Maverick è l'uomo dei miracoli, un pilota geniale capace di infilarne anche un paio in meno di cinque minuti in una missione così complessa da sembrare più che suicida: impossibile. Se stando seduti in sala tra il rombo dei motori di Top Gun: Maverick riusciamo a credere alle iperboli della sceneggiatura è perché il protagonista ha il volto di Tom Cruise, l'uomo dei miracoli a Hollywood.
Una presenza così carismatica che anche a 59 anni non desta troppa perplessità vederlo col fondoschiena saldamente appoggiato alla seduta di un F35 e poi di un F18, che da aereo avanzatissimo dell'aviazione statunitense è diventato preistoria tecnologica, a cui dare una spolverata per rimettere Maverick in pista.
Top Gun Maverick è un blockbuster di altri tempi, confezionato con abbastanza maestria e consapevolezza da non sembrate una vuota operazione nostalgia. La sua carta vincente è proprio quella d'ignorare le regole della Hollywood di oggi, affidandosi all'istinto e al manuale del perfetto pop corn movie degli anni '80.
Top Gun: Maverick: giudizio in breve
- Tom Cruise al top
- Un film che conosce il suo pubblico e lo soddisfa
- Nostalgia che non sa di naftalina
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Tom Cruise, l'ultimo divo
Se l'operazione Top Gun prende il volo il merito è principalmente di Tom Cruise, che insieme a DiCaprio e Pitt è forse l'ultimo divo vecchia scuola ad avere ancora lo star power (la presa sul pubblico, la capacità di portarlo in sala) necessario a gestire un'operazione di questo tipo.
Negli anni anche lui non sia scivolato in qualche imbarazzo (il celeberrimo salto sul divano di Oprah) e in qualche film poco riuscito, ma Cruise è rimasto fedele a un vecchio concetto di Hollywood, in cui le star danno spettacolo ma rimanendo lontane, inavvicinabili, proiettando un'aura quasi sovrumana. Il vero concetto di divismo, roso dal senso di prossimità che trasmette la presenza social delle stelle e dallo strapotere degli studios e delle produzioni.
Oggi le persone non vanno in sala per vedere un interprete, ma si fidano e pagano il biglietto dimostrando fedeltà a una produzione (Marvel Studios, Netflix, Bloomhouse), a un franchise (Star Wars, 007, Batman) o quando il buzz intorno a un progetto rende indispensabile vederlo per non sentirsi tagliati fuori dalla conversazione.
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Tom Cruise è uno dei pochi nomi che ha la potenza di questi imperi narrativi e monetari. Lo ha dimostrato rinverdendo il franchise di Mission: Impossible e aggiornando la sua figura di divo con un presentazione più appropriata alla sua età. Che sia Maverick o Ethan Hunt, ogni suo nuovo film parte dal postulare quanto sia fuori tempo massimo - anagraficamente parlando - per fare quello che il ruolo richiede. C'è bisogno di una storia tagliata su misura, che trascini il pubblico anche nei momenti più inverosimili, contando sul carisma di Cruise e sulla voglia di chi è in sala di crede che il tempo beffi tutti, tranne lui.
Top Gun: Maverick fa esattamente questo. Non ha pretese di realismo, se non nelle lunghe e complesse sequenze di volo che serve al suo pubblico. La storia invece è tutto un enorme, inverosimile espediente volto a rimettere Tom Cruise al comando di una missione, su un F-18; praticamente storia antica dell'aviazione.
Maverick vuole accontentare solo i suoi fan (e fa bene)
La carta vincente di Maverick - ciò che forse più lo distingue dai concorrenti, dal cinema contemporaneo e altre operazioni nostalgia - è che non si mette a inseguire i colossi di oggi, a scimmiottarne le pose. Top Gun: Maverick non cede alla tentazione di mettere d'accordo tutti, cercando di portare in sala quante più persone possibili, no. Si concentra su chi trova allettante l'idea di ritrovare un film come Top Gun in sala, tentando di dargli esattamente quello che vuole.
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Lo si capisce da subito, da come certo dà più spazio ai pochi personaggi femminili presenti, tenendo a bada le spacconate del giovani piloti, ma non stravolgendo le dinamiche di potere e relazioni tra aviatori e civili, piloti e superiori, uomini e donne. Seppur più smorzato rispetto al passato, il testosterone nell'aria è innegabilmente percepibile. Top Gun non rinnega il passato ma con grande accortezza aggiusta il tiro, perdendo per strada quel machismo esasperato che dà all'originale persino una vaga persistenza omoerotica.
Joseph Kosinski è il regista giusto per l'operazione. Da sempre ha grande sintonia con Cruise, tanto da non tentare di metterlo in ombra con i virtuosismi registici. Tutto nel film è a servizio del mito di Maverick, ma questo non significa che il sequel di Top Gun sia pigro, anzi. Sfrutta ogni avanzamento tecnologico avvenuto nel cinema per regalare un numero incomparabilmente superiore al passato di scene di combattimento aereo. Rispetto all'originale, in Maverick le scene a bordo dei fighter sono più spettacolari, prolungate, di chiara lettura, realistiche. A ben vedere gli scontri tra fighter sono l'unico elemento davvero realistico del film.
Nostalgia senza naftalina
In questi anni mi sembra di non aver fatto altro che recensirvi blockbuster nostalgici, con lo sguardo saldamente rivolto al passato. Top Gun: Maverick rientra indubbiamente nel filone dei film che dialogano pochissimo col presente. Anzi, sembra di stare in una bolla in cui le ansie contemporanee e il sentito comune rimangono a distanza di sicurezza, per immergersi in una dimensione in cui appare fugacemente un solo smartphone (e costringe il possessore a pagare da bere a tutto il bar).
Quello di Top Gun: Maverick è un modo senza veri cattivi, con Stati canaglia non ben precisati e piloti nemici senza volto al centro di una missione esaltante ma ben poco plausibile. Parla di guerra preventiva, ma non è per nulla belligerante. All'inizio del film siamo nel mondo reale, nel 2022, quando i droni sembrano pronti a pensionare tutti i piloti top gun, non solo Maverick. Poi lui fa un primo miracolo, arrivando a 10g: ci trasporta in una dimensione diversa, in cui il 59enne Cruise interpreta un pilota geniale che non ha perso un'oncia del suo fascino e della bravura, ma in compenso è diventato più saggio, decisamente più abile a gestire le emozioni.
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Più che una visione conservatrice (che era e che di fatto è questo franchise), più che una vuota nostalgia, Top Gun sembra un miracolo, l'ultima possibilità colta al volo da Cruise, Paramount e Bruckheimer di far rivivere un'epoca storica e cinematografica che vista ora appare semplice, felice, quasi desiderabile, definitivamente conclusa. La pellicola segue questo sentiero e non cede a nessun elemento moderno: ha un finale chiuso, non ha scene extra durante i titoli di coda, non cede alla voglia di suggerire un sequel o un franchise. Anche musicalmente Hans Zimmer non cede a suggestioni musicali emerse negli ultimi 30 anni.
Top Gun: Maverick è un salto nel passato fatto con molto trasporto o con molto calcolo, una dimostrazione di quanto il cinema d'altri tempi funzioni ancora se fatto con i nomi giusti, con l'approccio giusto. Sarebbe la chiusura di un cerchio notevole e speriamo sia così: l'impressione è che si sia consumato tutto il gas disponibile in questo film e che Cruise non abbia eredi: l'ultima stella in un cielo hollywoodiano in cui le star sono sempre più umane.
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