Nel corso dei decenni, in particolare col passaggio dall'Ottocento al Novecento, il cinema horror ha attraversato un'incredibile evoluzione, di pari passo con quella della paura umana. Da sempre i film dell'orrore hanno cercato di riflettere uno stato d'animo comune e condiviso, figlio del proprio tempo.
Questo genere cinematografico, forse il primo ad avere una precisa identità inequivocabile, è stato capace di tramutare un sentimento primordiale - quello della paura - in immagini, sfruttando tutti i mezzi a disposizione per non sgretolarlo e riportarlo sullo schermo nella sua interezza e nella sua autenticità.
Raccontare il cinema horror, dagli albori fino ai giorni nostri, non è affatto un gioco da ragazzi, ma è possibile percorrere il lungo viaggio attraverso i principali film cult che ne hanno scritto la storia.
- Il primo film horror della storia
- Nosferatu, il primo vampiro del cinema anni '20
- La Horror Universal
- Freaks e la censura
- La strada verso l'horror anni '60
- I cult horror degli anni '70: da L'esorcista al primo slasher
- Il cinema horror degli anni '80
- Le sperimentazioni tra gli anni '90 e 2000
- Il nuovo cinema horror
Il primo film horror della storia
Trattandosi di un sentimento intrinseco nell'animo umano, la paura ha sempre trovato una forma di espressione, a partire dalle arti visive e dalla letteratura, in particolare quella gotica. Tuttavia, verso la fine del XIX secolo, il terrore, l'angoscia e lo spavento hanno preso letteralmente vita, con la nascita del cinematografo nel 1895: fin da subito, le immagini in movimento hanno affascinato il pubblico, che certamente non si aspettava di vedere le proprie paure riflesse su di esse.
Se si volesse scovare il primo film horror della storia, si potrebbe risalire a Le Manoir du Diabie di Georges Méliès del 1896. Si tratta di un cortometraggio di 3 minuti in cui un pipistrello si trasforma in Mefistofele. Guardando la pellicola, si poteva assistere alle primissime sperimentazioni sugli effetti speciali, che naturalmente il pubblico odierno considererebbe innocui ma per l'epoca erano sicuramente suggestivi.
Se invece parliamo di lungometraggi, il primo potrebbe essere Lo studente di Praga, film muto tedesco di Stellan Rye del 1913, considerato anche il primo esperimento d'autore e d'avanguardia. Il protagonista è Baldovino, un umile studente che si innamora di una contessa. Pur di avere una possibilità con la donna, stringe un patto con il Dottor Scapinelli, una figura mefistofelica che gli promette 100.000 monete d'oro in cambio del suo riflesso allo specchio.
Nonostante il personaggio di Scapinelli e l'espediente narrativo del patto col diavolo, la pellicola di Rye era ancora ben lontana da quelle che hanno effettivamente cercato di sviscerare le paure umane. Allo stesso modo, anche Il Golem di Paul Wegener e Henrik Galeen è considerato una delle prime sperimentazioni horror. Il lungometraggio, infatti, risale al 1915 e narra la storia del leggendario mostro d'argilla, ma si tende a cercare le vere origini del cinema horror altrove. Il primo vero lungometraggio precursore di questo genere potrebbe dunque essere Il gabinetto del dottor Caligari del 1920, diretto dal regista tedesco Robert Wiene.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Germania è stata pervasa dal senso di sconfitta, dal declino economico e da un un clima cupo, con una popolazione traumatizzata dalla violenza della guerra. In questo contesto politico e sociale, l'arte sì è evoluta come mezzo di comunicazione per trasmettere questo stato d'incertezza e di oscurità, dando vita a quello che tutti conosciamo come Espressionismo. Il cinema non si è certo sottratto a questa nuova tendenza artistica e Il gabinetto del dottor Caligari ne rappresenta tuttora un vero manifesto.
Si tratta della storia di Francis, un uomo che diventa vittima delle manipolazioni del Dottor Caligari, cadendo in preda alla follia e non riuscendo più a distinguere la realtà dalla finzione. Le scenografie del lungometraggio di Wiene sono cupe, stravaganti e distorte. Giochi di luci e ombre sono essenziali per rendere sullo schermo un clima inquietante e i volti dei personaggi sono caratterizzati da forti chiaroscuri che li rendono terrificanti. Le atmosfere da incubo del film hanno avuto un impatto decisivo sugli esperimenti successivi.
Nosferatu, il primo vampiro del cinema anni '20
Il cinema tedesco non ha smesso di terrorizzare il pubblico: nel 1922 è stato proiettato Nosferatu il Vampiro, film di Friedrich Wilhelm Murnau liberamente ispirato a Dracula di Bram Stoker. O meglio, ne ha ripreso pedissequamente la trama, cambiando nomi, ambientazioni e alcuni dettagli. Il Conte Orlock (Nosferatu), interpretato da Max Schreck, è una mostruosa creatura che si nutre di sangue. Una volta giunto al villaggio Wisborg, porta con sé bare piene di terra infetta dalla peste nera, diffondendo la letale epidemia all'interno della comunità.
Con questo film si era ancora nel pieno dell'Espressionismo, con giochi di luci e ombre che accompagnavano la narrazione inquietando il pubblico. Tuttora è praticamente impossibile non accorgersi della grande metafora del film di Murnau: la diffusione di un'epidemia sociale che, a quel tempo, affliggeva la popolazione tedesca in un periodo di sfiducia, incertezza e paura. L'immagine del temibile Nosferatu, signore sanguinario che teneva in pugno la popolazione nascondendosi dietro la maschera di Orlock, non faceva altro che riflettere l'incubo di una possibile dittatura.
La Horror Universal
Il cinema horror ha impiegato veramente pochissimo ad attraversare gli oceani e ad arrivare negli Stati Uniti. Qui i cineasti tedeschi hanno portato con sé tecniche e rappresentazioni del terrore, influenzando la produzione americana di quel periodo, "antenata" del cinema horror statunitense vero e proprio.
Una delle major, in particolare, ha subito compreso la portata di questo nuovo genere cinematografico, ossia la Universal Pictures, dando vita a quella conosciuta come età dell'oro per i film dell'orrore (dagli anni '20 fino agli anni '40).
In America, questo è stato il periodo della comparsa dei monster movie: uno dei primi ad interpretare un mostro è stato Lon Chaney, già noto nel 1923 per il ruolo di Quasimodo nel film Il Gobbo di Notre Dame, che nel 1925 ha impersonato il fantasma Erik in Il Fantasma dell'Opera. Il suo talento non risiedeva soltanto nelle capacità recitative, ma anche in quella di ottenere trucchi creativi ed emotivamente potenti. Chaney era noto come "l'uomo dalle mille facce", grazie alla sua abilità di dar vita a creature dalle forme grottesche, mai viste prime al cinema.
Tuttavia, i primi veri film horror della Universal sono stati proiettati nel 1931: Dracula di Tod Browning e Frankenstein di James Whale, due lungometraggi così innovativi da essere diventati dei classici.
Dracula, Franenstein e i monster movie
Nosferatu il Vampiro di Murnau è stato sin da subito un film maledetto, per via delle accuse di violazione di copyright da parte della famiglia di Stoker. Il regista, infatti, fu costretto a distruggere ogni copia prodotta del film - ma per fortuna una di esse fu dimenticata e così è giunta fino a noi.
Proprio per questo, nel 1931 non fu commesso lo stesso errore: la produzione di Dracula di Tod Browning acquisì legalmente i diritti e il film divenne in pochissimo tempo un vero cult del settore. D'altra parte, era uno dei primi film horror a sfruttare pienamente il sonoro, anche se privo di colonna sonora. Non bisogna poi dimenticare il magnetismo dell'attore ungherese Bela Lugosi, un uomo dall'eleganza aristocratica che ha restituito un'interpretazione magistrale del Conte Dracula.
Tratto dal romanzo di Mary Shelley del 1818, Frankenstein di James Whale è diventato presto un altro cult del cinema horror americano e non solo. La temibile creatura del Dottor Frankenstein, riportato in vita da una scienza immorale, ha certamente spaventato il pubblico nel 1931. Tuttavia, Whale aveva deciso di coltivarne il lato umano, esortando ad un approccio più empatico nei confronti della creatura.
Sicuramente il trucco di Boris Karloff, realizzato da Jack Pierce, riusciva a suggestionare gli spettatori: l'applicazione di palpebre finte per uno sguardo più cupo e un pesante cerone verde che gli ricopriva il volto e che, in qualche modo, doveva far pensare alla putrefazione. Forse nessuno all'epoca avrebbe mai immaginato quanto questo make-up sarebbe diventato iconico, ma sta di fatto che la Universal Pictures detiene tuttora i diritti d'immagine su quella rappresentazione.
Il film Frankenstein, tuttavia, si è sempre posto un ulteriore obiettivo, ossia quello di esplorare i confini della conoscenza e della tecnologia, toccando una paura umana ancora più primordiale, strettamente legata al periodo socio-culturale dell'epoca: quella di spingersi troppo oltre, sfidando appunto i limiti della scienza e della vita stessa.
La Universal Pictures ha scommesso tutto sui mostri e il suo cinema horror si è arricchito di numerosi personaggi. Ancora una volta, Boris Karloff ha dimostrato il proprio talento nei panni del sacerdote Imhotep nel film La Mummia di Karl Freund del 1932. Anche in questa occasione, il trucco di Jack Pierce ha contribuito a creare una mummia impressionante.
L'anno successivo, James Whale ha portato sullo schermo L'Uomo Invisibile, con Claude Rains nei panni dell'iconico uomo avvolto dalle bende. Nel 1935, lo stesso regista ha dato vita a La Moglie di Frankenstein, in cui l'iconica creatura condivide lo stesso destino con un'altra simile a lui, stavolta di sesso femminile.
Ancora, alla rosa di creature leggendarie si sono aggiunti i Licantropi: nel 1935 è stata la volta di Stuart Walker con Il Segreto del Tibet (una traduzione piuttosto libera dell'originale Werewolf of London). Questa nota figura folkloristica è così diventata uno dei mostri cinematografici: ad impressionare il pubblico era la fase della metamorfosi, da uomo a bestia incontrollabile.
La fortuna della Universal ha spesso incontrato degli ostacoli: negli anni '40, molti monster movie hanno dimostrato una qualità nettamente inferiore rispetto ai grandi cult del decennio precedente, dando vita alla cosiddetta categoria dei B-movie. Non solo: molto spesso sono state realizzate delle vere e proprie parodie, volte a ironizzare sulle figure che finora avevano spaventato il pubblico.
Questa fase è stata tuttavia superata nel 1954, quando un altro mostro è entrato a far parte nel catalogo Universal: il Gill-Man, protagonista dell'horror Il Mostro della Laguna Nera di Jack Arnold. Questa creatura, metà uomo e metà pesce, riusciva effettivamente a spaventare il pubblico, ma era anche in grado di intrigarlo grazie ai primi sottili riferimenti all'aspetto erotico dell'orrore.
Freaks e la censura
Nonostante il grande successo delle pellicole horror nei primi decenni, non bisogna dimenticare la presenza ingombrante della censura. Lo stesso Dracula di Browning ne è stato fortemente vittima, con la rimozione delle urla del conte nel momento della sua morte, così come la dichiarazione finale di Van Helsing sull'esistenza dei vampiri.
Il caso più memorabile è stato sicuramente Freaks del 1932, un altro film di Browning, è stato etichettato come perverso e malsano, e dunque reso vittima di censure e condanne. La pellicola presentava attori con deformità fisiche reali e mostrava atti di violenza che erano inammissibili sul grande schermo. Nonostante i numerosi tagli, il film è stato condannato, segnando il declino della carriera del regista. Solo negli anni '70 e '90 Freaks è stato riconsiderato per il suo importante sguardo riflessivo verso la società del tempo.
La strada verso l'horror anni '60
Questo regime così rigido e conservatore è stato pressoché abbandonato durante gli anni '50 e '60. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, c'era l'esigenza di affrontare gli orrori reali; proprio in questo contesto, è nata la Hammer, una casa di produzione britannica inaugurata da L'astronave atomica del dottor Quatermass nel 1955. Il suo tentativo era quello di esorcizzare le paure legate alla guerra atomica.
La Hammer ha dovuto il proprio successo al passaggio al cinema a colori e alla grande voglia di osare sempre di più. Anche la componente erotica e sessuale hanno giocato un ruolo sempre più evidente. Per molto tempo questa casa di produzione britannica è stata considerata la degna erede della Universal Pictures, tuttavia portando sullo schermo "un horror ancora più horror".
Il secondo dopoguerra ha lasciato un'impronta indelebile sul cinema horror, che ha sviscerato la paura delle esplosioni atomiche e, di conseguenza, di un uso irresponsabile della scienza e delle tecnologie. La fine degli anni '40 ha rappresentato un periodo di svolta nella conoscenza dello Spazio, generando un certo fascino ma anche - e soprattutto - terrore dell'ignoto.
Il cinema ha iniziato a produrre cult di questo genere principalmente negli anni '50. Un esempio emblematico è La cosa da un altro mondo del 1951 diretto da Christian Noby e Howard Hawks. Il film narra di una spedizione scientifica in una base di ricerca, che entra in contatto con una creatura aliena letale e sanguinaria. Questa pellicola ha ispirato il remake di John Carpenter nel 1982.
Un altro film cult nel panorama horror fantascientifico è L'invasione degli Ultracorpi, diretto da Don Siegel nel 1956 e prodotto negli Stati Uniti. Questo film doveva essere un simbolo della paura americana nei confronti del nemico comunista. La storia è quella di una piccola cittadina della California, i cui abitanti vengono sostituiti da cloni alieni invasori.
Nello stesso periodo dei film sugli alieni, il fascino per gli esperimenti scientifici si è fatto largo con cult destinati a segnare il cinema horror. Primo fra tutti L'esperimento del dottor K. del 1958 di Kurt Neumann, che puntava tutto sul terrore della metamorfosi da essere umano a creatura mostruosa. Questa pellicola ha ispirato David Cronenberg nel 1986, anno di uscita del film La mosca. Qui la metamorfosi doveva richiamare alla mente l'avanzamento di una malattia, riflettendo la paura per l'AIDS che all'epoca tormentava la società.
Con l'arrivo degli anni '60, la filmografia horror si è arricchito con un cult che non solo ha guadagnato più di 18 milioni di dollari, ma che ha anche dato vita a un sottogenere del cinema horror, ancora oggi assai gettonato. Il 1968 è stato l'anno di La notte dei morti viventi di George A. Romero, considerato il primo vero film sugli zombie, i cosiddetti "morti viventi". Macabro e sovversivo, la pellicola di Romero ha adottato un approccio molto più splatter rispetto alla filmografia dell'epoca, con genere sanguinose aspramente criticate a quel tempo.
Se il 1968 è stato un anno fortunato per i cult cinematografici (si pensi anche a 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick), al tempo stesso ha rappresentato un momento cruciale per la Guerra in Vietnam. La notte dei morti viventi non si riferiva esplicitamente a un evento così devastante, ma in qualche modo ne ha sempre costituito una metafora, traslando gli orrori della guerra su un piano immaginario pieno di zombie, ossia esseri umani senza un'individualità, così come gli eserciti che avevano assorbito ideali inculcati da qualcun altro.
Al tempo stesso, attraverso Ben - protagonista afroamericano - Romero ha scavato ancor più in profondità all'interno delle crepe della società americana, portandone sullo schermo il volto fortemente razzista e intollerante, con un particolare riferimento alla morte di Malcom X e Martin Luther King.
Hitchcock e l'horror psicologico
Un altro sottogenere del cinema horror degli anni '60 è quello psicologico. Questi film avevano come obiettivo quello di concentrarsi sul terrore scaturito da stati emotivi disturbanti. Il segreto era creare suspense intorno a personaggi inquietanti, spesso affetti da disturbi mentali. In questo panorama, uno dei maestri dell'horror psicologico è stato sicuramente Alfred Hitchcock, con due titoli chiave: Psyco nel 1960 e Gli Uccelli nel 1963.
Psyco, in particolare, non ha certamente bisogno di presentazioni, essendo uno dei cult più celebri non solo nell'horror bensì nella storia del cinema in generale. Tratto dall'omonimo romanzo di Robert Bloch, narra le vicende ispirate alle azioni del serial killer Ed Gein. Il protagonista Norman Bates è presto diventato uno dei più famigerati assassini del cinema.
Anche il film Carnival of Souls del 1962 di Herk Harvey ha dato un consistente contributo al filone dell'horror psicologico, portando gli spettatori a confrontarsi con vicende surreali, angosciose e allucinogene della protagonista Mary.
Il contributo del cinema horror italiano
Finora si è parlato del panorama tedesco, americano e britannico, ma c'è da dire che anche l'Italia ha saputo cavalcare l'onda del genere horror, specialmente negli anni '60. Alcuni film sono diventati dei veri e propri cult, come La Maschera del Demonio di Mario Bava, diretto nel 1960. La pellicola si ispirava molto alle produzioni della Hammerquat, ma con contenuti e tecniche assai più audaci.
Il film narra della resurrezione di una strega moldava (impersonata dalla diva Barbara Steele), uccisa secoli prima e tornata in vita per la sua vendetta. Qui i nuovi linguaggi cinematografici si univano a un setting gotico, con l'aggiunta di primi piani sui momenti splatter e con una certa propensione a mostrare la necrofilia, modellata sulla carica erotica della protagonista.
Con questa pellicola, Bava è presto diventato un'icona nel cinema horror italiano e un punto di riferimento per i titoli successivi, noti a livello internazionale. Questo è quanto successo per il suo Terrore nello Spazio del 1965, che ha ispirato l'iconico Alien di Ridley Scott.
I cult horror degli anni '70: da L'esorcista al primo slasher
L'horror degli anni '70 ha rappresentato un vero e proprio spartiacque tra un "prima" e un" dopo". Se fino a quel momento la filmografia era spesso ancora legata a un fascino prettamente gotico, in questo decennio tutto è cambiato. Le figure folcloristiche iniziavano a scomparire e l'orrore non risiedeva più in tetri castelli di lontani villaggi europei, bensì nella realtà quotidiana, quanto più vicina all'essere umano. In fondo, anche le paure dell'uomo stesso erano mutate, in concomitanza con il nuovo clima socio-politico intriso di pessimismo e sfiducia.
Nel cinema horror degli anni 70 si sono fatti largo i temi dell'occulto e del demoniaco, in relazione alle tantissime notizie di cronaca sulla nascita di sette sataniche o dedite a culti misteriosi: basti pensare alla setta di Charles Manson. Uno dei cult più celebri e tuttora iconici nel cinema horror è nato nel 1973, tratto dall'omonimo romanzo di William Peter Blatty del 1971. Si tratta del film L'esorcista del regista William Friedkin, scomparso ad agosto 2023.
Questo film ha esplorato livelli altissimi della paura umana, causando persino svenimenti, crisi e "isterie" durante la proiezione in sala. Per questo motivo, molte scene sono state censurate. La pellicola sfruttava il terrore causato dall'idea che Satana potesse effettivamente manifestarsi nella realtà, insinuandosi nei corpi, sfigurandoli o costringendo loro a commettere atti atroci. Questo cult è stato un vero pioniere nel cinema horror, ispirando un intero filone di film sulle possessioni demoniache nei decenni successivi.
Eppure il male non veniva certamente solo dalle fiamme dell'Inferno. La società americana soffriva ancora per la Guerra nel Vietnam, tanto da restarne traumatizzata. Gli ideali di pace dei giovani erano ormai distrutti, e per esorcizzare questo sconforto nascevano sempre più film sui generis: titoli come L'ultima casa a sinistra di Wes Craven del 1972 e Non aprite quella porta di Tobe Hooper del 1975.
Entrambe le pellicole hanno segnato un nuovo modo di fare il cinema dell'orrore, introducendo un genere definito come horror rurale. I protagonisti venivano ancora perseguitati e uccisi, stavolta non più da mostri tenebrosi, bensì dagli stessi americani.
Nel film di Craven, infatti, il nemico è un gruppo di eroinomani che abusano di due giovani donne. In Non aprite quella porta è una famiglia di cannibali delle aride lande del Texas a prendere di mira un gruppo di giovani: in particolare, un uomo che indossa una maschera di pelle umana e impugna una motosega, un personaggio che è presto diventato una vera icona dell'horror.
Entrambe le pellicole hanno scioccato il pubblico con la brutalità delle sequenze splatter, ma sono riuscite a lasciare il segno anche grazie ai molteplici significati che hanno portato sul grande schermo: la verità sulla violenza dell'uomo, mostrando la bestia famelica che si nasconde nell'animo. I protagonisti, poco più che adolescenti, sono le vere vittime della nuova società, in cui la speranza per il futuro è stata uccisa da antichi e ipocriti valori.
Come è stato accennato, Terrore nello Spazio di Mario Bava ha influito notevolmente sull'horror fantascientifico successivo e, in particolare, sulla produzione del regista Ridley Scott. Il 1979 è stato l'anno di Alien, che a sua volta è presto diventato un punto di riferimento per gli esperimenti successivi di questo filone. Il regista, con il contributo di Dan O'Bannon per la sceneggiatura, si è lasciato ispirare non solo dal viaggio catastrofico messo in scena da Bava, ma anche dai B-movie degli anni '40 e '50 della Universal Pictures, traslando la figura del mostro nello Spazio.
Alien è stato concepito come un horror fantascientifico "claustrofobico" ed è diventato un cult cinematografico molto in fretta, portando sul grande schermo una delle creature aliene più spaventose viste fino a quel momento. Non solo: la pellicola ha anche capovolto il paradigma dei "buoni" della storia. A fronteggiare il villain, infatti, non c'è il classico eroe incontrato fino a quel momento, bensì una donna, la coraggiosa Ellen Ripley interpretata da Sigourney Weaver.
Halloween - La notte delle streghe del 1978 è stato il terzo lungometraggio di John Carpenter, un apripista a un sottogenere horror ancora inedito in quegli anni, intriso di una fortissima critica sociale. Il film - il primo di una lunga serie - narra la storia di Michael Myers, un assassino mascherato che prende di mira gli adolescenti ossessionati dal sesso e dediti all'alcol e alla droga. Il "nuovo mostro", armato di un lungo coltello, uccide le sue vittime indossando una maschera del Capitano Kirk di Star Trek.
In un periodo post bellico caratterizzato da tanta sfiducia, la ribellione giovanile si è armata di un più forte senso critico, rifiutando ogni sorta di obbligo e costrizione morale. Questa voglia di libertà si è manifestata attraverso le arti e la musica, ma col tempo si è fatta strada attraverso elementi reali, come la droga, l'alcol e l'assenza di freni inibitori sul piano sessuale. Nonostante il film di Carpenter sembri puntare il dito contro questi giovani, in realtà questi sono le stesse vittime del bigottismo, dell'intransigenza e di una morale ipocrita incarnata nella figura dell'assassino.
Benché il già citato Non aprite quella porta ne abbia introdotto alcuni elementi, è stato proprio Halloween - La notte delle streghe a inaugurare il sottogenere slasher nel cinema horror. La pellicola ha rappresentato il primo grande punto di svolta per la filmografia degli anni '80.
Il cinema horror degli anni '80
Halloween - La notte delle streghe ha dato vita a un vero e proprio schema, su cui si sono basati moltissimi horror slasher nei primi anni '80. Primo fra tutti, Venerdì 13 di Sean S. Cunningam, che ha portato sullo schermo l'iconico Jason Voorhees, un "mostro" assassino armato di machete e con una maschera da hockey sul volto. Giovani "sconsiderati" sono i bersagli di questa figura misteriosa che sembra assetata di vendetta. Nonostante non abbia avuto un notevole riscontro alla sua uscita, oggi costituisce l'inizio di uno dei franchise più iconici nel cinema horror internazionale.
Il trittico degli slasher si è poi completato con Nightmare - Dal profondo della notte (1984) di Wes Craven, che a quel tempo ha letteralmente influenzato gli incubi del pubblico a causa dell'assassino protagonista: Freddy Krueger, interpretato da Robert Englund. Un uomo dal volto sfigurato che uccide i gli adolescenti comparendo nei loro sogni, per mezzo del suo guanto con lame affilate.
L'intento di Craven era quello di portare sullo schermo il rapporto tra la realtà e la sfera onirica, terrorizzando il pubblico proprio con la confusione tra una dimensione e un'altra, mettendo in discussione la percezione della realtà stessa. L'obiettivo era quello di giocare con lo spettatore, innescando quelle paure profonde e irrazionali in grado di raggiungerlo la notte, nel suo letto.
Shining, La Casa e La Cosa: tre menzioni speciali
Gli anni '80 sono stati anche terreno fertile per film molto più visionari, lontani da qualsiasi etichetta, che hanno saputo terrorizzare il pubblico. Facendo un passo indietro, proprio verso il 1980, Stanley Kubrick ha dato vita a un vero cult, destinato a scrivere la storia del cinema: ovviamente si sta parlando di Shining, un adattamento dell'omonimo romanzo di Stephen King.
Questo film, memorabile soprattutto per l'interpretazione di Jack Nicholson nei panni di Jack Torrance, non si è mai fatto carico di una particolare efferatezza, ma ha sempre istillato il terrore attraverso atmosfere ben studiate e una suspense che si aggirava tra le strade del subconscio. Il male messo in scena non proveniva da creature mostruose, ma da eventi sovrannaturali che incoraggiavano una psiche disturbata e sul procinto di crollare.
Il 1981, invece, è stato l'anno del film La Casa di Sam Raimi. Nonostante l'iniziale insuccesso al botteghino, la pellicola si è poi guadagnata il titolo di cult horror, con una serie di sequel che hanno dato vita a una saga leggendaria. In questi film l'orrore non era l'unica prerogativa, bensì era accompagnato da una buona dose di black humor.
Nel 1982, invece, John Carpenter ha contribuito al cinema horror con La Cosa, enormemente svalutato all'epoca dell'uscita. Oggi ne apprezziamo la carica claustrofobica e di minaccia perenne, ma negli anni '80 La Cosa è stato uno dei film più fraintesi dalla critica. C'è voluto qualche anno, infatti, per comprenderne i messaggi a tema sociale, a cominciare dal deterioramento dei rapporti interpersonali e da una mancanza di fiducia generale.
Le sperimentazioni tra gli anni '90 e 2000
Durante i primi anni '90 si è diffusa la tendenza a riprendere i fortunati personaggi cult dei decenni precedenti e dedicare loro dei sequel, come nel caso della casa di Nightmare o Halloween. Questo, chiaramente, non ha mai significato una mancanza d'inventiva; si è trattato bensì di un periodo di sperimentazione che, se da un lato ha generato pochi titoli davvero validi, dall'altro ha anche donato al pubblico prodotti in grado di rivoluzionare il cinema horror, rompendo con il passato.
In questo senso sarebbe impossibile non citare The Blair Witch Project del 1999, pioniere di quello che è stato poi definito come il sottogenere del found footage. Il film narra le vicende di alcuni ragazzi che, nell'intento di svelare il mistero della Strega di Blair, si perdono nel bosco in cui si dice che ella sia morta.
La particolarità del film, diretto da Daniel Myrick e Eduardo Sànchez, è sempre stata la capacità di generare terrore attraverso il punto di vista diretto dei tre protagonisti. Le sequenze, infatti, derivano da un presunto montaggio di riprese fatte dagli stessi giovani con le loro telecamere, di cui vengono rinvenuti i nastri. Questo espediente doveva creare l'illusione che si trattasse di materiale autentico, suggestionando ancor più lo spettatore.
Da questo momento, la tecnica del found footage è stata ripresa più volte, seppure non sempre con risultati eccellenti. Tra gli esempi più degni di nota, si potrebbe menzionare REC, film horror di Paco Plaza e Jaume Balaguerò.
Il cinema horror orientale
Mentre il cinema horror occidentale faceva il proprio corso, quello orientale si faceva strada fino a Hollywood. In particolare, una pellicola ha destato parecchia attenzione negli anni '90: stiamo parlando di Ring di Hideo Nakata, film proiettato in Giappone per la prima volta nel 1998.
Questa inquietante e viscerale storia di fantasmi è stato presto oggetto di un remake da parte di Gore Verbinski nel 2002, dal titolo The Ring, con la partecipazione dell'attrice Naomi Watts come protagonista. Così come quella originale, il film si basa su una terribile leggenda metropolitana che diventa realtà nel momento in cui i protagonisti vengono perseguitati e uccisi da un'entità misteriosa.
Nonostante la versione originale abbia una valenza totalmente differente, vista la cultura giapponese in cui la sfera spirituale è molto più impattante, la versione di Verbinski è stata in grado di non impoverire il messaggio. La morte dei giovani dopo la visione di una misteriosa videocassetta doveva simboleggiare il potere dei media e la loro forza di imprimere a fuoco idee e convinzioni, così come l'incapacità di staccare gli occhi dagli schermi.
Anche negli anni Duemila la tendenza di creare remake a partire dal cinema horror orientale ha continuato a persistere. Sarebbe impossibile non menzionare altri esperimenti ben riusciti, come Shutter (2004) di Banjong Pisanthanakun, film tailandese riscritto da Masayuki Ochiai nel 2008 (e giunto in Italia con il titolo Ombre dal passato) oppure Ju-Oh: Rancore del 2002 di Takashi Shimizu, il cui remake statunitense The Grudge (2004) appartiene allo stesso regista.
I cambiamenti dopo l'11 settembre 2001
Un evento catastrofico di portata mondiale ha devastato la società, specialmente quella occidentale: stiamo parlando dell'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001. Questo attacco terroristico ha cambiato radicalmente ogni aspetto della vita, inclusa la sensibilità artistica. Durante gli anni successivi all'evento, anche il cinema horror ha subito un profondo mutamento, mutuando tutti quegli orrori a cui la società era costretta ad assistere ogni giorno attraverso i fatti di cronaca.
Le immagini atroci diffuse dai notiziari, non solo sull'11 settembre ma anche - ad esempio - sulle crudeltà legate a Bin Laden e al fondamentalismo islamico, hanno cambiato radicalmente la percezione dell'orrore, restituendo all'uomo quelle stesse atrocità che egli stesso stava compiendo. In questo periodo, infatti, è sorto un nuovo modo di fare horror, attraverso un sottogenere definito torture porn.
Uno dei più eclatanti esempi è sicuramente Saw - L'Enigmista del 2004, film dell'esordiente James Wan, come pure Hostel di Eli Roth del 2005. Se il pubblico pensava di aver esaurito il gore e lo splatter con Non aprite quella porta o - "peggio" ancora - con Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato del 1980, negli anni Duemila si è certamente reso conto di essersi sbagliato.
Questi nuovi film hanno sconvolto il pubblico concentrandosi per la prima volta più sulle macabre torture che sulle morti violente. In questo senso, il film di James Wan ha fatto scuola: i protagonisti della storia sono infatti costretti a subire e procurare le più orribili delle mutilazioni per salvarsi da trappole predisposte da Jigsaw, la mente criminale dietro questi "giochi pericolosi".
Il nuovo cinema horror
Negli ultimi decenni del Duemila, la sperimentazione è stata portata avanti, soprattutto con l'influenza di novità tecnologiche nel campo audiovisivo che hanno portato a soluzioni sempre nuove. Il vero paradosso, però, è che nonostante il potenziale dei nuovi effetti visivi e sonori, l'obiettivo dello spavento è stato sempre più difficile da raggiungere. La verità è che le quelle immagini che dovevano tradurre i sentimenti più profondi dell'animo umano si sono spesso scontrate con una realtà a volte surreale, in grado di sovrastare le più orride fantasie.
In una marea di produzioni dalla dubbia riuscita, è bene porre l'attenzione su alcune produzioni in particolare che hanno saputo innovare il genere horror, a dispetto delle pretese che la nostra percezione - assuefatta all'orrore - ha imposto al mercato. A tal proposito, spiccano pellicole come Insidious del 2010 di James Wan, Sinister (2012) di Scott Derrickson, The Witch (2015) di Robert Egger.
Inoltre, una menzione speciale va a due film di Ari Aster: Hereditary - Le radici del male del 2018 e Midsommar - Il villaggio dei dannati del 2019, che sono riusciti a spaventare lo spettatore unendo il sovrannaturale e il folklore, con atmosfere disturbanti e a tratti angoscianti.
Si è poi distinto il regista Jordan Peele con Scappa - Get Out nel 2017 (film che ha vinto anche un Premio Oscar), Us nel 2019 e Nope nel 2022. Con queste produzioni e con un approccio schietto e innovativo, egli è riuscito a comunicare una critica sociale pungente, che non risparmia nessuno: falsi perbenisti liberali, la borghesia media e persino lo stesso mercato cinematografico.
La nascita del Conjuringverse
Un fenomeno che ha notevolmente interessato i fan del cinema horror è stato la nascita del cosiddetto Conjuringverse, un universo cinematografico che ha preso vita nel 2013 con L'evocazione - The Conjuring, film horror diretto da James Wan. La serie di film, che nel tempo si è arricchita di sequel, prequel e spin-off, narra le vicende dei demonologi Ed e Lorraine Warren, personaggi realmente esistiti e qui interpretati da Patrick Wilson e Vera Farmiga.
Tutti i film di The Conjuring, insieme a quelli degli di Annabelle e The Nun, hanno catturato l'attenzione del pubblico puntando fortemente sul concetto di "basato su una storia vera", che di norma spinge lo spettatore a provare una suggestione molto più intensa ancor prima dell'inizio del film. In più, la rete intricata di collegamenti tra una pellicola e l'altra e la nascita di un vero e proprio "multiverso horror" intorno ai Warren e ai demoni di The Conjuring hanno reso queste pellicole uniche nel proprio genere.
L'era dei revival
Mentre negli ultimissimi anni continuano ad essere prodotti alcuni film horror promettenti - è il caso di Talk to Me di Danny e Michael Philippou (qui la recensione di Talk to Me)- l'era dei revival non sembra volersi fermare. Uno dei casi più eclatanti è stato il ritorno di Scream nel 2022: con lo stesso titolo del primo film del 1996, si tratta a tutti gli effetti di un sequel della saga nata ad opera di Wes Craven, ma è anche di un revival in quanto nuovi personaggi vivono simili vicende dei vecchi protagonisti, in un ciclo destinato a ripetersi a distanza di tantissimi anni.
Non da meno è stata la nuova trilogia di Halloween diretta da David Gordon Green, cominciata nel 2018 e conclusa con Halloween Ends nel 2022. Anche in questo caso, si tratta di un sequel-revival, che come peculiarità non ha soltanto quella di riproporre una vicenda simile vissuta da altri, ma anche il ritorno di parte del cast originale - in tal caso l'attrice Jamie Lee Curtis.
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