C'è un filo rosso, come quello che nell'antica leggenda giapponese lega in modo indissolubile la persona a cui siamo destinati, che unisce i film d'animazione di Mamoru Hosoda, il regista indicato da più parti come l'erede di Isao Takahata. Lo scorrere del tempo e l'importanza delle relazioni famigliari sono al centro degli anime di Hosoda. Da #La ragazza che saltava nel tempo, #Summer Wars, #Wolf Children e #The Boy and the Beast, fino a Mirai, il viaggio tra realtà e fantasia del piccolo Kun, valso al regista la prestigiosa selezione alla Quinzaine des Réalizateurs di Cannes 2018 e la doppia candidatura a Oscar e Golden Globes.
La memoria tiene insieme le generazioni di ieri e quelle di oggi. Dopo aver esplorato la giovinezza, la famiglia moderna e quella tradizionale, la maternità e la paternità, Hosoda dedica Mirai al rapporto tra fratelli e sorelle. Dietro il film, in realtà, c'è l'esperienza diretta del regista, figlio di un ingegnere ferroviario e di una sarta, nato nella prefettura di Toyama nel dicembre del 1967 e oggi padre di due figli.
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La trama
#Mirai (il titolo originale è Mirai no Mirai, ovvero Mirai dal futuro) racconta la storia di Kun, un bambino di quattro anni figlio di un architetto e di una donna in carriera. Kun vive felice con i genitori e il cagnolino Yukko nella casa che il papà ha progettato per loro a Kanazawa-ku, quartiere della città portuale di Yokohama. L'infanzia tranquilla del bambino viene sconvolta dalla nascita della sorellina Mirai (futuro in giapponese, quindi una sorta di "futuro del futuro").
Dopo i primi giorni da "fratellone", Kun si rende conto che "Mirai non mi piace proprio" e che i genitori sono diventati davvero "antipatici" perché ormai rivolgono tutte le loro attenzioni alla neonata. A nulla servono i capricci e le urla, i pranzi con i nonni e i giochi con l'indaffarato papà, che ha scelto di occuparsi delle faccende domestiche facendo il freelance da remoto per permettere alla mamma di riprendere a lavorare. Kun è geloso, si sente un intralcio e prova in ogni modo a riconquistare l'amore dei genitori.
Un giorno, all'improvviso, succede qualcosa di magico: nel cortile di casa, ai piedi del vecchio ed imponente acero del giardino, compare davanti ai suoi occhi uno strano signore. Si fa chiamare il "Principe", ma è il cane Yukko. Pure lui si è sentito "spodestato" quando è nato Kun: i padroni non gli hanno più comprato quel cibo prelibato al quale era abituato. Qualche giorno dopo, passata la Festa delle bambole (l'Hinamatsuri), accade un evento ancora più incredibile: nel giardino si materializza la Mirai del futuro, cresciuta di quindici anni e ormai adolescente.
Kun e Mirai cominciano un viaggio emozionante nel tempo e nello spazio alla scoperta della loro genealogia. Kun non incontrerà soltanto il bisnonno (scoprendo la verità sulla misteriosa storia d'amore che ha dato il via alla loro famiglia) e la mamma, che da bambina non era poi così diversa da lui.
Mirai farà "perdere" Kun e gli farà ritrovare la strada. Quest'avventura tra passato e futuro formerà la sua identità, gli darà la serenità e la consapevolezza per accettare e comprendere il presente, trovare il proprio posto nel mondo e diventare il fratello maggiore che tutti si aspettano.
L'ispirazione
Prodotto da Studio Chizu, Mirai è basato sulla storia personale di Mamoru Hosoda. Il regista ha avuto lo spunto per la sceneggiatura dall'occhiataccia e lo sguardo triste che il suo primogenito di tre anni ha lanciato alla sorellina la prima volta che l'ha vista. Hosoda racconta in un'intervista all'Irish Times che il piccolo, all'epoca, "ha fatto i capricci e ha detto che la sorella aveva rubato il nostro amore".
Scrivere questo film è stato un modo di registrare ciò che stava accadendo nelle loro vite. Ma la sceneggiatura è anche tratta da molte delle mie esperienze di vita a quell'età o da quanto posso ricordare di allora. Quando si diventa genitori, si ha la sensazione di rivivere la propria infanzia. Almeno nel mio caso. Quindi ti ricolleghi a quel periodo.
Così è arrivata la storia di un bimbo che apprende le origini della sua famiglia e al tempo stesso a voler bene a sua sorella. Il giardino incantato al centro della casa è il portale col quale accedere a questa coscienza, spostandosi avanti e indietro nel tempo: soltanto osservando e restituendo l'affetto che ha avuto, Kun si connette alle proprie radici e re-impara cos'è l'amore.
La decisione di ambientare il film a Yokohama (i precedenti lavori di Hosoda hanno Toyoma come set) è dovuta ad un altro episodio autobiografico (il bisnonno di sua moglie viveva vicino al mare, costruiva motori per aerei da guerra ed è stato ferito durante il conflitto, come il bisnonno di Kun) e soprattutto al porto che domina la città, uno dei primi ad aprirsi al commercio internazionale, e che la rende una metropoli sempre in contatto con l'Occidente e in continua evoluzione. "Ho scelto Yokohama perché Mirai è una storia su come una famiglia può cambiare, ma resta sempre se stessa", spiega il regista al magazine Paste.
All'inizio, nella sceneggiatura il papà di Kun faceva un altro lavoro. Ma quando ho dovuto pensare alla progettazione del layout della casa, di solito una persona dall'indole artistica progetta la propria abitazione. Allora ho chiesto a un vero architetto, Makoto Tanijiri, di progettarla. Lui è famoso per le sue case interessanti o diverse dalle altre. Collaborando con Tanjiri, mi ha detto che anche lui aveva un figlio e che lavorava da casa per aiutare la moglie a crescere i suoi bambini. La sua vita sembrava così simile alla storia che stavo scrivendo che l'ho inserita nel film stesso.
Quando Hosoda ha fatto vedere Mirai ai suoi figli, la loro reazione è stata entusiastica. Si sono divertiti e hanno apprezzato, specie il maschio che è appassionato di treni come Kun e ha addirittura rimproverato il papà, perché il protagonista ha molti più modellini di lui. Pure in questo caso, l'animazione è accurata, oltre che morbida e fantasiosa: soltanto quando Kun si ritrova da solo e perso nella grande stazione di Tokyo, i toni si fanno più cupi e distorti, quasi gigeriani.
Per quella scena, il regista ha chiesto a un'illustratrice di libri per bambini di disegnare i bizzarri e inquietanti personaggi della Tokyo Station e si è ispirato ai "treni proiettile" (i "dangan ressha") messi a punto dal visionario ingegnere Hideo Shima.
Le tematiche
Tramite gli occhi e l'immaginazione di Kun gli spettatori vivono la sua formazione, che si plasma nel tempo come gli stili del racconto: la commedia familiare, l'avventura fantastica, la realistica cronaca quotidiana.
Non a caso Hosoda cita il cinema di Yasujirō Ozu come un'enorme influenza per questo film. D'altra parte, sin dai tempi passati alla Tōei Animation, il regista dichiara di aver appreso moltissimo dai film di uno dei più importanti registi del cinema giapponese.
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Quando Mamoru Hosoda realizza un film, tende ad ispirarsi alle persone che gli sono vicine, di solito la sua famiglia. È per questo che i legami famigliari sono sempre il nucleo delle sue opere. Eppure, ha confessato in un'intervista a Tech Gaming che prima di sposarsi pensava che il matrimonio "sarebbe stato una seccatura, o che come maschio sarebbe stato la fine della mia vita, come un cimitero".
Ma quando mi sono sposato è stato molto diverso. Ho imparato la felicità di essere sposato. Ed è la stessa cosa con l'avere figli. Pensavo che se avessi avuto dei figli non avrei avuto tempo libero e un mucchio di responsabilità finché non fossero cresciuti. Ma non era vero. Voglio dire, i figli occupano un sacco di tempo, ma ti donano così tanta felicità e mi ispirano enormemente. Ed è probabilmente per questo che la famiglia diventa il tema esistenziale nei miei film.
Hosoda sente in maniera profonda la responsabilità di essere padre. D'altronde non si nasce genitori perfetti: buoni genitori si diventa, senza avere paura di mostrare le proprie fragilità. I bambini non vanno solo educati: quando si trascorre tempo con loro, si recupera una purezza perduta e si impara parecchio, al contrario di quanto si pensa.
Il regista ha voluto semplicemente tradurre in immagini l'emozione della felicità che gli danno i suoi figli, capaci di vivere in modo diverso e libero perché non confinati alle rigide regole sociali, e trasmettere al pubblico che "c'è qualcosa di speciale nei piccoli incidenti della nostra vita quotidiana".
Man mano che i bambini crescono, anche i genitori imparano e crescono. Volevo davvero rappresentare tutto questo e mostrare ai genitori che non hanno soltanto un ruolo: anche loro crescono e cambiano, proprio come i loro figli.
Il Giappone è il paese con il più alto numero di centenari al mondo, dove i giovani rimandano il matrimonio e non fanno figli. Il calo delle nascite (si stima -30% della popolazione nel 2065) è un problema di vecchia data e un pericolo sociale sempre più grave e discusso. Mirai è anche un monito per la "società degli adulti" a non dimenticare come sono i bambini e che noi tutti siamo stati piccoli e abbiamo commesso degli errori. Se Hosoda e altri registi come lui scelgono l'animazione "per raccontare storie sui bambini – ricorda a Variety – è perché vogliamo tornare alla nostra infanzia, e sfuggire alle nostre responsabilità sociali per vivere liberamente come bambini. Forse vogliamo vedere il mondo risplendere ancora di stupore e di meraviglia".
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