There Is No Evil, tutto quello che c'è da sapere sul film Orso d'Oro a Berlino 2020

Autore: Alessandro Zoppo ,

"Grazie al cielo nessuno fra quelli giustiziati era innocente": sono le parole che aprono il trailer di There Is No Evil, il film del regista indipendente iraniano Mohammad Rasoulof che ha vinto l'Orso d'Oro al Festival di Berlino 2020. Il premio è stato ritirato dalla figlia Baran e dal cast di attori: Rasoulof non può lasciare il suo Paese perché è accusato di fare propaganda contro il governo e di minacciare la sicurezza nazionale.

Sheytan vojud nadarad (questo il titolo originale) arriverà presto nelle sale italiane: il film è stato acquistato da Satine (la società di Claudia Bedogni che ha distribuito film come #Re della terra selvaggia e #Alabama Monroe - Una storia d'amore e che il 12 marzo farà uscire l'acclamato I miserabili di Ladj Ly), anche se l'uscita precisa non è ancora stata fissata.

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È comunque tempo di mettere in campo le informazioni che possiamo fornire prima della visione. Ovviamente, evitando gli spoiler.

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La trama

There Is No Evil è diviso in quattro capitoli: le quattro storie, collegate tematicamente tra loro, affrontano temi cruciali della società iraniana come la responsabilità individuale, l'attuazione della pena di morte e l'obbedienza cieca agli ordini imposti.

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Il primo capitolo si chiama proprio There Is No Evil e ha per protagonista il 40enne Heshmat (Ehsan Mirhosseini), un marito e padre solare e disponibile, come tanti altri. La sua vita, però, nasconde un tremendo segreto, che svolge ogni notte in silenzio.

La seconda storia, She Said: "You Can't Do It", è quella di Pouya (Kaveh Ahangar), un ragazzo che ha cominciato da poco la leva militare obbligatoria ma in cuor suo spera di ottenere presto un passaporto per andare a vivere all'estero con la fidanzata. Tutto cambia una notte, quando deve eseguire un ordine tremendo: occuparsi dell'esecuzione di un condannato a morte.

Birthday è il terzo capitolo: Javad (Mohammad Valizadegan) è un giovane soldato che ha ottenuto tre giorni di permesso per tornare al suo paese, vicino al Mar Caspio, e festeggiare il compleanno della fidanzata Nana (Mahtab Servati). Javad non ha detto nulla alla ragazza del suo ritorno: la sorpresa e la morte di una persona cara cambieranno per sempre la vita dei due innamorati.

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La quarta e ultima storia è Kiss Me e segue Bahram (Mohammad Seddighimehr) e Zaman (Jila Shahi), una coppia di mezz'età che si è messa ad allevare api. Quando Bahram chiede di incontrare la nipote Darya (Baran Rasoulof, la figlia del regista), cresciuta in Germania, decide di rivelarle un segreto doloroso che cela da vent'anni.

Qual è il legame tra queste storie, nelle quali risuona la versione di Bella ciao cantata da Milva?

In Iran la pena di morte è ancora prevista e i metodi di esecuzione sono impiccagione e lapidazione. Il servizio militare è obbligatorio per tutti gli uomini: fino a quando non si assolvono gli obblighi di leva, non è possibile avere il passaporto e quindi lasciare il Paese. I militari che si offrono volontari per eseguire la pena capitale di un condannato a morte ricevono tre giorni liberi. In tutte e quattro queste storie "non c'è cattiveria", come recita il titolo del film.

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Il regista spiega così perché.

Da cittadini responsabili, abbiamo altra scelta quando veniamo costretti a far rispettare gli ordini disumani di chi è al potere? Da esseri umani, fino a che punto dobbiamo essere ritenuti responsabili dell'adempimento dei loro ordini? Di fronte alla macchina dell'autocrazia, quando si ha a che fare con le emozioni, come ci si relaziona con l'amore e la responsabilità morale?

Il regista

Mohammad Rasoulof è nato a Shiraz nel 1972. Dopo aver studiato Sociologia, ha iniziato a girare i primi cortometraggi e documentari. Il suo primo film si chiama The Twilight (2003) e racconta la storia di una madre che cerca una sposa per il figlio, finito in prigione per furto: trovare una moglie è l'unico modo legale che esiste in Iran per uscire di carcere.

L'isola di ferro (2006), il suo secondo film presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, prende le mosse dal viaggio di una piccola comunità nel Golfo Persico, che decide di trasferirsi su una vecchia petroliera abbandonata nella speranza di una vita migliore. La loro scelta viene messa a dura prova quando è proprio il capo del gruppo a cominciare a vendere le parti di ferro della nave.

Goodbye del 2011, il suo terzo film girato in clandestinità e premiato per la migliore regia nella sezione Un certain regard di Cannes, è il racconto della sua vicenda personale: la storia di una legale, interpretata da Leyla Zareh, alla quale viene ritirata la licenza per praticare dopo aver chiesto un visto.

Manuscripts Don't Burn (2013), vincitore del Premio FIPRESCI sempre nella sezione Un certain regard di Cannes, è invece la ricostruzione della cosiddetta "catena di omicidi" avvenuti in Iran tra il 1988 e il 1998, in cui più di ottanta intellettuali dissidenti vennero uccisi da membri dei servizi di sicurezza.

Prima di There Is No Evil, Rasoulof ha diretto nel 2017 A Man of Integrity, premiato ancora una volta al Certain regard e durissimo atto d'accusa contro il sistema di corruzione iraniano, che tenta in ogni modo di convincere il protagonista Zera (Reza Akhlaghirad), un ex professore che ha lasciato l'università per dedicarsi all'allevamento di pesci d'acqua dolce, a vendere la sua terra a un gruppo di speculatori senza scrupoli che lavorano per il governo.

Il team creativo

Prodotto da Rasoulof, Kaveh Farnam e Farzad Pak con la tedesca Cosmopol Film e la ceca Europe Media Nest, There Is No Evil conta sulla fotografia di Ashkan Ashkani, le musiche di Amir Molookpour, le scenografie di Saeid Asadi e i costumi di Afsaneh Sarfejo.

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Cosmopol Film
Il poster del film There Is No Evil
Il poster del film

La produzione è stata particolarmente difficile: i film di Rasoulof non arrivano al cinema in Iran e lui ha messo tutto se stesso per raccontare questa vicenda nata da un'esperienza singolare.

Un giorno stavo guidando e improvvisamente ho visto uno degli uomini che mi aveva sottoposto a interrogatorio, dentro e fuori dal carcere, alcuni anni fa. Usciva da una banca, ero molto sorpreso e sotto shock. È entrato in macchina e io ho deciso di seguirlo: l'ho pedinato in preda alla rabbia e all'eccitazione. Ma dopo un po' ho realizzato quanto fosse normale e simile agli altri: ho compreso che di fronte a me non c'era un mostro, il male, ma solo una persona che non ha mai messo in discussione le proprie azioni, che inconsciamente accetta tutto ciò che le autorità gli dicono e lo esegue ciecamente. Questo è un esempio di come ho messo me stesso in ciascuna storia.

Le vendite internazionali di There Is No Evil sono di Films Boutique, che ha subito festeggiato la vittoria dell'Orso d'Oro alla Berlinale sui social.

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Il caso politico

There Is No Evil è puro cinema popolare e di protesta, nella tradizione di Jafar Panahi e Bahman Ghobadi. Rasoulof, che ha contestato apertamente l'allora presidente Ahmadinejad rivendicando un cambiamento per il proprio Paese come chiedeva il movimento dell'Onda verde, si batte da anni contro la censura: arrestato nel marzo del 2010, è stato condannato a sei anni di carcere e rilasciato su cauzione dopo un anno. Nel periodo in cui attendeva la decisione del tribunale, ha girato Goodbye.

Le autorità gli hanno impedito di andare a Berlino a ritirare l'Orso vinto per There Is No Evil, come accaduto a Panahi nel 2015 con Taxi Teheran. Nonostante sia stato accusato da alcuni giornalisti iraniani di mistificazioni e ricostruzioni arbitrarie di alcuni fatti raccontati nel film (come il ruolo dei militari che accettano di eseguire le pene capitali), Rasoulof ha fatto sentire la sua voce tramite una videochiamata alla figlia Baran.

Il mio film è contro chi fugge ai compiti imposti dal regime e si assume la responsabilità delle proprie azioni.

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Oggi il regista non è in carcere ma non ha il passaporto: gli è stato imposto il divieto di girare film e uscire dal Paese, come al suo amico e collega Panahi.

Le recensioni

There Is No Evil ha vinto il premio più importante della Berlinale e questo fatto è in piena sintonia con il giudizio della critica a livello internazionale, che è tendenzialmente molto buono.

Peter Debruge definisce il film su Variety "un potente caso di morale contro la pena di morte in Iran", Lee Marshall di Screen sintetizza il messaggio dell'opera come "l'unico potere che i cittadini hanno di fronte alla tirannia è il potere di dire no", Cristina Piccino sul Manifesto scrive che "Rasoulof mette in gioco per primo se stesso, il ruolo dell'artista che non deve essere per forza speciale ma come i personaggi che hanno compiuto dei gesti di ribellione viene messo in isolamento".

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Con la sua scelta, la Giuria guidata da Jeremy Irons ha voluto lanciare un chiaro messaggio al governo iraniano.

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