Se la vittoria a Berlino dell'italianissimo Fuocoammare di Gianfranco Rosi - candidato italiano per gli Oscar 2017 - era stata salutata come una decisione dal forte sapore politico rivolta all'Unione Europa, anche Cannes non è stata da meno, premiando un Ken Loach più politico e impegnato che mai con I, Daniel Blake. Il lungometraggio che è valso la seconda Palma d'Oro al regista inglese (che vinse anche nel 2006 con Il Vento che Accarezza l'Erba) è ancora una volta un racconto di ultimi e poveri, schiacciati dal sistema e capaci solo di esprimersi solidarietà reciproca.
Non è difficile capire perché I, Daniel Blake sia stato salutato con un'autentica ovazione e un applauso durato 15 minuti al suo primo passaggio in Croisette, conquistando anche il pubblico del Festival di Locarno. Come i migliori film nella filmografia di Ken Loach, racconta una storia quotidiana eppure straordinaria a livello emotivo, una discesa negli inferi della burocrazia tanto drammatica quanto credibile.
Stavolta il perfetto volto da working class inglese è quello di Dave Johns; è lui il Daniel Blake del titolo, quello che rivendica a gran voce il suo essere individuo e non numero in un sistema sociale che sembra più voler dissuadere che aiutare chi vi fa ricorso. Daniel Blake è un falegname, vedovo, ormai entrato nella terza età. Dopo un primo attacco cardiaco, il dottore gli prescrive riposo assoluto, in attesa degli accertamenti che gli consentiranno di ottenere l'invalidità. Per un inghippo burocratico, però, proprio per ottenere la tanta agognata assistenza statale, dovrà dimostrare di aver cercato attivamente un impiego, nonostante lavorare potrebbe risultargli fatale.
Buono, generoso, convinto di poter far valere i propri diritti e rimanere in territorio legale, Daniel verrà distrutto dallo stesso sistema a cui ha chiesto aiuto dopo anni di onesto lavoro e tasse pagate. Il valoroso operaio risulterà incapace persino di risolvere la difficile situazione della giovane e disperata Katie (Hayley Squires), madre di 2 bambini alla ricerca di un'occupazione per poter continuare a sfamarli.
Il messaggio solidale e universale di Ken Loach non è mai stato più chiaro di così, veicolato da volti in grado di raccontare, ancor prima della sceneggiatura, il lato oscuro e disperato della nuova working class inglese, quella nata dalle ceneri degli scioperi contro la Tatcher e colpita duramente dalla crisi economica del 2008.
Quello che nel frattempo è cambiato è il mondo, cinematografico e non. La realtà degli ultimi raccontata da Loach sembra quasi scollata dalle nuove forme di povertà e sfruttamento: i suoi protagonisti vivono problemi e pensano a soluzioni simili a quelle che avremmo potuto immaginare qualche decennio fa. In un mondo in cui tecnologia, robotica e globalizzazione hanno reso ancor più cinico e mercenario il mercato del lavoro, la visione di Ken Loach sembra innanzitutto irrimediabilmente datata, così come il suo film. Non può più bastare trincerarsi dietro l'incapacità del proprio protagonista nell'utilizzo del computer per ignorare le possibilità e i rischi di quel mondo, bollandolo esclusivamente come un altro modo per gabbare gli onesti che con le loro mani sanno fare un mestiere manuale.
Se I, Daniel Blake è indubbiamente coinvolgente a livello emotivo, è anche vero che sceglie espedienti narrativi che lo stesso Ken Loach ha ampiamente utilizzato in passato. Tanto che il colpo di scena non è mai veramente tale e in alcuni passaggi (il ritrovamento del bigliettino con il numero di telefono, il colloquio finale) il film risulta prevedibile e macchinoso agli occhi di uno spettatore che già sa dove si andrà a parare.
O forse è solo che abbiamo smesso di sperare in una risposta semplice come quella suggerita dal decano del cinema impegnato Ken Loach, un po' troppo ligio a dividere tutti in buoni e cattivi, dove ogni espressione delle storture statali è incarna in un impiegato gretto e disumano, mentre sono solo gli ultimi i depositari della bontà e della moralità.
I, Daniel Blake sarà nei cinema italiani a partire dal 21 ottobre 2016.
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