Le persone che ami ti rendono quello che sei. Fanno parte di te. Se smetti di essere te stessa, l’ultimo pezzetto di loro che è in te, "chi" sei tu… Se ne va.
In questo esplosivo inizio della seconda parte di stagione #The Walking Dead ci ricorda che dipende tutto da noi. Dalle scelte che facciamo, dalle persone che scegliamo di amare e seguire.
Lo dice anche il nostro “lupo”, l’uomo che ha in ostaggio Denise: non è nato così, lo è diventato. Ha amato le persone sbagliate, e ora vuole che Denise cambi. Come lui.
Ma sarà lui a cambiare. A sacrificarsi per salvare una vita che fino a poco prima, ai suoi occhi, non valeva nulla.
Sapete perché? Perché niente è impossibile, in The Walking Dead.
Soprattutto, niente è prevedibile. Non tre morti, un grave ferimento, continui colpi di scena.
Non il colpo di pistola rivolto a Carl da Ron (per la seconda volta, Rick rischia di perdere la sua unica ragione di vita a causa di un essere umano, non degli zombie). Non l’uscita di Rick dall'infermeria, che sembra voler lanciare un’assurda crociata contro i morti viventi, in preda al delirio della vendetta.
Per poi dimostrari che il suo non era un gesto folle: era il gesto definitivo, quello necessario a scuotere le coscienze e rianimare la passione, la voglia di vivere. La convinzione che - come aveva già detto Glenn - "solo uniti ce la faremo".
Un capo ordina ai soldati di andare là fuori, in mezzo agli zombie. Un leader dà il buon esempio, guida i suoi in battaglia e viene seguito. E qui, di leader, ce n’è uno solo.
Rick Grimes conduce i suoi amici, anche i suoi nuovi amici, attraverso uno scontro epocale per riprendere il controllo di Alexandria. Per sterminare il nemico. Per riaffermare, senz’ombra di dubbio, la superiorità dei vivi sui morti.
Non a caso, non sono i morti la minaccia più pericolosa. Sappiamo già che Negan sta arrivando, ma sappiamo anche che tutto precipita nel caos, immancabilmente, per colpa degli uomini.
Quel "Mamma, mamma…" di Sam, che chiudeva l’episodio precedente con la tensione alle stelle, è caduto nel vuoto. Ma la tensione è talmente alta che nemmeno c'importa, e poi viene prontamente rimpiazzato da un’altra crisi del ragazzino che, come previsto, causa la morte sua e di sua madre Jessie (perché non sia mai che al leader si conceda un po' di felicità).
Jessie è incapace di lasciar andare Sam e involontariamente - nella drammatica sequenza in cui viene sbranata - intrappola anche Carl. Niente panico, però: Rick Grimes è sempre pronto a sporcarsi le mani, a fare ciò che serve. Incluso amputare la mano della sua donna per salvare il figlio.
Siamo nell'episodio in cui i codardi prendono coraggio. Padre Gabriel si unisce alla lotta, Eugene non esita ad affiancare i suoi amici, Denise è pronta a rischiare la vita per aiutare il suo aguzzino. Perché le persone che ami ti rendono quello che sei. E loro, tutti loro, amano le persone giuste.
Le persone che ora si ricongiungono, riunendo una grande famiglia al momento giusto, in un crescendo di emozioni e di esaltazione che ci porta all’unica risposta possibile: restare insieme.
Si vive insieme, si muore soli. Ci si fa forza l’un l’altro, ci si salva l’un l’altro.
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Ci erano stati promessi 1300 zombie, in questo episodio. Non sono stata a contarli uno per uno, ma direi che le aspettative non sono state deluse.
E sì, caro Scott Gimple: io ho pianto, e ho gridato contro la TV. E come per magia, un gruppo di personaggi che staccano teste e infilzano cervelli, diventano pura poesia.
Abbiamo visto di cosa sono capaci, se restano uniti. Abbiamo visto come possono ricostruire un nuovo mondo per i loro figli. Abbiamo visto personaggi e situazioni entrare nel mito.
Mordi, mastica, ingoia, ripeti.
Abbiamo assistito al crollo dei pregiudizi: no, questa non è una serie horror. Questa non è una serie sugli zombie. Questa è una serie sugli uomini.
Sulla loro crudeltà, sulla loro viltà, sul loro coraggio e sulla loro grandezza.
Questa è The Walking Dead.
Nell'episodio 6x10 di The Walking Dead:
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