Se c’è un regista che crede fermamente nell’incrollabile valore del sogno americano, senza mai dubitare dell’eroismo della gente comune che popola gli Stati Uniti, quello è Peter Berg. Tra alti e bassi, successi e fallimenti, i film e le produzioni televisive che costituiscono la sua carriera seguono sempre la stella polare del valore di ciò che rende gli Stati Uniti unici ed eroici, anche a costo di peccare di superficialità.
Peter Berg non è un grande regista e dubito che qualcuno lo citi tra i suoi cineasti del cuore. Anzi, è probabile che pur avendo visto Friday Night Lights, Lone Survivor e a Hancock, facciate fatica a collegarli al nome di questa figura poliedrica della Hollywood di oggi. Regista, produttore, attore: probabilmente incontrate Peter Berg almeno un paio di volte l’anno, in sala o in TV, senza nemmeno saperlo.

Dopo Lone Survivor, successo inaspettato che ha salvato parecchie carriere dopo l’ecatombe di Battleship, Peter Berg sembra aver trovato la formula che tira fuori il meglio dal suo cinema. Infatti Deepwater Horizon, senza essere un grande film, è la sua migliore regia degli ultimi anni.
Requisito essenziale per Peter Berg sembra essere la veridicità della storia di base e l’eroismo degli statunitensi coinvolti: prima erano i soldati che combattevano i talebani, oggi sono i dipendenti di una piattaforma petrolifera. La vicenda del più grande disastro ecologico della storia statunitense è perfetta per le esigenze di Berg: è autentica ed emozionante ma pronta ad essere romanzata e mitizzata, contiene parecchia azione e adrenalina, ha già un cattivo non problematico e caricaturale nel suo grottesco desiderio di denaro.

La compagnia petrolifera BP, che per mesi insabbiò i propri errori e tentò di nascondere l’entità del disastro, diventa insomma il cattivo perfetto. Avida, tirchia, incurante del pericolo e pronta a trattare con sufficienza i dipendenti preoccupati: chi non sognerebbe un villain tanto semplice da additare come unico colpevole, specie se poi è pura verità processuale?
Tratto d’impiccio dal dover prestare attenzione alle verità di entrambi i fronti (vedi il fallimentare tentativo di far convivere arabi buoni e talebani cattivi in Lone Survivor), Peter Berg si muove con grande scioltezza e aperta solidarietà in una storia di così lampante avidità di stampo capitalista. Le azioni della BP sono così grottesche che il regista non si deve preoccupare della sua predisposizione a dividere il tutto in buoni e cattivi, a mettersi dalla parte della gente comune acriticamente.

Liberato dal contraddittorio, Peter Berg richiama la sua nuova musa Mark Wahlberg e la mette al centro di quello che, di fatto, è un disaster movie riuscitissimo. Ci sono set imponenti, esplosioni, ci sono fughe, morti terribili o terribilmente eroiche. Il tutto è reso ancor più drammatico dalla veridicità di quanto vediamo. Persino la bandiera a stelle e strisce che sventola epicamente di fronte all'impianto in fiamme diventa un’immagine memorabile e non la solita sparata del regista più patriottico d’America.
Alle accuse di tentare di mitizzare una tragedia, concentrandosi sulle prime ore di emergenza e sui pochi eroi della situazione, Peter Berg risponde picchiando duro sulle meschinità della compagnia petrolifera, lasciando che John Malkovich diventi il volto di tutto il malaffare insito nelle grandi multinazionali di oggi.
Insomma, Deepwater Horizon non è certo una fine e contraddittoria ricostruzione dell’omonimo disastro ambientale, quanto piuttosto un film d’azione e di lampante patriottismo che sa essere spettacolare e avvincente, grazie alla naturale predisposizione del suo regista verso questa tipologia di storie.
Deepwater Horizon sarà nei cinema a partire dal 6 ottobre 2016.
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