Pokémon: Detective Pikachu, la recensione: si vola (poco) oltre i cieli dell'avventura

Autore: Elisa Giudici ,

Con gli scomodi, scomodissimi precedenti che il cinema hollywoodiano si porta dietro quando si parla di animazione e videogiochi giapponesi, c'è solo da tirare un sospiro di sollievo di fronte al risultato finale di Pokémon: Detective Pikachu. Dagli albori di questo interscambio culturale, con l'involontaria tragedia del film su Mario Bros. (uno scult come pochi altri) al recente scivolone di Netflix che ha barbaramente maciullato uno dei cult pop giapponesi potenzialmente più agevoli da importare negli Stati Uniti (vedi alla voce Death Note), la verità è che Hollywood è da anni che osserva perplessa un bacino potenzialmente infinito di storie originali: quelle provenienti dalla cultura pop giapponese. Videogiochi, anime e manga già parzialmente noti al grande pubblico, legami emozionali pre-esistenti pronti ad essere sfruttati da zero, senza nemmeno il problema di qualche scomodo predecessore con cui confrontarsi.

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Eppure Hollywood si muove con i piedi di piombo e con un impaccio che sembra difficile da spiegare e giustificare nel 2019. In un mondo così globalizzato, il pubblico non sembra aver bisogno che nomi, concetti e tradizioni nipponiche vengano traslati in contesti occidentali per consumare e digerire queste storie. Eppure gli studios procedono con titubanza e lasciando parecchi feriti sul campo. Insomma, non era affatto scontato che i Pokémon approdassero al cinema in una forma esteticamente gradevole e il più delle volte rispettosa dell'essenza stessa di quell'impero culturale e commerciale nato nel 1996 da un'idea di Satoshi Tajiri. Anzi, le recenti vicissitudini relative al film di Sonic ci ricordano che casomai siamo di fronte a una felice eccezione.

Eppure ancora una volta l'impressione è che più che andare sul sicuro, si tenti appena l'impresa, non perdendo mai di vista il proprio cuore (e la propria testa), lontanissimi dal gettarlo oltre l'ostacolo. Pokémon: Detective Pikachu manca di qualsivoglia ambizione.

Pikachu parla! 

Così come Greta Garbo, anche Pikachu fa ruotare attorno alla sua voce il tratto più forte e distintivo del film. Al posto dell'iconico pika pika, il piccolo Pokémon del film parla con la voce di Ryan Reynolds nella versione anglofona (e con quella del doppiatore Francesco Venditti in quella italiana). Un cambiamento non da poco, perché trasforma Pikachu da "animaletto iconico" nella sua carineria linguisticamente incomprensibile (ancorché emotivamente abbastanza complessa) in un personaggio a tutto tondo. Un lusso peraltro riservato solo a un altro Pokémon nell'intera pellicola. 

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È un cambiamento non da poco: pensate cosa significherebbe sentir parlare Chewbecca, capire cosa stia dicendo esattamente, proprio come i protagonisti di Star Wars che dialogano con lui. Trasformare un verso in una voce permette a un personaggio alieno, animale o altro di giocarsela alla pari con gli altri umani nel film, di poter raggiungere livelli di complessità che vanno oltre la mostruosità o la tenerezza. È particolarmente vero in Pokémon: Detective Pikachu, dove la voce di Ryan Reynolds è decisamente più familiare e famosa dei volti di gran parte del cast.

Warner Bros
Pikachu con una lente d'ingrandimento
Il vero protagonista è Pikachu, grazie alla voce di Ryan Reynolds

Qui cominciano i veri problemi della pellicola: è certo molto ammirevole puntare su interpreti poco noti come e giovani come Justice Smith nei panni del protagonista Tim o Kathryn Newton in quelli della giovane reporter Lucy, se solo si desse loro davvero qualcosa da fare. Il protagonista di fatto è Pikachu, o per meglio dire Ryan Reynolds nei panni di un Pikachu parlante e smemorato. Il paragone con Deadpool a sorpresa è calzante, al netto di tutta la scorrettezza di quel personaggio, qui sostituita da un timidissimo rimpallo di battute educatissime, laddove forse ci si aspettava un Pikachu più ironico e politicamente scorretto.

Warner Bros
I protagonisti di Pokémon Detective Pikachu in macchina
I Pokémon sbarcano su grande schermo con un'operazione poco ambiziosa

Il film punta sui Pokémon e rende loro parzialmente giustizia - con una resa visiva non eccelsa ma tutto sommato soddisfacente - perché di fatto non ha nient'altro per le mani, a parte la voce Ryan Reynolds. L'intento è quello di portare al cinema i bambini e rendere i loro accompagnatori adulti non troppo restii alla visione complice l'effetto nostalgia. Così la classica visione del mondo Pokémon tutto allenatori e duelli diventa una Ryme City, una città basata sulla convivenza pacifica tra umani e Pokémon, una sorta di Zootropolis con l'aggiunta della specie umana. Come nel film animato Disney, qualcuno minaccia la pace metropolitana con una strana sostanza, in grado far perdere il controllo ai Pokémon. 

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Il protagonista del film Tim
Il protagonista del film Tim è un personaggio privo di uno sviluppo logico e di qualsivoglia carisma

A finire sulle tracce di questo composto ci sono Pikachu e Tim, un ex appassionato di Pokemon diventato un giovane ma già grigissimo assicuratore. Il film dovrebbe ruotare tutto attorno al conflitto tra Tim e il padre investigatore che lavorava al caso. Tenta più volte di spiegarsi e spiegarci perché esattamente Tim abbia rotto ogni rapporto col padre. C'è di mezzo la salute cagionevole della madre e il super lavoro del detective, ma il tutto è spiegato in termini così nebulosi e generici che il risentimento di Tim appare piuttosto arbitrario, almeno quanto la cieca convinzione di Pikachu che il padre non sia morto nell'incidente avvenuto mentre indagava sul suo ultimo caso.

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Pochi indizi, nessun caso

È un fortuna che il film punti tutto sui Pokémon e sul senso di meraviglia e divertimento che sanno generare, perché la trama di risolve da sé in una prevedibile serie di svolte, quasi imbarazzante per chiunque abbia superato l'età prescolare, per giunta ambientata in un mondo dai contorni indefiniti e al realismo ancor più tenue. I protagonisti dai modi adolescenziali ma dalle castigatissime vite adulte si muovono in un universo che è un bizzarro miscuglio tra la nostra realtà e una sorta di superficiale visione alternativa che si ispira al design e ai look del mondo animato e videoludico dei Pokémon, senza mai decidere da che parte stare.

Per non parlare di questa generica visione notturna e neon di una megalopoli, l'ennesima che sbuca da un guscio vuoto una volta chiamato Blade Runner, una citazione che per banalità e ripetitività mi fa sempre più venir voglia di urlare in sala. Quello era il futuro immaginato nel 1982, possibile che qualcosa di così visionario (e ormai datato) venga riciclato così alla buona in una mera visione futuribile a buon mercato? 

Warner Bros
Pikachu appoggiato a un Taxi
Pikachu detective e poco più: abbastanza per una visione gradevole ma non per un buon film

La verità è che Pokémon: Detective Pikachu ha questo approccio impalpabile a quasi ogni aspetto della sua composizione. Il regista Rob Letterman si ritrova tra le mani una sceneggiatura anonima, che si salva giusto per il target molto giovane di pubblico a cui è rivolta. Laddove Alita e Ghost in The Shell - con un approccio che non poteva che essere più adulto - hanno mancato il bersaglio, Pokémon: Detective Pikachu lo colpisce con la forza delle cose semplici, quando non semplicistiche, aiutato anche da una bella razione di nostalgia. D'altronde ha per le mani uno dei franchise più potenti e redditizi degli ultimi decenni, per cui gli basta mettere a frutto le idee vincenti altrui per tirar fuori un film molto banale ma comunque piacevole da vedere.

Chissà cosa avrebbe potuto fare Letterman, che già aveva gestito egregiamente un adattamento abbastanza accattivante di un'altra icona dell'epoca come i Piccoli Brividi, se avesse avuto per le mani un film con la benché minima ambizione di dire, fare, osare qualcosa di più di questa pellicola senza rischi e senza audacia. 

Pokémon: Detective Pikachu sarà nelle sale italiane a partire dal 9 maggio 2019.

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Curato da: Andrea Sala

Commento

Voto di Cpop

65
La resa grafica dei Pokémon e l'effetto nostalgia rendono il film gradevole, ma destinato a un pubblico così ingenuo che non cattura davvero come potrebbe gli adulti, se solo ne avesse l'ambizione.

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