Richard Jewell: il film di Eastwood colpisce le coscienze come un pugno allo stomaco

Autore: Federica Lucia ,

Non delude le aspettative - quasi mai lo ha fatto a dire il vero - l’occhio cinico e attento di Clint Eastwood dietro la cinepresa nella sua ultima opera, Richard Jewell.

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E dopo American Sniper, Sully e Ore 15:17 – Attacco al Treno, l’eroe che Eastwood decide di portare sotto i riflettori è una goffa e bonaria guardia di sicurezza con il pallino della divisa che, durante le Olimpiadi di Altanta del 1996, riesce a sventare - in parte - un attacco bomba.

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Richard Jewell – protagonista della storia che dà anche il titolo al film - che per una vita ha sognato di far rispettare la legge e fare la differenza attraverso un distintivo, ottiene finalmente il riconoscimento sperato venendo incoronato “eroe per un giorno” da ogni organo di informazione.

Ma la necessità di trovare un colpevole dell’FBI e la pressione del quarto potere per vendere una verità sensazionale e rassicurante al tempo stesso, spostano il mirino della giustizia sul malcapitato Jewell. Che passa così dall’eroe per caso al falso eroe in una sola notte, generando una vera e propria pandemia di disinformazione.

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Tra la condanna a cuor leggero di TV e stampa e le indagini viziate dal pregiudizio degli agenti federali si delinea l’odissea di un uomo comune – e dei suoi cari - reo solo di credere troppo nella giustizia e nella legge.

Ma l’oscurità che tenta di insinuarsi nella vita di Richard Jewell non è sufficiente a minare il suo carattere mite e il suo ragionare con semplicità, caratteristiche che alla fine lo porteranno verso la luce in fondo al tunnel delle calunnie e alla completa assoluzione.

Il bianco e il nero del mondo

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In Richard Jewell l’elemento narrativo che risalta maggiormente con lo scorrere dei minuti è il persistente dualismo in ogni singolo personaggio. Eastwood, lontano dal voler rappresentare la perfezione umana, mostra le numerose sfaccettature - positive e negative - che possono risiedere in un singolo individuo.

Il bene e il male sono insiti in ognuno di noi ed è forse il costante equilibrio di entrambi che rende l’uomo una macchina perfetta. Così avremo un Richard Jewell ossessionato dalle armi, dall’essere un poliziotto e dall’esercitare un potere che ringrazia e chiede scusa anche quando non è il caso. Che non si arrabbia per i torti subiti e i tentativi di raggiro, ma che addirittura aiuta i colleghi federali a compiere il loro lavoro investigativo.

La stampa, che nel film ne esce con le ossa rotte, è prima l’artefice dell’acclamazione non richiesta di Jewell e poi è l’autore della sua condanna. Qui, come in molte altre situazioni non troppo lontane dalla realtà, la penna – che spesso ferisce più della spada – è giuria, giudice e giustiziere.

L’avvocato del protagonista, così come la giornalista che per prima dà Richard in pasto alla stampa come pericoloso mostro, rappresentano il cambiamento.

Il primo mostra un vero e proprio cambiamento fisico, passando da elegante e arrogante avvocato di un grosso studio a trasandato e vinto difensore di scartoffie.

La seconda invece mostra un cambiamento intimo e personale che però non sfugge all’occhio dello spettatore. La determinata e tagliente giornalista, che non ha alcuno scrupolo nel barattare il sesso con un buono scoop, inizia a dubitare della verità da lei raccontata e finisce in lacrime davanti ad una mamma straziata dal dolore che cerca di difendere il proprio bambino da chi lo ha condannato senza il beneficio del dubbio.

Nel film Eastwood porta sulla scena il meglio e il peggio di tutta la storia, senza risparmiare alcun colpo ai poteri forti. L’FBI, che è l’emblema del governo e del suo modo di gestire la criticità di ogni situazione, è forse l’unico elemento che non evolve anzi, se possibile, regredisce.

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Federali, poliziotti o semplici agenti di sicurezza sono tutti pronti a deridere o, peggio ancora, a condannare Richard Jewell. Nel film c’è spazio per i raggiri, la creazione di false prove, il tentativo di costruire un intero caso sull’unico sospettato, ma non per la redenzione.

Anche nel bellissimo e toccante monologo del protagonista davanti ai membri dell’FBI, che sancisce la definitiva rivalsa del mite Jewell sui subdoli federali, non troviamo alcun rimorso.

La sapiente scelta del cast

Clint Eastwood – alla soglia dei suoi 90 anni - non sbaglia un colpo e l’ennesima scelta azzeccata del cast ne è la prova. A vestire i panni del protagonista è un bravissimo Paul Walter Hauser, in grado di esprimere la genuinità del personaggio anche attraverso la gestualità.

L’immensa Kathy Bates è invece Bobi Jewell, dolce e orgogliosa madre di Richard, protagonista di un toccante appello televisivo.

L’eccentrico e sfrontato avvocato Watson Bryant ha il volto di Sam Rockwell. Con i suoi continui rimproveri al troppo accomodante Jewell è l’autore principale di siparietti simpatici e leggeri che rendono la pellicola di Eastwood ancora più piacevole e scorrevole.

Infine troviamo l’arrivista e spietata giornalista d’assalto Kahty Scruggs interpretata da Olivia Wilde e il cinico agente dell’FBI che ha il volto di Jon Hamm.

Clint Eastwood e il suo Richard Jewell non deludono, dunque, le aspettative di chi apprezza il suo ruolo di regista più che di attore – per questioni anagrafiche è chiaro – continuando la sua missione di puntare i riflettori su quegli “uomini senza nome” che hanno fatto la differenza.

Commento

Voto di Cpop

80
Eastwood centra l'obiettivo già nelle prime scene, contrapponendo la bontà del protagonista al pregiudizio sociale. Richard Jewell è un tributo, ben narrato e interpretato, alla verità prima di tutto.

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