I 10 film sul Risorgimento italiano per celebrare l'Unità d'Italia

Da 1860 di Alessandro Blasetti a Noi credevamo di Mario Martone, ecco 10 film da non perdere per festeggiare al meglio l'anniversario di una data fondamentale: il 17 marzo 1861.

Autore: Alessandro Zoppo ,

Il 17 marzo 1861 fu proclamata l'Unità d'Italia. Cominciava il sogno di costruire un paese libero, o forse si compiva una sorta di incubo. Le questioni lasciate irrisolte dall'unificazione, come quella meridionale, sono ancora oggi parecchie.

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Perché l'immagine dei padri della patria si fa sempre più sbiadita? Il Risorgimento al cinema è stata un'occasione mancata per costruire una mitologia, l'epopea della "nascita di una nazione" come ha fatto Hollywood con il western?

Quali sono i film che hanno raccontato meglio i momenti salienti e il lungo percorso verso l'unificazione della Penisola? Ecco una lista di 10 titoli, tra chicche d'altri tempi e uscite più recenti, che vale la pena vedere per comprendere meglio il Risorgimento e capire l'Italia "incompiuta" di ieri e di oggi.

01 Distribution/Palomar
Una scena del film Noi credevamo di Mario Martone
Lo sbarco di Noi credevamo

1860

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Dopo i tanti film sul Risorgimento realizzati negli anni del muto, da La presa di Roma di Filoteo Alberini a I Mille di Alberto Degli Abbati, il racconto dell'Unità d'Italia torna in auge durante il Fascismo. Nel 1934 Alessandro Blasetti anticipa il neorealismo girando (con attori non professionisti e un soggetto ispirato in parte ai racconti di Gino Mazzucchi e Giuseppe Cesare Abba, uno dei Mille) quello che diventa un classico del cinema italiano: la biografia di Giuseppe Garibaldi e lo sbarco in Sicilia. Senza fare propaganda di regime, la storia si fa politica in quello che Blasetti definì "un film che aderisce totalmente alla realtà, pur essendo un film in costume".

Il brigante di Tacca del Lupo

Se Blasetti ha raccontato la conquista garibaldina del Meridione, nel 1952 Pietro Germi affonda la macchina da presa nei complessi rapporti tra individuo e stato, esplosi con il dominio piemontese imposto al Sud senza alcun tentativo di riforma socio-culturale. Al centro del film, girato in chiave avventurosa come un western alla John Ford con Amedeo Nazzari nei panni del John Wayne italiano, c'è un evento storico, rielaborato da Riccardo Bacchelli nel racconto Campagna contro i briganti: l'ultima fase del brigantaggio e lo scontro feroce, da guerra totale, tra soldati e fuorilegge. Evitando qualsiasi manicheismo con spirito da outsider ribelle, Germi affronta un argomento tabù per l'epoca e dipinge la cruda realtà di quegli anni colpito dai fatti della banda Giuliano: la Melfi del 1863 è infatti tremendamente simile alla Sicilia del dopoguerra.

Senso

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Luchino Visconti supera il neorealismo rileggendo il racconto breve di Camillo Boito, pubblicato nel 1883 e ambientato nella Venezia del 1866, alla vigilia della terza guerra di Indipendenza. Come in un melodramma verdiano, alla base di questo grande affresco storico c'è un'appassionata e contrastata storia d'amore, quella tra la contessa Livia Serpieri (Alida Valli), sostenitrice della causa della liberazione, e il tenente dell'esercito austriaco Franz Mahler (Farley Granger). La bellezza estetica dei costumi, l'uso raffinato del colore e la magniloquente coreografia delle scene di battaglia lasciano ancora oggi stupefatti. Comincia così la riflessione di Visconti sulla decadenza di un'epoca intera, portata a compimento dieci anni dopo con #Il Gattopardo. Forse il più importante film sul Risorgimento italiano.

Viva l'Italia

In occasione del primo centenario dell'Unità d'Italia, Roberto Rossellini ripercorre l'evento più leggendario del Risorgimento: la spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi nel Regno delle due Sicilie. Ma per il regista è cominciata la fase di passaggio alla didattica, alla sperimentazione e all'enciclopedismo e Viva l'Italia si distacca dalla retorica risorgimentale per "rimanere alle cose" – i retroscena politici e i fatti di cronaca, il privato di Garibaldi e dei suoi uomini e il Sud escluso dalle dinamiche dell'unificazione – spogliando l'immagine "di tutti i possibili ingredienti di suggestione". Nel 1961 Rossellini si immerge nella narrazione risorgimentale pure con Vanina Vanini, adattamento del racconto di Stendhal e la storia d'amore tra una giovane aristocratica romana (Sandra Milo) e un affiliato alla Carboneria (Laurent Terzieff).

Il Gattopardo

Dal romanzo postumo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il capolavoro di Luchino Visconti interpretato da Claudia Cardinale, Alain Delon e Burt Lancaster. Ancora una volta, il passato parla al presente: la trasformazione della Sicilia dai Borboni ai sabaudi – le vicissitudini del principe di Salina e la sua famiglia – e il passaggio di testimone tra due mondi affinché "tutto cambi perché nulla cambi". Palma d'Oro al Festival di Cannes 1963 e "stupefacente arazzo cinematografico in cui ogni gesto, ogni parola, la disposizione di ogni oggetto in ciascuna stanza richiama in vita un mondo perduto", come ha detto un estasiato Martin Scorsese.

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Nell'anno del Signore

Nella Roma del 1825, durante il pontificato reazionario e repressivo di Leone XII, due carbonari (il fatto vero è il processo farsa a Leonida Montanari e Angelo Targhini) attentano alla vita di un principe loro compagno e traditore e vengono catturati dai gendarmi. Un gruppo di popolani cerca di salvarli dalla ghigliottina, ma è tutto inutile. A nulla servono gli inviti satirici alla rivolta del ciabattino Cornacchia (uno strepitoso Nino Manfredi, vincitore del David di Donatello come miglior attore protagonista), nascosto dietro l'identità segreta di Pasquino. È il 1969 e Luigi Magni gira una commedia politica sull'inutilità delle rivoluzioni calate dall'alto, che diventa campione d'incassi della stagione. Nell'anno del Signore è il primo capitolo della trilogia risorgimentale proseguita con In nome del Papa Re (1977) e In nome del popolo sovrano (1990). Magni ha continuato a raccontare la Roma papalina e le spinose questioni postunitarie con Arrivano i bersaglieri (1980), 'o Re (1989) e La carbonara (2000), il suo ultimo film per il grande schermo.

Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato

Nel 1970 Florestano Vancini, reduce dalla denuncia di La violenza: quinto potere, racconta uno dei maggiori crimini commessi durante l'Unità d'Italia: la terribile repressione della rivolta di Bronte, il paesino del catanese che era insorto contro i notabili e i latifondisti della città che spalleggiavano la dittatura. Per ristabilire l'ordine, Giuseppe Garibaldi inviò in Sicilia il generale Nino Bixio, che dichiarò lo stato d'assedio e dopo un processo sommario, condannò a morte con esecuzione immediata i cinque presunti capi dei tumulti. Ispirato alla novella Libertà di Verga, il film di Vancini – che ebbe una gestazione non proprio semplice: la Rai lo trasformò in uno sceneggiato televisivo, poi mai trasmesso e ridiventato un film – è uno dei pochi sceneggiati da Leonardo Sciascia. Una controstoria su una pagina buia degli avvenimenti accaduti al Sud dopo lo sbarco a Marsala, da vedere con Quanto è bello lu murire acciso di Ennio Lorenzini, la biografia di Carlo Pisacane (ad interpretarlo è Stefano Satta Flores) e ricostruzione della spedizione di Sapri.

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Allonsanfàn

Nel 1816, in piena Restaurazione a seguito del Congresso di Vienna, il disilluso aristocratico milanese Fulvio Imbriani (Marcello Mastroianni), ex giacobino ed ex ufficiale napoleonico rilasciato dal carcere asburgico dov'era stato imprigionato per l'appartenenza ai Fratelli sublimi, rientra in famiglia, circondato dalle persone che gli vogliono bene. Ormai ha abbandonato i sogni di rivoluzione della Carboneria. Ma i compagni lo incalzano a prendere parte a una spedizione nel Sud e Fulvio comincia a pensare di tradirli. Nell'epoca del riflusso – il film è stato girato nel 1974 tra Basilicata e Puglia – i fratelli Taviani realizzano quella che Paolo ha definito un'allegoria su "quanto c'è dentro di noi di restauratorio su cui può agire il potere". Uno specchio della crisi e della sconfitta dell'ideale che porta con sé ogni epoca di transizione, come accaduto agli albori della nostra storia nazionale. Due anni prima, i Taviani avevano già affrontato il Risorgimento con San Michele aveva un gallo, la storia dell'anarchico Giulio Manieri (Giulio Brogi) condannato all'ergastolo per una protesta finite male e superato e irriso dalla nuova generazione di ribelli. Per la serie, corsi e ricorsi storici.

Il resto di niente

La nobile portoghese Eleonora Pimentel Fonseca (a interpretarla è una magnifica Maria de Medeiros) è stata l'eroina della Repubblica napoletana del 1799. Una donna dal carattere forte e combattivo che, insieme ai giovani aristocratici dell'epoca, si è battuta per gli ideali di uguaglianza e fraternità. Prima che il loro sogno venisse fatto a pezzi dopo appena sei mesi, giusto il tempo di assaporare il gusto della libertà. Antonietta De Lillo ripercorre la storia della prima donna a dirigere un giornale politico, impiccata il 17 agosto 1799 per ordine di re Ferdinando IV di Borbone, partendo dall'omonimo romanzo di Enzo Striano, adattato da Giuseppe Rocca con Laura Sabatino. Un dramma al femminile sontuoso, ipnotico e raffinato.

Dovranno passare tre anni prima di assistere ad un altro exploit risorgimentale nel cinema italiano: I Viceré di Roberto Faenza, tratto da un altro romanzo – scritto da Federico De Roberto nel 1894 – e ritratto di una nobile famiglia catanese, i principi Uzeda di Francalanza, che diventa "impietosa autobiografia di una nazione".

Noi credevamo

Un viaggio "dentro la storia italiana dell'Ottocento, alla ricerca di quelle tracce che una certa rappresentazione retorica del nostro Risorgimento ha finito per seppellire, privandoci di una prospettiva sul nostro passato evidentemente problematica, ma proprio per questo molto più viva e appassionante". Così Mario Martone, ispirato dalle storie del popolo Sarawi, definisce il suo sesto lungometraggio, liberamente tratto dal romanzo omonimo di Anna Banti e sceneggiato con il magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo. Diviso in quattro capitoli (Le scelte, Domenico, Angelo e L'alba della nazione, dal 1828 al 1868), Noi credevamo ripercorre il processo che ha portato all'Unità attraverso le vicende di tre ragazzi antiborbonici meridionali, affiliati alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Dal Cilento si passa alle imboscate sull'Aspromonte e alla repressione dei Savoia, fino ai circoli di esuli e patrioti a Parigi e a Londra.

Nel cast spiccano Toni Servillo e Valerio Binasco, Luca Zingaretti e Luigi Lo Cascio. Tutti al servizio di un affresco rassegnato e nichilista, nel quale si respira l'aria di una sconfitta storica e si mastica l'amarezza del fallimento. Tanto che Le Monde a suo tempo ha definito il film di Martone "il nuovo Gattopardo".

Il passato non passa e il nostro paese resta eternamente diviso in due, suggerisce il regista napoletano, che ha completato la sua "genealogia del presente" – una trilogia "del tutto casuale" – sui giovani ribelli dell'Italia dell'Ottocento con Il giovane favoloso e Capri-Revolution. Perché in fondo, immaginare un'altra Italia, che ripensi i valori dell'unità e dell'eguaglianza in una società liquida e polarizzata, è la vera sfida della politica e del cinema contemporanei.

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