Tempo d'estate, tempo di cinema all'aperto e di classifiche di metà anno. L'impresa è ardua e destinata a rivelarsi parziale: mancano ancora all'appello i film che vedremo a Venezia 75 (che aprirà con il nuovo lungometraggio di Damien Chazelle), a Toronto e nella ricchissima stagione invernale.
Dopo sei mesi di cinema autoriale e commerciale è già possibile stillare un bilancio di questa annata cinematografica. A scorrere stime e recensioni la parte del leone la fanno ancora i film della scorsa ricchissima stagione degli Oscar, usciti da noi ad inizio annata. Il contributo di un appuntamento essenziale come Cannes è ancora tutto da valutare, anche se gli italiani hanno fornito pellicole di pregio già approdate in sala. Anche sul fronte blockbuster non sono mancate sorprese positive, con in particolare Marvel che ha assestato due grandi colpi al botteghino e nell'immaginario collettivo. Attenzione anche al genere fantascientifico, che torna a proporsi come il più capace di sperimentare con successo.
Questi sono i film - finora passati in sala - che hanno più convinto nel 2018. Nell'attesa vi segnalo già che nei prossimi mesi almeno due titoli eccellenti del Festival di Cannes sono destinati ad arrivare nelle nostre sale e a entrare in classifiche di questo tipo: la bellissima Palma d'Oro Un affare di famiglia (che vi ho già recensito) e il suo superbo Cold War del polacco Paweł Pawlikowski.
I migliori film del 2018 (finora)
Avengers: Infinity War
Il MCU ha saputo non farsi inghiottire dal gigantismo del "più ambizioso crossover della storia" e è riuscito a plasmare un colpo di scena all'altezza delle aspettative generate dall'approdo della saga di Infinity War al cinema. Mai il termine di cast all star è stato più appropriato, raramente un gruppone di volti noti a livello mondiale è stato meglio sfruttato.
Certo il minutaggio è imponente, ma per una volta forse giustificato in toto. Anche Black Panther è stato una hit del 2018, ma non può rivaleggiare a livello cinematografico con questo super blockbuster, pur avendo a sua volta avuto un enorme impatto culturale a livello globale. La recensione del film.
Il filo nascosto
Il più recente film di Paul Thomas Anderson sarà davvero l'ultimo progetto cinematografico di Daniel Day-Lewis? Il tempo ci darà la risposta. Se così fosse, uno dei più iconici attori statunitensi direbbe addio al mondo del cinema con un lungometraggio sublime e diabolico, capace di analizzare la vita di coppia oltre le convenzioni e dentro le sue più sottili perversioni. È uno dei migliori lavori di Anderson e giocarsela alla pari con i titoli più celebri della sua incredibile filmografia è già di per sé una vittoria.
Peccato solo che l'edizione home video non sia all'altezza del lungometraggio. La recensione del film.
Chiamami col tuo nome
Si è parlato lungamente e approfonditamente di questo film, capace di (ri)lanciare le carriere di tutti i nomi in esso coinvolti. Chiamami col tuo nome è un piccolo miracolo di grande cinema fuori dal tempo, universale e particolare, la cui dimensione estetica fa risuonare ancora di più la potente carica emozionale della storia di Elio e Oliver.
Il suo traguardo più incredibile è quello di aver portato alla gloria Luca Guadagnino, regista italiano di pregio ma più che avversato negli scorsi anni nel suo stesso paese, oggetto di campagne di denigrazione e odio. In attesa di vedere come se la caverà con il remake di Suspiria, basta vedere come sia omaggiato oggi in Italia per rendersi conto dell’impatto di un titolo destinato a diventare un classico. La recensione del film.
Red Sparrow
Jennifer Lawrence diventa una spia russa che non amava, calcolatrice e fredda tanto quanto il film insolitamente rigoroso e cupo che la circonda. Sembrava un thriller come tanti altri, invece si è rivelato un gioco di nervi e spie serissimo e tra i più trasgressivi dell’annata, dove è la stessa star a prestarsi a scene di nudo e di violenza mai smorzate.
Non è stato un successo incontestabile di critica e pubblico, ma si è fatto notare come un titolo tra i più coraggiosi e sprezzanti dell’anno. Fossero tutti così gli adattamenti dei best-seller da classifica. La recensione del film.
L’isola dei cani
Wes Anderson ormai fa quasi il verso a sé stesso e al suo stile di regia unico e inconfondibile. Complice un’annata non proprio eccitante alla Berlinale, il regista statunitense di The Grand Budapest Hotel ne è uscito ancora una volta come il vincitore morale del festival.
Certo L’isola dei cani è un usato sicuro, ma non sono molti i registi in grado di ripetere sé stessi a questo livello, riuscendo a entusiasmare il pubblico. La recensione del film.
Annientamento
Forse il primo, vero colpo cinematografico di Netflix. Il merito va equamente diviso tra lo studios che ha raccolto un progetto quasi abortito da un rivale tradizionale e un visionario come Alex Garland, capace di impossessarsi del successo di Jeff VanderMeer e di ripiegarlo e ribaltarlo fino a renderlo una creatura sua.
Tra i tanti tentativi di cast femminili visti quest’anno quello di Annientamento è forse quello che ci prova di meno a essere femminista e ci riesce di più. Peccato che i limiti tecnici di un budget comunque risicato vengano tutti impietosamente a galla. Meglio il libro insomma, ma la versione cinematografica si difende davvero bene. La recensione del film.
Un posto tranquillo
Prendi uno spunto da thriller o horror semplicissimo - se fai rumore, muori - e sviluppalo con rigore, coerenza interna e tenacia.
Il primo degli horror più apprezzati della stagione fa sembrare la sua solida costruzione un faccenda semplicissima, quando il mercato talvolta desolante di questo genere ci ricorda che non lo è. La recensione del film.
Io, Tonya
In un marasma di biopic più o meno riusciti, Io, Tonya è l’unico che piega la realtà della sua controversa protagonista a uno scopo ancor più ambizioso: tracciare il ritratto di un’America opportunista e sleale tanto quanto la sua pattinatrice più nota.
Margot Robbie si è dimostrata molto, molto più di uno schianto di bionda che ci hanno descritto gli Studios. Da produttrice ha fiutato la storia giusta per far emergere il suo talento e ha scovato il regista giusto per l’operazione, accreditandosi come la nuova Charlize Theron. La recensione del film.
Petit Paysan - un eroe singolare
Dove la Francia scovi tutti questi esordienti eccellenti rimane un mistero. In una sola annata si sono imposti Xavier Legrand con il bellissimo L’Affido (capace di dare un colpo di coda non indifferente all’ultima giornata di concorso di Venezia 74) e Hubert Charuel con il thriller rurale che davvero non ti aspetti.
Entrambi i progetti denunciano la giovinezza di chi li guida, ma sono più che riusciti. Viene quasi da invidiare i nostri cugini d’Oltralpe, capaci di sfornare un film in cui il corpo del reato è quello di una placida mandria di vacche al pascolo.
Dogman
Per fortuna che a salvare il cinema italiano (una delle nazioni meglio uscita da un’edizione un po’ sottotono di Cannes) ci ha pensato come sempre Matteo Garrone. Con mano sicura e sguardo acuto ma simpatetico, in Dogman è riuscito ad entusiasmare la critica internazionale, sviscerando l’estetica più sublime dalla più degrada periferia romana.
Insieme al pregevole Lazzaro Felice, Dogman ci rassicura sullo stato di salute del cinema autoriale italiano, un po’ meno sulla capacità di esprimere nuovi nomi o di lanciare autori consolidati all’estero. Garrone conferma di meritare una possibilità di brillare a livello internazionale con un budget ben superiore a quello qui utilizzato. La recensione del film.
La truffa dei Logan
È difficile star dietro alla filmografia sempre in fase di aggiornamento di Steven Soderbergh, uno che quando è in fase contemplativa sforna almeno un paio di film l’anno.
Non tutte le ciambelle riescono col buco (vedi Unsane), specie quando ogni film deve diventare una sfida sperimentale e anti sistema. Rimane il fatto che questo suo anti-Ocean’s dà parecchi punti all’ultimo capitolo ufficiale della saga e agli altri “colpi grossi” dell’annata. La recensione del film.
Ghost Stories
Prendi un’idea, anzi tre. Trasformale in un'antologia horror di maniera, quella fatta bene a livello cinematografico e recitato ancor meglio da un pugno di attori che alzano il già altissimo livello di britannicità del progetto.
Guidato da un Martin Freeman eccellente, Ghost Stories si diverte un mondo a calarsi nel solco più profondo del horror cinematografico e a percorrerlo, spaventando lo spettatore non con i jump scarse, ma con la sostanza. Certo forse a volte si fa prendere la mano, ma la passione è solo un valore aggiunto. La recensione del film.
La terra di Dio
Cosa significa avere uno studios alle spalle? La differenza la racconta questo film inglese molto intenso e riuscito, praticamente contiguo alla pellicola di Luca Guadagnino per tematica e ambientazioni.
Eppure La terra di Dio è uscito in un pugno di sale milanesi su tutto il territorio nazionale, sostenuto più dalla buona volontà degli esercenti e da una media per sala impressionante che dalla distribuzione autoctona. A riprova che forse siamo aperti al cinema queer e autoriale, ma c’è ancora un certo timore verso le pellicole di grande fattura ma senza grandi star e con qualche scena esplicita in più.
Il sacrificio del cervo sacro
In territorio più marcatamente autoriale - in attesa di vedere i nuovi titoli di Kore-eda e dei protetti dei festival europei - Yorgos Lanthimos e la sua acredine verso l’umanità non hanno per ora rivali.
Certo ci mette parecchio ad arrivare al punto, snervando lo spettatore con le sue atmosfere affettate e surreali, ma l’ultima mezz’ora di Il sacrificio del cervo sacro è tra le più vertiginose e meglio orchestrate dell’annata, specie se volete perdere un po’ di fiducia nel genere umano. La recensione del film.
I segreti di Wind River
A sorpresa è proprio il genere thriller - di solito più che entusiasmante - a latitare in questo inizio di 2018.
Grazie all’uscita ritardataria di questa cupa storia di delitto e disperazione negli Stati Uniti delle riserve dei Nativi, gli amanti del poliziesco vagamente esistenziale non sono rimasti del tutto a bocca asciutta. La recensione del film.
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