Un Affare di famiglia, la recensione: sì, Hirokazu Kore-eda ha meritato la Palma d'Oro

Autore: Elisa Giudici ,

Ogni bambino ha bisogno della sua mamma. Questo è quello che pensano le madri. In questo laconico, lapidario scambio di battute è racchiuso gran parte del cinema recente di Hirokazu Kore-eda, il regista giapponese più noto e apprezzato al mondo in anni recenti. Accreditato ormai da anni come l'autentico erede del geniale Yasujiro Ozu, Hirokazu Kore-eda dice di sentirsi più influenzato dal cinema di Ken Loach (a sua volta vincitore della Palma d'Oro due anni fa con Io, Daniel Blake).

La sua carriera è impressionante per solidità qualitativa e ricchezza narrativa: sin dal suo esordio, con una serie nutrita di documentari, Kore-eda si è distinto per una maestria non comune non solo come regista, ma anche come sceneggiature di vicende umane intime e del loro trasformarsi in cronaca. 

Le ossessioni (da Palma) di Hirokazu Kore-eda

Sono due i nuclei narrativi a cui afferisce il suo cinema: la prima parte della sua carriera è incentrata sul racconto di storie che s'interrogano su grandi casi di cronaca o ricorrenze storiche importanti: l'AIDS, le sette e gli attacchi terroristici del Giappone negli anni '90, efferati delitti che hanno travolto media e opinione pubblica. 

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Dal 2006 con Hana Kore-eda cambia direzione e diventa uno straordinario narratore di quotidianità nascoste dal conformismo giapponese. Nel raccontare le sue famiglie disfunzionali e i loro legami, il regista si chiede ossessivamente quale sia l'esatta valenza dei legami di sangue, se conti più la parentela genetica o l'affetto tra non consanguinei. Nel bellissimo Ritratto di famiglia con tempesta o nel toccante Our little sister a farla da padrone è una paternità assente o contrastata, che tenta di costruire faticosamente un rapporto autentico con la prole. 

BIM
I protagonisti di Un affare di famiglia
Un affare di famiglia vede per protagonista l'ennesimo gruppo familiare disfunzionale di Kore-eda

Alla vigilia di Cannes 2018, la presenza in concorso di Kore-eda sembrava più dovuta al riguardo che il Festival ha sempre nei confronti di un cineasta enorme ma poco amato in patria e poco conosciuto al di fuori dei circoli cinefili. Invece Un Affare di famiglia si è rivelato un film così potente e riuscito da mettere subito d'accordo tutta la critica, che poche ore dopo la prima mondiale lo dava come super favorito per la vittoria.

Segreti di famiglia

L'unico vero limite di Un affare di famiglia è che è molto, molto difficile spiegarne la grandezza a chi non l'ha visto senza rovinare di fatto la visione del film. Insomma, chi è abituato ai delicati drammi umani che il regista ha saputo raccontare nei suoi film più "gentili" e toccanti rimarrà forse sorpreso dalla durezza con cui Kore-eda mette di fronte la sua nuova, sgangherata famiglia alle proprie pulsioni contrastanti. 

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Il materiale di partenza sembra essere già problematico. In una casetta diroccata nella periferia di una metropoli giapponese di proprietà di una signora anziana che utilizza la sua pensione per giocare d'azzardo vivono due adulti con poca voglia di lavorare e un'inclinazione naturale verso furtarelli e una ragazzina che lavora in un peep shop. Con degli adulti così esemplari tutt'attorno non stupisce che anche il piccolo Shota sia diventato un'artista del taccheggio, nonostante la sua giovanissima età. Tutta cambia però quando la famiglia accoglie un nuovo componente: una bambina maltrattata e dimenticata dai suoi genitori, che trova il conforto umano che le manca tra i truffatori delle sgangherata compagnia che l'accoglie. 

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Una scena familiare di Un affare di famiglia
Kore-eda continua a interrogarsi sui rapporti familiari tra padri, madri e figli

Sembra in tutto e per tutto un film scritto e diretto dall'ultimo Kore-eda. C'è però sin dal principio qualcosa di dissonante dentro la casa, un sottile muro di silenzi e ambiguità che fa crescere l'incertezza dello spettatore: quali sono esattamente i rapporti tra i personaggi? Chi viene manipolato da chi? Questo stridore si fa via via più forte mentre il film avanza verso la sua grande rivelazione, che poi è quella di sempre: un rapporto umano è un miscuglio inscindibile di affetto sincero e malcelato egoismo, che non risparmia neppure i genitori e gli adulti che si prendono cura dei più piccoli. Giudicare quanto sia disinteressato l'amore di chi si prende cura di noi è impossibile, perché solo pulsioni spesso contrarie e opposte a dettarne le azioni.

Alla luce di Un affare di famiglia non ci si può che disperare della mancata distribuzione del penultimo film di Kore-eda, The Third Murder, presentato l'anno scorso a Venezia e ancora inedito in Italia. Ve ne avevo già consigliato la visione, dato che è un legal drama complesso e spiazzante, che sconfina nell'esistenziale. Dopo la visione del film successivo (che di fatto continua ad elaborare le tematiche), è chiaro come Kore-eda stia entrando in una terza fase della sua carriera, che sintetizza con un'acume incredibile le tematiche "mediatiche" dei suoi primi film (come la realtà viene trasformata dai mezzi d'informazione, perché i fatti di cronaca acuiscono la curiosità della gente) con l'intimismo della sua produzione più recente. 

Kore-eda è da Palma e forse da Oscar

In qualità di sceneggiatore e regista Kore-eda ha saputo trovare una quadra che forse gli era mancata nel precedente The Third Murder, curiosamente sbilanciato per minutaggio e narrazione. Stavolta però il regista non perde l'equilibrio formale che contraddistingue le sue pellicole, che con toni pacati sanno gridare verità atroci dell'essere umani, dell'amare e odiare gli altri. A sostenerlo c'è anche un cast mirabile, con tutti gli interpreti davvero sopra la media; dai giovanissimi bambini protagonisti alla veterana Kiki Kirin, vero e proprio nume tutelare del cinema giapponese. Sulle tante performance notevoli spicca l'incredibile prova di Sakura Ando, che affronta scene piuttosto inusuali per la cinematografia giapponese e per lo stile di Kore-eda.

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Insomma, Un affare di famiglia è molto più di un grande film: è una pellicola magistrale, un'analisi senza tempo di cosa detta davvero le azioni umane, calata nella contemporaneità più attuale. A Cannes 2018 si sono già visti film che con tutta probabilità ritroveremo nel 2019 a contendersi l'Oscar al miglior film straniero (su tutti il bellissimo dramma polacco Cold War), ma Kore-eda sembra già lanciatissimo per riportare in Giappone l'Oscar al miglior film straniero, dopo la vittoria del 2009 di Departures. 

Un affare di famiglia è già stato acquisito da BIM, che lo distribuirà in Italia nel 2018, probabilmente in tardo autunno. 

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Commento

cpop.it

90

Kore-eda torna a parlare di rapporti di sangue e non, confermandosi uno dei più grandi registi viventi. Quando però scopre davvero le sue carte, sconfina nello straordinario. Davvero imperdibile.

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