Black Panther: la recensione del film con Chadwick Boseman

Autore: Emanuele Zambon ,

"Pensavo fosse Pantera Nera... invece era un micione". Potrebbero pensarlo in molti dopo aver visto al cinema Black Panther, il nuovo tassello del Marvel Cinematic Universe affidato alla regia del Ryan Coogler reduce dallo spin-off di Rocky, Creed - Nato per combattere. Sulla carta si presentava come un'operazione abbastanza agevole: prendere il personaggio più accattivante di Civil War e costruirgli attorno un film.

Un supereroe cool che indossa un costume di vibranio, circondato da valorose donne guerriere - colmato il gap in termini di "girl power" con Wonder Woman - e che ha pure firmato un contratto con gli Avengers: seguendo le direttive della factory Marvel, sarebbe stato sufficiente allinearsi agli altri film per ottenere un cinecomic avventuroso, esotico, attraversato da un'ironia di fondo utile a stemperare le artigliate e le ferite emotive del suo protagonista Chadwick Boseman. Invece non è stato così.

Coogler ha scelto di fare di Black Panther un film intrinsecamente politico, fieramente dalla parte della comunità nera (tant'è che l'unico personaggio veramente negativo del film è l'Ulysses Klaue di Andy Serkis), dimenticando fatalmente di trovarsi pur sempre dietro la macchina da presa di un film dedicato ad un personaggio dei fumetti nato negli anni '60 (e senza nemmeno sfiorare il pathos di Logan - The Wolverine).

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Sia chiaro, non è l'idea di Coogler ad essere fuori luogo. Anzi, va premiato il coraggio del regista (ovvero la decisione di non aderire ai soliti schemi da action comedy tipici degli ultimi Marvel movies). È l'approccio a risultare a tratti goffo. Black Panther si riallaccia alla geopolitica, fa appello alla Storia, riflette sui temi del momento. Lo fa, però, senza mai graffiare sul serio, fermandosi alla superficie delle questioni trattate (dovendo rispettare la natura di entertainment movie imposta dal diktat mainstream disneyano).

In pratica il film di Coogler fatica a trovare un'anima, complice un plot che non brilla certo per originalità: un po' Re Leone disneyano, un po' Spike Lee. Come se non bastasse, il film paga l'eccessiva durata e la presenza di troppi personaggi che alla lunga tolgono brillantezza al ritmo.

Marvel Studios
Black Panther in una scena del film

La storia di un erede al trono incoronato Re, sfidato e battuto da un rivale, infine trionfatore nella rivincita finale, è ciò che racconta Black Panther. L'azione parte da un ghetto di Oakland nel 1992, prosegue con una convincente scena notturna nella giungla africana in cui viene mostrato per la prima volta in azione T'Challa e poi, lentamente, la verve del film si esaurisce, tra scene di bondiana memoria in Corea (gli interni della bisca segreta di Busan sono praticamente identici a quelli del casinò di macao in Skyfall) e scontri fra eserciti che ricordano le scazzottate di Bud Spencer e Terence Hill.

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Pur risultando deficitario in molti aspetti, il film mostra diversi punti di forza: quando Coogler riesce a smarcarsi dall'eccessivo politically correct, assesta un paio di colpi mica male: il vibranio che assurge a metafora rovesciata del colonialismo (una risorsa naturale di cui l’uomo bianco non ha conoscenza) e l’isolazionismo wakandiano come aspra critica ai muri eretti dall'amministrazione Trump e come riflessione ancora più profonda sulle politiche di accoglienza e integrazione.

È poi di notevole spessore il background del villain Killmonger impersonato da Michael B. Jordan. Rompe la tradizione wakandiana rivendicando il trono di T'Challa a.k.a. Black Panther e svelando presto i propri piani: armare gli oppressi di tutto il mondo, dare il via ad una supremazia nera che ponga fine al dominio dell'uomo bianco. Killmonger - uno dei villain più riusciti del Marvel Cinematic Universe - fa proprie le mire politiche di un leader spiritato (a là Malcolm X). Contemporaneamente brama la vendetta per un passato che gli è stato negato.

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In un cast a prevalenza afroamericana, curiosamente sono i “bianchi” Andy Serkis e Martin Freeman ad aggiudicarsi le migliori performance assieme a Danai Gurira e Letitia Wright (oltre al già citato Jordan). Il re del motion capture è un villain sopra le righe spietato e sudicio, Freeman appare divertito (e divertente) nei panni dell'agente della CIA Everett Ross, personaggio che assicura brevemente al film un’incursione nelle spy story stile 007.

Buoni spunti e (alcuni) attori in palla sono però vanificati dalla fragilità di una struttura che non riesce ad amalgamare politica e intrattenimento, finendo per depauperare il film della componente action necessaria al pieno godimento (rischio, questo, mai corso ad esempio da Quentin Tarantino, che pure si è dimostrato sensibile negli ultimi lavori alle questioni razziali che affliggono gli USA).

Ciò che rende infine Black Panther un film riuscito a metà è la piatta resa del suo protagonista, perennemente dilaniato dal peso del trono (e appesantito dal messaggio politico di Coogler). Dov'è finita l'affascinante, presuntuosa, ostile, famelica Pantera Nera di Civil War? Sacrificata, a quanto pare, sull'altare di una patria ipertecnologica.

Commento

cpop.it

55

Black Panther si conferma come il più politico dei film Marvel. L'azione, però, latita al pari di protagonista e CGI. Le buone notizie arrivano dai villain Michael B. Jordan e Andy Serkis.

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