Il delitto Mattarella: la storia vera dietro al film

Torna al cinema il film di Aurelio Grimaldi, che ricostruisce l'omicidio dell'allora Presidente della Regione Sicilia, i cui esecutori sono ancora senza nome, tra depistaggi, trame oscure e collusioni inquietanti.

Autore: Alessandro Zoppo ,

Il delitto Mattarella, il nuovo film di Aurelio Grimaldi, torna al cinema dal 2 luglio 2020 dopo la lunga chiusura e la difficile riapertura delle sale. 

Il regista siciliano ha cullato per tanti anni questo ritorno al cinema militante e d'impegno civile, già affrontato nella trilogia su Pasolini e nel difficile e controverso Se sarà luce sarà bellissimo. Moro: un'altra storia, mai stato distribuito nelle sale e passato soltanto nel giro dei festival. 

In questo caso, la ricostruzione storica è quella del caso di Piersanti Mattarella, il politico democristiano assassinato dalla mafia il 6 gennaio 1980 durante il mandato di Presidente della Regione Sicilia.

Grimaldi ha fortemente voluto questo progetto perché ritiene che Mattarella sia "una figura ingiustamente dimenticata". 

A Roma e Milano non esiste nemmeno una via a lui dedicata. La discrezione della impeccabile famiglia e del fratello Presidente della Repubblica sono senza pari.

Ma qual è la storia vera dietro #Il delitto Mattarella?

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Piersanti Mattarella, fratello maggiore dell'attuale Presidente della Repubblica Sergio, è un brillante avvocato e ordinario di diritto privato all'Università di Palermo.

Cresciuto politicamente nelle fila della Democrazia Cristiana siciliana dell'epoca, compie tutta la consueta trafila: consigliere comunale a Palermo (nel pieno dello scandalo del Sacco), deputato regionale e assessore eletto per due legislature con delega al bilancio, fino alla nomina a Presidente della Regione il 9 febbraio del 1978 con 77 voti su 100 (il risultato più alto della storia dell'assemblea) con una coalizione di centro-sinistra appoggiata dal PCI.

La lotta alla mafia

Sono gli anni difficili della corruzione dilagante e della collusione con la delinquenza, della sfida alle istituzioni, dell'omicidio di Peppino Impastato, dei durissimi discorsi pubblici contro Cosa nostra. 

Mattarella, rivela Pietro Grasso nel libro Per non morire di mafia, "stava provando a realizzare un nuovo progetto politico-amministrativo, un'autentica rivoluzione". 

La sua politica di radicale moralizzazione della vita pubblica, secondo lo slogan che la Sicilia doveva mostrarsi 'con le carte in regola', aveva turbato il sistema degli appalti pubblici con gesti clamorosi, mai attuati nell'isola.

Il film di Grimaldi ricostruisce quel clima politico: Mattarella, interpretato da David Coco, non piace alla mafia, alle segreterie romane e ai capicorrente siciliani del suo partito perché vuole tutelare il territorio dalle speculazioni, aprire al compromesso storico, preservare e rafforzare l'autonomia locale, unire le regioni meridionali. Il Presidente vuole imporre un rinnovamento di riforme e di trasparenza ad una Regione che deve avere, ama ripetere, "le carte in regola".

L'assassinio il giorno dell'Epifania

La mattina di domenica 6 gennaio 1980, in via della Libertà a Palermo, Mattarella si sta recando a messa con la sua famiglia. Un ragazzo armato di pistola si avvicina al finestrino dell'auto, una Fiat 132, e spara a sangue freddo. Piersanti muore sul colpo. La scena è immortalata da una fotografia di Letizia Battaglia che diventa un simbolo, con Sergio che corre in soccorso del fratello.

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Il delitto, inizialmente, è rivendicato da parte di un sedicente gruppo neofascista e gli inquirenti battono subito la pista terroristica. Ma l'incertezza è tanta.

Il giovane sostituto procuratore di turno è Pietro Grasso, futuro Procuratore Antimafia e Presidente del Senato. Anche lo scrittore e allora parlamentare radicale Leonardo Sciascia non è certo di ciò che sta accadendo, come rivela al Corriere della Sera.

O è mafia, o è terrorismo. O mafia camuffata da terrorismo o terrorismo che, inevitabilmente o confortevolmente, ci si ostina a vedere come mafia.

Le indagini vanno avanti con difficoltà e lentezza, tra prove false e depistaggi. A dare una svolta è il giudice istruttore Giovanni Falcone, che per primo individua le relazioni tra mafia, politica, neofascisti, banda della Magliana (che trattava con la Cupola il riciclaggio dei soldi sporchi), Gladio e servizi segreti.

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L'avvocato della famiglia Mattarella, Francesco Crescimanno, crede fermamente nella pista politica e lo ribadisce da tempo, come in un'intervista concessa a Repubblica.

La mafia c'entra, certo che c'entra. Ma quello di Mattarella, lo ritengo un omicidio più politico che mafioso. Io sono convinto che il killer sia Giusva Fioravanti, lo hanno riconosciuto sia la moglie di Mattarella che la domestica.

Fioravanti, leader del gruppo eversivo neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari e condannato con Francesca Mambro come autore della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, è stato assolto in Cassazione, anche se "il giudice Falcone non aveva dubbi" sulla sua colpevolezza, ribadisce Crescimanno.

Fioravanti avrebbe agito con l'aiuto di Gilberto Cavallini, detto "il Negro", un altro esponente di punta dei NAR, condannato nel gennaio del 2020 all'ergastolo per la strage di Bologna insieme a Fioravanti, Mambro e Luigi Ciavardini, minorenne all'epoca dei fatti.

Per Falcone, Fioravanti e Cavallini hanno goduto dell'appoggio di Francesco Mangiameli, dirigente siciliano di Terza posizione poi ucciso dallo stesso Fioravanti il 9 settembre del 1980, e di Gabriele De Francisci, un militante del FUAN che avrebbe messo a loro disposizione un appartamento nella stessa zona della famiglia Mattarella. 

Secondo l'avvocato Crescimanno, "c'è un filo rosso che lega tutti i grandi delitti: un unico progetto politico". Il riferimento è alle morti del segretario del PCI Pio La Torre, ucciso il 30 aprile 1982, del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, ammazzato a via Carini il 3 settembre 1982, e del magistrato Rocco Chinnici, assassinato il 29 luglio 1983.

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Quando la Commissione Antimafia ha pubblicato l'audizione integrale di Falcone del 3 novembre 1988 davanti alla Commissione dell'epoca, l'allora giudice istruttore ammette che se la "pista nera" si rivelasse corretta, bisognerebbe "rifare la storia di certe vicende del nostro paese". 

Come si legge in quei documenti, pubblicati dal Corriere della Sera, Falcone allude ad una "materia incandescente" ed evidenzia collegamenti che risalgono al golpe Borghese, alla strage della stazione di Bologna e alla presenza di Michele Sindona, il finanziere mandante dell'omicidio del liquidatore Giorgio Ambrosoli e che intratteneva numerosi contatti con i boss della Cupola.

La ricerca della verità

I vertici mafiosi che hanno ordinato di uccidere Mattarella sono "la Commissione", ovvero Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci, ma stando a quanto rivelato dal collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, "Stefano Bontate e i suoi alleati non erano favorevoli all'uccisione di Mattarella, ma non potevano dire a Riina (o alla maggioranza che Riina era riuscito a formare) che non si doveva ammazzarlo".

Per Buscetta, tuttavia, l'eversione di destra non c'entra: il pentito sostiene che a fare fuori il Presidente della Regione siano stati i Corleonesi con il supporto della politica locale, su tutti l'ex sindaco Vito Ciancimino.

Secondo il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia, come ricostruisce il Corriere, Giulio Andreotti sarebbe stato a conoscenza dell'insofferenza di Cosa nostra per Mattarella, ma non avvertì né il collega o la sua famiglia né la magistratura.

Andreotti scese a Palermo e si incontrò con Bontate, i cugini Salvo, Lima, Nicoletti, Fiore e altri. Ho appreso di questo incontro dallo stesso Bontate, il quale me ne parlò poco tempo dopo, in periodo tra la primavera e l'estate 1979. Egli mi disse solo che tutti quanti si erano lamentati con Andreotti del comportamento di Mattarella, e aggiunse poi: 'Staremo a vedere'. Alcuni mesi dopo fu deciso l'omicidio Mattarella.

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La tesi sostenuta da Grimaldi nel suo film è che la mafia, per l'omicidio, si è alleata con l'estrema destra. L'oggetto di scambio è l'evasione dal carcere Ucciardone del leader Pierluigi Concutelli, il capo militare di Ordine Nuovo condannato a quattro ergastoli (oggi usufruisce del regime di semilibertà) per insurrezione e per gli omicidi del giudice Vittorio Occorsio e dei militanti di Avanguardia Nazionale Ermanno Buzzi (condannato all'ergastolo per la strage di Brescia) e Carmelo Palladino.

Il processo, durato sette anni (dal 1992 al 1999), si è concluso con le condanne dei mandanti della "Commissione", ma a quarant'anni di distanza non si conoscono ancora gli esecutori materiali. Il procuratore Gian Carlo Caselli, in un'intervista a Repubblica del 12 agosto 1997, ha definito Piersanti Mattarella "un democristiano onesto e coraggioso ucciso proprio perché onesto e coraggioso".

Ora la Procura di Palermo, coordinata da Francesco Lo Voi con Salvatore De Luca e il sostituto procuratore Roberto Tartaglia, ha riaperto l'inchiesta. Le nuove perizie hanno stabilito che l'arma che sparò al politico siciliano è la stessa che uccise il giudice Mario Amato a Roma, sei mesi dopo: una Colt Cobra calibro 38 Special. Amato è stato assassinato proprio da Cavallini, che sta scontando la sua pena (l'ex terrorista è condannato a diversi ergastoli) a Terni, in regime di semilibertà provvisoria.

Tartaglia ha lanciato un appello a Fioravanti.

Ha iniziato un percorso sociale importante e comunque non può più essere processato per quei fatti, essendo già stato assolto: perciò potrebbe contribuire al raggiungimento della verità. Potrebbe, ove lo ritenesse, aggiungere dei tasselli per ricostruire alcuni segmenti misteriosi che lo collegano alla Sicilia in quel periodo.

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Il delitto Mattarella, ha raccontato Grimaldi in un'intervista al Secolo XIX, nasce come omaggio ad un politico "rimosso" troppo in fretta, ma anche come un modo per elaborare un rimorso personale.

Quel 6 gennaio del 1980 ero ventenne e, quando seppi della morte del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, pensai stupidamente che si trattasse di un politico siciliano della DC venuto a patti con la mafia. Che la sua morte, insomma, rientrasse in un regolamento di conti. 

Soltanto anni dopo, il regista ha capito e questo film è diventato un riconoscimento "a una figura importante e trascurata" perché "il senso di colpa per quel pensiero sbagliato, me lo sono portato avanti per tantissimo tempo".

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