I film migliori e i peggiori visti a Cannes 2022

Quali sono i film migliori visti al Festival di Cannes 2022 e quali invece hanno deluso? I top e i flop di Cannes 74. Le pagelle di NoSpoiler.

Autore: Elisa Giudici ,

La cinica commedia svedese Triangle of Sadness ha vinto la Palma d'Oro al Festival di Cannes, ma quali sono i film migliori visti in Croisette?

Un thriller coreano e uno iraniano, il ritorno di Tom Cruise a bordo di un fighter e un film in costume con protagonista un’imperatrice manipolatrice: sono questi i film migliori visti al Festival di Cannes 2022, in un’annata in cui davvero in pochi hanno portato un film sbagliato. La corsa alla Palma d’Oro quest’anno infatti è ricca di contendenti di qualità media alta, anche se purtroppo di fiammate vere e proprie se ne sono viste molte, molte meno dell’edizione passata (ricordate?).

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Capolavori dunque non se ne sono visti, ma un paio di film davvero strepitosi e una lunga lista di pellicole davvero meritevoli. Di scivoloni ce ne sono stati davvero pochissimi, anche se parecchi maestri hanno convinto solo a metà.

Tra conferme, sorprese e qualche titolo imperdibile, ecco le pagelle del meglio e del peggio visti a Cannes 2022.

I migliori

Decision to Leave

Il film migliore del concorso, una spanna e più del resto della proposta della sezione principale del Festival nel 2022. Il regista coreano di Oldboy e Stoker è tornato con un thriller davvero superbo, che omaggia i film di Hitchcock ma sperimenta con soluzioni visive e un montaggio davvero modernissimi.

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Decision to Leave è il più classico dei film noir, con un detective insonne che indaga sulla morte di un uomo caduto da un altissimo picco durante una scalata in montagna. Si sospetta inizialmente della moglie giovane, bella e straniera del morto. Ben presto però il film si trasforma in un complesso rompicapo con più storie (e investigazioni) nella storia, mentre il protagonista finisce per innamorarsi della vedova, la bellissima e misteriosa femme fatale interpretata da Tang Wei. Nulla succede per caso in un film di cui Park Chan-wook è il maestro e il direttore d’orchestra, in assoluto controllo, capace di guidare con eleganza e intelligenza il pubblico attraverso una storia complessa, sorprendente, capace di grande dolcezza ma anche di un finale crudelissimo.

Che siano inseguimenti, intermezzi comici, strazianti scene d’addio o interrogatori tra detective e sospettato, la regia di Park Chan-wook è così precisa da far sospettare che lui il film l’abbia visto, girato e montato nella sua testa, ancor prima di arrivare sul set.

Corsage

Vicky Krieps è davvero fenomenale nei panni di un’imperatrice Sissi sulla soglia dei 40 anni, in termini nobiliari e dell’epoca un’attempata signora.

Il film diretto da Marie Kreutzer si prende moltissime libertà, a partire da quel finale (l’assassinio di Sissi) che non c’è. Corsage infatti preferisce raccontare la storia di una donna ambivalente, sia vittima sia carnefice, a partire dalla celebre ossessione dell’imperatrice per i corsetti del titolo, stretti fino all’asfissia per mantenere il vitino di vespa che l’aveva resa un’icona di bellezza del suo tempo.

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Corsage racconta una donna contemporanea nelle sue ossessioni: il corpo allenatissimo dallo sport (cavalcate, scherma, esercizi ginnici), la dieta strettissima, il corsetto tirato fino allo sfinimento ogni mattina. La Sissi di Krieps è una donna innamorata della sua stessa bellezza, estremamente narcisista, disposta a tutto pur di sentirsi dire ancora una volta che è bellissima. Controllata ma mai manipolata, è una donna depressa e con istinti suicidi, ma ben decisa a manipolare le persone intorno a lei (a partire dal marito e dagli amanti) per ottenere ciò che vuole…anche solo un po’ di adulazione.

Top Gun: Maverick

Top Cruise è sbarcato in Croisette come un re, salutato e accolto come un salvatore dal Festival e dal mondo del cinema. L’ultima, vera, grande star di Hollywood ha portato fuori concorso quello che rischia di essere il miglior blockbuster del 2022: Top Gun Maverick.

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Maverick è un sequel che dopo 30 anni dall’uscita del suo predecessore riesce a trovare ottimi motivi per essere più di un riempitivo e non sembrare una mera operazione nostalgia, anche se il punto è proprio creare un blockbuster vecchia maniera, che risponda non alle regole del mercato odierno, ma ai dettami e alla morale di un’epoca ormai passata (gli anni ‘80) e che in parecchi rimpiangono. Tom Cruise ci mette la testa e il cuore, e si dimostra un divo inossidabile, che sta vivendo un’autentica seconda giovinezza.

Holy Spider

È stata un’annata ricchissima di thriller al Festival di Cannes e in particolare di detective story che richiamato certi classici degli anni ‘90 e a un capolavoro che ha riscritto le regole del genere come Zodiac.

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Holy Spider non è un film autoriale, ma è un thriller di grande potenza che saprà mettere d’accordo critica e pubblico. Ispirato a un caso di cronaca avvenuto in Iran nel 2001, il film di Ali Abbasi ricostruisce la storia criminale e giudiziaria del Ragno, uno spietato serial killer che uccise 16 prostitute prima di venire catturato e dichiarare di averlo fatto per ripulire le stra dal vizio. Cruciale per la sua cattura in un contesto in cui autorità e polizia sembrano condividere neanche troppo segretamente la missione del killer e il suo giudizio sul genere femminile, una giornalista coraggiosa che arriva a fare da esca per attirare l’assassino allo scoperto.

A stupire di questo film è la schiettezza brutale: vediamo su grande schermo scene di nudo e di grande violenza, occhi femminili da cui la vita scompare secondo dopo secondo mentre il killer strangola la sua vittima.

Le immagini sono forti, ma lo è ancora di più il messaggio: essere una donna in Iran è un condanna e una colpa, anche quando il tuo corpo finisce barbaramente scaricato in a bordo della strada, senza vita.

Close

Ma dove il trova Lukas Dhont tutti questi giovanissimi interpreti esordienti che si muovono davanti alla cinepresa con una potenza espressiva e un’autenticità da far invidia ai più consumati veterani del grande schermo?

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Close è un piccolo film perfetto, che non fa nulla d’inedito o sorprendente. È il racconto di un’amicizia tra due ragazzini così intensa e fraterna da venir fraintesa dalla società e dai compagni di scuola, arrivando a tragiche conseguenze. Nei panni del protagonista Leo, il giovanissimo Igor van Dessel dà una prova semplicemente magistrale. Il suo sguardo sembra poterci spalancare le porte della sua anima, proprio quando perde l’innocenza di bambino, affrontando un lutto complicato, avviluppato a un enorme senso di colpa.

Le otto montagne

Tra le pellicole che sono più piaciute alla stampa statunitense c’è anche un film profondamente italiano, co-prodotto con il Belgio. Le otto montagne è l’adattamento migliore che si potesse sperare di vedere tratto dal romanzo best seller internazionale firmato da Paolo Cognetti.

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Anche questa è una storia di profonda amicizia maschile, anche qui come in Close bisogna affrontare il senso di colpa e il rimpianto legati a un lutto, in un atmosfera solenne e scarna che restituisce molto delle descrizioni della vita di montagna fatte da Cognetti nel suo romanzo. L’elemento più sorprendente è la strepitosa interpretazione di Alessandro Borghi nei panni di Bruno, lo schivo uomo montanaro del duo dei protagonisti di cui fa parte anche Luca Marinelli. Due dei più apprezzati interpreti nostrani contemporanei danno una performance ricca di sfumature e tensione affettiva, che ha sollecitato paragoni con film e registi importanti come I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee.

Crimes of the future

Era il film più atteso dell’intera annata: il ritorno del regista canadese David Cronenberg al genere iconoclasta con cui sconvolse il pubblico nei decenni passati: il body horror, filone orrorifico che mette al centro il corpo, la sua distruzione o la sua metamorfosi. Filone a cui si ispirava chiaramente il vincitore della Palma d’oro della scorsa annata, Titane.

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Annunciato come un film provocatore e che avrebbe portato al fuggi fuggi dalla sala per le sue scene estreme, Crimes of the future ha spiazzato, rivelandosi una pellicola molto differente dal previsto. Anche Cronenberg è invecchiato e il suo nuovo film distopico sembra uno strepitoso cult degli anni ‘90, tanto rivolto a guardare il futuro quanto incapace di immaginarne uno che non profumi di nostalgia. Non è un capolavoro, ma un solidissimo film fantascientifico e orrorifico, con un trio di protagonisti (Mortensen, Seydoux, Stewart) capace persino di romanticismo e tenerezza.

I peggiori

Frère et Sœur

Nessuno si merita di essere protagonista di un film così poco riuscito, nessuno, men che meno la povera Marion Cotillard, ormai ostaggio di una spirale in picchiata qualitativa a cui la costringe il regista francese Arnaud Desplechin.

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La storia è quella di una ruggine familiare di vecchia data, una faida tra un fratello e una sorella dalle origini poco chiare e dagli esiti che spesso sconfinano nel ridicolo. Se il film di Desplechin puntasse a irridere certi psicodrammi del mondo borghese che ritrae sarebbe davvero divertente, il problema è che pretende che noi si prenda sul serio una serie di sfortune e disgrazie esageratissime, architettate solo per far piangere continuamente Marion Cotillard in strettissimi primi piani. Se questo non bastasse, nel finale diventa un’inconsapevole parodia di una scena cult della serie italiana Boris. Sbagliatissimo dall’inizio alla fine.

Stars at Noon

Che pasticcio ha combinato Claire Denis, proprio ora che dopo tanti anni aveva ottenuto di entrare in concorso a Cannes. Stars at Noon vorrebbe essere un thriller politico tutto faccendieri, CIA e milizie locali del centro America che tentano di rovesciare governi di stati dalla democrazia fragilissima.

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Si trasforma ben presto in un film senza né capo né coda che ha come unico pregio quello di avere due sensuali protagonisti che hanno dato vita ad alcune delle scene più hot della competizione. Molto caliente, ma pressoché privo di trama e senso.

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