Damsel, recensione: una fiaba Netflix femminista contro la violenza sistematica

Damsel, il nuovo film con Millie Bobby Brown su Netflix, incuriosisce sicuramente, offrendo un racconto che sovverte pur mantenendosi fresco e semplice.

Autore: Nicholas Massa ,

Immaginatevi di imbattervi nella fiaba più classica che ci sia, in uno di quei mondi medioevali verdissimi abitati da re, regine, castelli, principesse e draghi. Un racconto nella cui semplicità si annidano modelli sia riconoscibili che interessanti da analizzare e, eventualmente, approfondire e proiettare nella nostra attualità. Il tutto in un lavoro a stretto contatto con la percezione di ciò che è giusto o sbagliato, finanche semplificandone le dinamiche con finalità prevalentemente educative. Trovando le proprie origini in un contesto del genere, Damsel, il nuovo film con Millie Bobby Brown, fortunatamente ne stravolge gli stereotipi rielaborandone le potenzialità concettuali, pur mantenendosi saldamente ancorato allo stesso immaginario che vuole mettere in discussione fin dall’inizio.

“Mettere in discussione”, questa è forse una delle espressioni più corrette nell'introdurre un lungometraggio come Damsel, disponibile su Netflix dall'8 marzo 2024, e anche una delle attrattive maggiori a ispirare la curiosità nei suoi confronti. Tutti noi siamo stati cresciuti con le classiche favole in cui bellissime principesse, quasi sempre in pericolo, vengono prontamente salvate dal principe azzurro di turno, contribuendo ad alimentare stereotipi di natura sessista e superficiale protrattisi nel tempo. Damsel ragiona in senso opposto e lo fa in modo abbastanza semplice, lavorando su una visione sicuramente interessante, anche se non troppo originale.

Damsel: una tradizione che inganna

La storia al centro di Damsel è più semplice che mai. Elodie (Millie Bobby Brown), principessa di un regno in rovina, accetta di sposare un principe che non ha mai visto né conosciuto, decidendo di mettere da parte la propria visione e ideale romantico per aiutare il proprio popolo a riprendersi. Spinta dal padre, viene convinta che questa sia l'unica soluzione possibile e si unisce in matrimonio con il principe Henry, erede di una monarchia ricchissima e in perfetta salute. Le nozze, elegantissime, private e abbastanza rapide, però, nascondono un rito segreto che da sempre alimenta il progresso ed esistenza della dinastia regnante.

Una volta unitasi ufficialmente con Henry, Elodie verrà condotta nei meandri di una montagna in cui verrà abbandonata come sacrificio in un rituale antico e fondamentale per la sua nuova famiglia. Gettata nell’oscurità di un dirupo senza vie di fuga che non siano le gallerie ancora più buie, la ragazza si troverà faccia a faccia con un famelico e gigantesco drago, pronto ad accoglierla fra le sue fauci. In una situazione del genere, la protagonista di Damsel avrà solamente due possibili strade da percorrere: arrendersi al proprio dolore e macabra fine, o prendere in mano il proprio destino e lottare con tutte le sue forze per cercare, da sola, una via di fuga da una situazione apparentemente senza sbocchi.

©2023 NETFLIX, INC. John Wilson/Netflix
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Emancipazione fiabesca

La reale attrattiva ispirata da Damsel, ovviamente, risiede proprio nel capovolgimento di una situazione fiabescamente stereotipata e nelle critiche oltre il piccolo schermo in questo senso. Tutta la fascinazione deriva proprio dal racconto di emancipazione che fa da voce portante dell’intera narrazione, rompendo con i modelli che tutti conosciamo da sempre in questo senso. L’evoluzione della protagonista è l’elemento preminente di tutto il lungometraggio, nonché l’aspetto più interessante da vedere in perfetta contrapposizione alle storie in cui il coraggio e l’abilità avventuriera restano di appannaggio esclusivo maschile. Elodie è la classica principessa delle favole, nella sua bellezza risiede anche l’ingenuità iniziale di una sottomissione radicata nel contesto in cui è nata e sta crescendo quando la conosciamo. Questa identificazione specifica, però, si scontrerà ben presto con un’ingiustizia che da tempo si scaglia proprio sulle fanciulle che scelgono di “obbedire” in questo senso, alimentando qualcosa di oscuro e molto più grande di loro.

Obbedienza, sottomissione, reazione e scoperta di sé e della propria forza oltre tutto il resto. Ecco che Damsel s’impegna a costruire un mondo innanzitutto estremamente familiare e coloratissimo, per poi contrapporre alla sua “patina dorata” un vero e proprio femminicidio ramificato nel profondo. La sistematicità di una violenza sottocutanea in funzione di un contesto che guarda dall’altra parte negandone proprio l’esistenza. Da questo punto di vista, Damsel colpisce arrivando a toccare corde interessanti. La storia stessa della protagonista non si rispecchia mai, una volta uniti i puntini, verso un antagonista fisico o unico, sfaccettando la visione di un male che ha preso il sopravvento in modo molto più ampio e complesso di quanto si possa immaginare.

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Il drago, così come la grotta buia e tutto ciò che Elodie trova al suo interno, sono infatti degli step di passaggio connessi con un ragionamento difficile da etichettare o identificare semplicemente in qualcuno. Lavorando su un contesto del genere, quindi, Damsel mette in scena una storia di rivalsa tutta al femminile e di emancipazione oltre il terrore delle tenebre. La forza di reagire della protagonista diventa subito un modello positivo assolutamente da reiterare, pur nelle sue caratteristiche estreme, lavorando su un’auto-consapevolezza capace di trovare la propria strada anche quando ogni cosa sembra andare contro di lei.

Damsel: semplicità e poca originalità

Se dal punto di vista concettuale Damsel lascia il segno, è nella resa e caratterizzazione generale del racconto a non risultare troppo impattante. Il film diretto da Juan Carlos Fresnadillo porta avanti i propri ragionamenti lavorando sempre e comunque in un contesto che fa del semplicismo una costante. È vero che un approccio del genere si ricollega perfettamente alle stesse dinamiche descrittive che si potrebbero riscontrare anche in una favola ma… a mancare, in questo caso, è proprio quell’originalità in grado di sorprendere e lasciare senza parole.

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Damsel non è affatto la prima opera figurativa a tentare di sovvertire le regole e gli stereotipi fiabeschi (guarda tutta la saga di Shrek che ha fatto di questa idea qualcosa di geniale e iconico) ma… nel suo svolgimento è impossibile non prevedere quello che avverrà prossimamente, o comunque restarne sinceramente sorpresi fin dall’inizio. L’idea alla base del film è quindi più chiara che mai, ponendosi subito come lettura principale di un’esperienza che colpisce, senza però riuscire mai a stupire. Lo sguardo concettuale, così come l’interpretazione di Millie Bobby Brown, restano i valori preminenti di un'opera sia fresca che di rapida fruizione.

Commento

Voto di Cpop

65
Damsel è uno di quei film che si rivolge direttamente al pubblico fin dalla fase di sponsorizzazione, attirando a sé per la costruzione concettuale e il coinvolgimento di una star riconoscibile. Nel suo insieme il lungometraggio, su Netflix dall'8 marzo 2024, diverte e incuriosisce, offrendo una fiaba dal gusto fresco e attuale, e sovvertendo gli stessi clilché in cui il proprio immaginario di fondo si genera. Nella semplicità generale ci si interfaccia con un prodotto che sa intrattenere, pur trattando dinamiche molto serie e dal peso non indifferente. Tutto si posa sull'interpretazione di Millie Bobby Brown, in un'esperienza che convince in questo senso, pur nella sua generale semplicità.

Pro

  • Le tematiche di fondo e la scelta di sovvertire i cliché delle favole lavorando su argomenti come il femminicidio sistematico e simili.
  • L'interpretazione di Millie Bobby Brown.

Contro

  • ...pur restando ancorati a una semplicità di fondo piuttosto prevedibile.
  • Il fatto che gli altri personaggi non vengano mai approfonditi in qualche modo.
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