Panama Papers, la recensione: un'irresistibile guida (for dummies) ai raggiri finanziari dei nababbi

Autore: Elisa Giudici ,

È già da qualche anno che il cinema statunitense ha trovato un ideale erede di Michael Moore per stile personale e veemenza politica: si chiama Adam McKay, è il regista di La grande scommessa (2015) e Vice - L'uomo nell'ombra (2018). Questo ex comico e produttore di cinema commerciale trasformatosi in un regista politico e polemico è diventato uno dei nomi polarizzanti dello scenario statunitense contemporaneo. Lo si ama, lo si odia, difficilmente lascia indifferenti. Non ha la fama del vincitore dell'Oscar e della Palma d'oro Michael Moore (suo evidente punto di riferimento nel creare il proprio stile) ma la sua influenza sullo scenario filmico statunitense comincia a farsi sentire. 

Prendiamo ad esempio Panama Papers, l'ultimo film di Steven Soderbergh presentato in concorso a Venezia 76e prodotto da Netflix. Il regista che ha consacrato al successo la saga di Ocean's ha alle spalle una carriera inossidabile come regista e produttore sia al cinema sia in TV, quindi non ha certo bisogno di farsi guidare. È un grande sperimentatore e innovatore, ma sempre secondo i suoi termini e il suo gusto, attitudine che gli ha creato più di qualche grattacapo con gli studios.

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Gary Oldman e Antonio Banderas in Panama Papers
Gary Oldman e Antonio Banderas in Panama Papers sono gli avvocati del Dio Denaro

Se nel raccontare lo scandalo dei Panama Papers tra i tanti film "finanziari" recenti a disposizione (vedi anche Scorsese con The Wolf of Wall Street) Soderbergh ha scelto di ricalcare lo stile di McKay, allora vuol dire che La grande scommessa ha lasciato dietro di sé una sensazione duratura. 

Panama Papers for dummies

Esattamente come in La Grande Scommessa, Steven Soderbergh sceglie la carta della commedia politica tagliente e dal ritmo più che incalzante per raccontare uno dei più grandi scandali finanziari degli ultimi anni. L'impresa non è semplicissima: i Panama Papers sono di fatto il leak di una serie infinita di email, informazioni su conti, dispacci e altri documenti finanziari tra il noioso e l'incomprensibile che una fonte - a tutt'oggi anonima - ha fatto avere alle grandi testate giornalistiche. Tra queste carte di pertinenza dell'ufficio legale Mossack Fonseca nel paradiso fiscale di Panama (datate dal 1970 al 2015) sono saltate fuori informazioni compromettenti su uomini polici, teste coronate, celebrità e persone influenti in tutto il mondo. 

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Il punto non è quanto fossero ricchi, ma come agissero sfruttando la zona grigia della legge per mettere al sicuro i propri capitali lontano dagli occhi indiscreti della finanza nazionale, mantenendo i loro tesoretti esentasse. La fuga del contante però non ferisce solo le tasche dell'erario: a farne le spese sono anche i semplici cittadini, che si ritrovano a fronteggiare frodi fiscali e assicurative messe in piedi da chi sta drenando le proprie finanze in loco verso i paradisi fiscali. Per spiegare le vie del denaro intangibile Soderbergh scrive tre storie fittizie che mostrano quanto il bigliettone verde plasmi le vite di tutti, rendendole più precarie e fasulle. 

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Meryl Streep in Panama Papers
Meryl Streep è protagonista di una grandiosa scena finale in Panama Papers

Nel primo spezzone, Meryl Streep interpreta una vedova che non riesce a incassare il denaro dell'assicurazione per la morte del marito a causa di una frode fiscale, che rimanda dritta dritta allo studio Mossack Fonseca. Nel secondo episodio un ricco padre fedifrago tenta di comprare il silenzio della figlia rendendola intestataria di uno dei suoi tanti fondi milionari. Nell'ultimo spezzone (il più debole) un uomo d'affari europeo si reca in Cina per intascare una tangente da un'influente famiglia locale. A fare da raccordo in questa frammentazione narrativa ci sono Antonio Banderas e Gary Oldman, i due figuri a capo della Mossack Fonseca. Sono loro in intermezzi brillanti che infrangono la quarta parete a dare voce al mondo del denaro, spiegando con esempi brutalmente semplici il complesso sistema di finanziarie, società di comodo, paradisi fiscali e spostamenti di denaro virtuale come i ricchi più ricchi del 1% restino tali, a danno del restante 99%.

Il cinema brillante che apre gli occhi allo spettatore

Certo il film non manca qua e là di retorica, dato che uno dei suoi messaggi indiretti è che il possesso di denaro corrisponda a una perdita di purezza morale. Soderbergh suggerisce che più si è ricchi e più si diventa delle canaglie, anche ai danni dei propri stessi congiunti, perché la priorità è proteggere il proprio denaro. Tuttavia stiamo parlando di una pellicola che tira fuori il meglio che il cinema possa offrire allo spettatore e all'opinione pubblica: un prodotto che diverte e intrattiene sì, ma che attraverso il linguaggio cinematografico rende comprensibili a tutti nozioni che chi è a digiuno del vocabolario finanziario trova incomprensibili. Il tutto girato con un budget risibile, solo 13 giorni sul set e in una soluzione asciutta che affronta un discorso così complesso in appena 96 minuti

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Gary Oldman e Antonio Banderas in Panama Papers
Gary Oldman e Antonio Banderas costituiscono un duo brillante in Panama Papers

Insomma, dovremmo tenere più in considerazione Steven Soderbergh, che rimane uno dei registi statunitensi contemporanei più incredibili per energia, voglia di sperimentare e capacità di tirare fuori grandi imprese cinematografiche facendole sembrare progetti privi di grande complessità. Panama Papers è disponibile dal 16 ottobre 2019 nel catalogo Netflix Italia. 

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Commento

cpop.it

75

Soderbergh tira fuori dal cappello la versione light di La Grande Scommessa di Adam McKay: graffiante, caustica e brillante, questa commedia è destinata a conquistare chi amò quel film (e viceversa).

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