Riesco a vedere il mondo solo come dovrebbe essere: lo squilibrio rende la vita insopportabile. È con queste parole che Kenneth Branagh regista e interprete protagonista introduce un nuovo Poirot cinematografico al grande pubblico, dopo decenni di silenzio dalle memorabili performance di David Suchet, Albert Finney e Peter Ustinov. È un Poirot alto, prestante, dai penetranti occhi azzurri e dai ricercatissimi baffoni brizzolati. Il suo aspetto fisico e la sua presentazione nell'enigma introduttivo hanno poco a che vedere con l'omino pasciuto dalla testa a forma d'uovo della Christie e con le successive incarnazioni più o meno fedeli, mentre richiamano più di qualche somiglianza con Sherlock Holmes.
Dopo anni di silenzio e qualche serie TV davvero particolare (quel 10 Piccoli Indiani dai tocchi horror prodotto da BBC nel 2016), con Orient Express e Mistero a Crooked House sembra davvero che Hollywood torni a corteggiare la regina del giallo, sottoponendola a un profondo rinnovamento. Il risultato può farci dimenticare l'impeccabile e formale trasposizione del 1974 a firma Sidney Lumet?
Assassinio sull'Orient Express: detective o supereroe?
Uno dei più celebri who dunnit? di sempre e uno dei romanzi più complessi e intriganti di Agatha Christie è tornato su schermo con ambizioni da blockbuster di prima classe e il formato extra-lusso della pellicola 70mm (lo stesso in cui è stato girato Dunkirk di Nolan). Perché abbinare un formato con un colpo d'occhio che quasi abbraccia l'orizzonte a un film per definizione claustrofobico, con 13 superstelle di Hollywood stipate in una vagone di treno dove si è consumato un efferato delitto e dove si aggira un misterioso assassino? La risposta è forse l'unico aspetto in cui il remake del 2017 riesce a tenere testa e forse a battere il film del 1974: l'estremo dinamismo della regia. Branagh ricerca in maniera ossessiva un dinamismo ostentato, con grandi vedute aeree che abbracciano il treno nel suo cammino per la natura selvaggia e con piani sequenza laterali piuttosto arditi con cui si abbraccia e presenta un cast stratosferico: dalla bella e acuta Daisy Ridley all'elegante Michelle Pfeiffer, dal viscido affarista Johnny Depp alla volitiva principessa di Judi Dench.
Lo spaccato delle classi sociali che #Agatha Christie costringe a convivere tra le cuccette del treno bloccato dalla neve è profondamente cambiato, con scelte precise e un messaggio politico molto marcato. Non mi riferisco all'inclusione di un personaggio afroamericano o al pervasivo discutere di razze e razzismo, quanto al ritratto a tinte fosche dell'1% che viaggia sul treno. Il più viscido è l'affarista senza scrupoli di Depp, un capitalista sfrontato e di cattivo gusto sin dalle sue scelte di vestiario, ma anche gli esponenti della nobiltà sono sprezzanti, crudeli, egoisti: neppure il segreto che si cela tra gli occupanti del vagone verso Calais può redimere davvero i suoi occupanti.
In questo oscurità morale rimane invischiato persino un Poirot ossessionato dallo squilibrio, che vede il mondo rigidamente diviso tra bianco e nero, bene e male, giusto e sbagliato. La vera sorpresa è che quanto succede nel film gli insegna l'esistenza di una zona grigia sì e della possibilità di una morale sfumata, ma è quasi un lutto, una perdita dell'innocenza per il personaggio. In Assassinio sull'Orient Express c'è un ragionamento di base doppiamente pericoloso: innanzitutto perché finisce per giustificare molto più che in passato la giustizia fai da te che si consuma a bordo del treno e secondariamente perché lo fa definendola sbagliata ma necessaria.
Assassinio sull'Orient Express: l'inquietudine corre sul binari
Pur impegnandosi con tutto sé stesso per essere incisivo, quello di Branagh è un film che tenta di ammodernare la Christie salvo perdere per strada la sottile eleganza con con la scrittrice esprimeva la medesima critica contro la società classista inglese. A impressionare di questo Orient Express è quanto le sue cabine e i suoi occupanti abbiano assorbito le nostre inquietudini del presente: a fare paura non è tanto l'assassino, quanto la precarietà morale, la mancanza di punti di riferimento che sbilancia persino un uomo acutissimo e pronto a misurare ogni uovo che consuma alla ricerca di un equilbrio che non c'è.
Il Poirot di Branagh condivide il dinamismo delle più recenti creature di Guy Ritchie (che ha lasciato un'impronta sul genere giallo davvero profonda) e il senso di incombente oscurità dei supereroi della Justice League: è un super uomo che si dichiara stanco (del lavoro ma soprattutto delle delusione costante che il resto dell'umanità gli suscita) eppure moralmente obbligato a rispondere a ogni chiamata, a risolvere ogni mistero. Se Assassinio sull'Orient Express non fosse viziato dalle bassezze della Hollywood moderna (la chirurgia estetica che rende molti interpreti qui sfingi poco espressive, l'invadente product placement, l'ossessiva allusione a un capitolo secondo, la sciatteria madornale con cui sono costruiti molti protagonisti, la stessa divisione poco sfumata da caucasici spregevoli e resto del mondo) potrebbe essere un grandissimo specchio delle inquietudini presenti, che ritrae la prima incrinatura nella morale adamantina di un eroe razionale e illuminato.
Invece è solo la versione uber dinamica e inquieta di un grande classico letterario e cinematografico, anche quello girato in tempi di grande inquietudine sociale. Lumet però si fidò della forza della Christie e si affidò a un cast impeccabile, infondendo in maniera sottile ma spietata tutte le inquietudini dell'epoca, amplificate dal canto del cigno della vecchia ma ancora insostituibile Hollywood. Questa versione dinamica e stilosa è immediatamente accattivante - soprattutto per chi non conosce la storia - ma la forza con cui prende a picconate i suoi illustri predecessori gli si ritorce presto contro.
Assassinio sull'Orient Express sarà nelle sale a partire dal 30 novembre 2017. In Italia sarà possibile assistere alla proiezione su pellicola 70mm (in lingua originale e in versione doppiata) al cinema Arcadia di Melzo, uno dei pochi a livello mondiale a presentare il film nel formato voluto dal regista Branagh (con tanto di messaggio del regista in apertura).
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