascia scampo a fraintendimenti: lo spirito di Edgar Allan Poe infesta questo racconto maledetto. Considerato meritatamente uno di padri del gotico americano, Poe, omaggiato su Netflix con The Pale Blue Eye, si è prestato spesso a esser una fonte di ispirazione per racconti orrorifici contemporanei, venendo adattato e trasformato per mutuare la sua visione gotica dell’animo umano alla contemporaneità. Un intento che Flanagan ha fatto proprio, mutuando l’intento indagatore di Poe all’interno di una trama che spinge la narrazione su una direttrice graffiante e ammaliante, capace di andare oltre alla grammatica di Poe per creare un neo-gotico.

La Caduta della Casa degli Usher: Flanagan porta Poe su Netflix

Va riconosciuto a Flanagan di aver sempre inserito all’interno delle sue trame dei tratti tipici della costruzione emotiva tipica di Poe. Che si tratti di Midnight Mass o The Hunting of Hill House, le atmosfere cupe, infestate più dall’oscurità umana che dalle maledizioni soprannaturali dominano la fantasia di Flanagan, che fonde le ispirazioni dello scrittore di Baltimora con altri esponenti dell’horror americano, non ultimo King.  

Per La Caduta della Casa degli Usher, Flanagan sceglie di lasciare in secondo piano altre influenze per dedicarsi totalmente a Poe, assorbendo il suo canone narrativo e adattandolo a una dissacrante fotografica contemporanea, non solo su un piano sociale, ma anche facendosi suggestionare dalle famiglie disfunzionali che dominano la serialità attuale. Poe aleggia su questa serie, è innegabile, ma non è un dominio palesato, diventa una chiave di lettura per comprendere la feroce visione di Flanagan.

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Roderick Usher (Bob Greenwood) è un miliardario che ha assistito al crollo della propria casata, funestata da morti tremende, tragiche. I suoi figli, nati da diversi matrimoni o semplici avventure figlie della sua libidinosa vitalità, si sono trasformati da tentativi di creare un ambiente familiare protettivo a manifestazioni di un fallimento emotivo, parti di un ecosistema dominato da invidia, odio e acre competizione. Tutti loro sono parte di un clan che domina la vita sociale ed economica, membri in vista e quindi oggetto di morbose attenzioni, gettati in pasto alla curiosità del mondo che, come sempre accade, attende con ansia di assistere alla caduta di questi dei inarrivabili.

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Un crollo che potrebbe concretizzarsi tramite le indagini del procuratore Auguste Dupin, che da tempo cerca di mettere gli Usher di fronte alle responsabilità della loro condotta criminale. Quasi un’ossessione per il procuratore interpretato da Carl Lumbly, che si scontra con un potere corrotto che protegge questa famiglia. Ma cosa potrebbe accadere se una forza superiore, non benefica ma una potente manifestazione di vendetta, si mettesse sulla strada degli Usher?

E quanto imbastisce Flanagan, che concilia in modo perfetto le atmosfere gotiche con un thriller, creando una sinergia che confonde lo spettatore, che, specie nelle prime batture della serie, vive la sensazione di esser davanti a un’indagine dai toni inquietanti, che lentamente prende forma andando a collocarsi all’interno della filmografia di Flanagan in modo sublime, mostrandone un lato insolito.

Non è solo una questione tematica quanto una visione strutturale del racconto, scandito con un ritmo dinamico che consente di creare una progressione emotiva per lo spettatore, passando da momenti in cui sono messi a nudo i vizi di questa famiglia decadente prima ancora che decaduta, salvo poi imprimere un moto di rapida tragedia venata di sangue e orrore che acquisisce una potenza disarmante.

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L’attenzione con cui Flanagan pone Roderick Usher al centro di questa ragnatela di morti e drammi è al contempo un esercizio di stile e un gioco con lo spettatore. Innegabile la maestria con cui viene creato un racconto che si muove agile su diversi piani temporali, racchiusi nella cerniera della confessione finale di un uomo che ha visto crollare il proprio mondo, incorniciati in atmosfere che passano dallo sfavillante, mondano pantheon pubblico degli Usher alle angoscianti, venefiche atmosfere che rispecchiano l’animo autentico dei membri del clan.

Si scava nella loro intimità, si trasformano in vittime e carnefici continuamente, una fludità che viene esaltata da dialoghi stridenti, da un occhio attento a non perdersi un solo momento di questa venefica allegoria del mondo moderno, rivisto con il canone di Poe come metronomo di questa storia.

Poe non viene asservito alla storia, ma ne diventa il nume tutelare. Gli appassionati dello scrittore potrebbero lamentare che diversamente dal racconto omonimo, La Caduta della Casa degli Usher trasla la caduta di Roderick Usher dalla sua casa fisica alla sua dimora emotiva, quella finzione emotiva che ha cercato di costruire realizzando un clan di figli legittimi e illegittimi incapaci di trovare un equilibrio.

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La scaltrezza di Flanagan è nel costruire un percorso fatto da citazioni più o meno evidenti al corpus narrativo di Poe, che siano eventi o nomi che arrivano che sfiorare la storia, fosse anche solo come titolo dei singoli episodi, legati a celebri racconti di Poe. Non si cita spudoratamente, si omaggia, si crea un contatto emotivo con l’opera di Poe, traslandola all’interno di una sorta di critica impietosa alla società odierna, ricordando come non ci sia nulla di più morbosamente affascinante della caduta di uno degli intoccabili clan che amiamo, invidiamo e in fondo odiamo.

Flanagan impara da Poe per creare il gotico moderno

Flanagan costruisce La Caduta della Casa degli Usher su queste basi, con una lucidità quasi spiazzante nel modo in cui viene dipinta con cinica, chirurgica precisione il nostro mondo (non vedrete più i limoni con gli stessi occhi!), mettendo a buon uso un cast sopraffino. Volti noti, come Ruth Codd e Carla Cugino, si rivelano le solite colonne su cui Flanagan posa attori di grande carisma, guidati da una trinità sontuosa composta da Bob Greenwood, Marie McDonnell e un Mark Hamill in stato di grazia nel ruolo dell’avvocato tuttofare della famiglia Usher, Arthur Pim.

La Caduta della Casa degli Usher è la serie più articolata di Flanagan nella sua collaborazione con Netflix. Dove le precedenti serie erano più focalizzate alla sintonia emotiva tra personaggi e spettatore, l’ultima fatica di Flanagan vuole battere una nuova pista, privilegiando la ricchezza di temi, toccando argomenti cari specialmente allo spettatore americano (non a caso si tocca il mercato farmaceutico), intessendo una rete di tensioni che, contrariamente allo stile tradizionale di Flanagan, contempla un uso più marcato di quegli jump scares solitamente invisi al regista, ma che diventano ora un tratto essenziale nella caratterizzazione emotiva della rovinosa fine degli Usher. Una nuova natura della voce di Flanagan, che potrebbe sembrare stonata a chi ha apprezzato il suo linguaggio sinora, accusando una mancanza di focus dovuta a repentini cambi temporali, a troppi elementi costretti a convivere.

Una ricchezza di temi ed intenti che rischia, in alcuni passaggi, di sacrificare la caratterizzazione di parte dei membri di questa smisurata famiglia disfunzionale, che pur appassionando lascia la sensazione che La Caduta della Casa degli Usher avrebbe giovato di una maggior concretezza da parte di Flanagan. Eppure nonostante tutte queste fragilità, la serie di Netflix trova il giusto tono per appassionare, per spingere a divorare gli episodi e assistere con ingordigia alla caduta di questa famiglia.  

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Commento

cpop.it

85

La Caduta della Casa degli Usher è la serie più articolata di Flanagan nella sua collaborazione con Netflix. Dove le precedenti serie erano più focalizzate alla sintonia emotiva tra personaggi e spettatore, l’ultima fatica di Flanagan vuole battere una nuova pista, privilegiando la ricchezza di temi, toccando argomenti cari specialmente allo spettatore americano (non a caso si tocca il mercato farmaceutico), intessendo una rete di tensioni che, contrariamente allo stile tradizionale di Flanagan, contempla un uso più marcato di quegli jump scares solitamente invisi al regista, ma che diventano ora un tratto essenziale nella caratterizzazione emotiva della rovinosa fine degli Usher.

Pro

  • Il canone letterario di Poe viene trattato con rispetto
  • Flanagan mostra nuovamente di esser un narratore attento
  • Cast di grande spessore

Contro

  • Flanagan 'tradisce' il suo linguaggio tradizionale
  • Troppi spunti per esser sempre narrativamente equilibrata
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