A più di quarant'anni dall'adattamento di Jacques Doillon, il classico della letteratura per ragazzi Un sacchetto di biglie torna sugli schermi grazie al regista canadese Christian Duguay.
Dall'omonimo libro autobiografico di Joseph Joffo, scritto nel 1973 (trent'anni dopo i fatti narrati) ed edito in Italia da Rizzoli nella collana BUR, #Un sacchetto di biglie è la storia vera, commovente e drammatica dell'autore, "bambino dell'Olocausto" durante l'occupazione tedesca di Parigi.
Figlio di parrucchieri ebrei, Joseph Joffo è scomparso il 6 dicembre 2018 a 87 anni. Nel suo libro, tradotto in 18 lingue e capace di vendere venti milioni di copie nel mondo, ha raccontato la fuga coraggiosa, rocambolesca ed ingegnosa che lui e suo fratello hanno intrapreso per ricongiungersi con la famiglia.
Un sacchetto di biglie è stato ripubblicato in Italia da Rizzoli, in occasione dell'uscita del film di Christian Duguay.
La casa editrice ha lanciato anche una versione a fumetti di Vincent Bailly e Kris nella collana Lizard, con la prefazione di Walter Veltroni.
La versione a fumetti di Vincent Bailly e Kris
Il film è stato fortemente voluto dai produttori Nicolas Duval Adassovsky, Laurent Zeitoun e Yann Zenou di Quad Cinéma. Un sacchetto di biglie è sceneggiato da Duguay (reduce dal successo di #Belle & Sebastien - L'avventura continua) con Jonathan Allouche, Alexandra Geismar e Benoît Guichard.
Nelle note di regia, Duguay spiega che la vicenda di Joffo "è un'epopea luminosa, raccontata dal punto di vista dei bambini, sul mondo che li circonda e sulla maniera in cui la realtà li raggiunge".
La storia è così forte, ma soprattutto così sfortunatamente universale, che è impossibile non vederci l'attualità, la sofferenza e sì, a volte i momenti di felicità delle popolazioni che si spostano oggi nel mondo.
L'obiettivo del regista è rendere onore alla figura paterna, presente in tutti i suoi film, attraverso un racconto di formazione all'interno del quale i due piccoli protagonisti "vivono avvenimenti così incredibili che quando Jo torna a Parigi, quasi due anni dopo, non è più lo stesso".
In che anno è ambientato
In che momento specifico della Seconda guerra mondiale ci troviamo? Un sacchetto di biglie è ambientato nella Francia del 1941, da poco occupata dalle truppe tedesche e costretta a piegarsi alle leggi razziali. Nel giugno del 1940 i leader francesi si sono arresi all'avanzata nazista, favorita dalla partenza delle forze britanniche dal porto di Dunkerque.
La Germania di Hitler ottiene il possesso di tre quinti del territorio francese. L'unica zona franca resta il sud-est, che segna la pagina oscura del governo collaborazionista di Vichy, uno stato fantoccio guidato dal maresciallo Philippe Pétain, eroe della Prima guerra mondiale.
Nella zona occupata, le autorità tedesche mettono subito in atto una legislazione antisemita, frutto di un accordo tra il segretario generale della polizia René Bousquet e il capo delle SS e della polizia tedesca in Francia Karl Oberg. Agli ebrei sono tolti i beni e le attività economiche, la possibilità di muoversi e spostarsi fuori da quel territorio.
Dopo l'operazione "vent printanier" (ossia "vento di primavera") che mette a segno migliaia di arresti, nell'ottobre del 1940 entra in vigore una legge che permette di internare i "rifugiati stranieri di razza ebraica" in "campi speciali", come quelli di Gurs, nei Pirenei atlantici, e di Rivesaltes nei Pirenei orientali. Grazie alla convenzione di armistizio, il Terzo Reich ottiene la competenza sulle persone imprigionate e può organizzarne il trasferimento dal centro di raccolta e deportazione di Drancy verso gli altri lager, principalmente Auschwitz-Birkenau, in vista della "soluzione finale". Il bilancio della Shoah in Francia è stato ricostruito dal Mémorial de la Shoah.
Di cosa parla il film
Un sacchetto di biglie è la storia di due giovani fratelli ebrei, Joseph (Dorian Le Clech) e Maurice (Batyste Fleurial), che vivono in un quartiere popolare nel XVIII arrondissement. Sono figli di papà Roman (Patrick Bruel), che ogni sera racconta loro una storia della buonanotte su come lui era fuggito dai pogrom perpetrati nella Russia zarista dalle truppe dell'esercito agli albori del Novecento.
Roman è "un duro che aveva vissuto nella Montmarte dell'anteguerra" e capisce subito che sotto il regime di Vichy tira una brutta aria. Nonostante le difficoltà della guerra, le giornate di Joseph e Maurice si susseguono tutte uguali, tra le curiose esplorazioni della città e le interminabili partite di biglie, che diventano presto il talismano portafortuna dei fratellini.
Le cose iniziano a cambiare quando a scuola, i due sono costretti a indossare sulla giacca la stella gialla, il segno distintivo dei bambini ebrei. Il bullo Kraber dice che è colpa loro se la Francia si trova in questa situazione. Non solo. Jo e Maurice sono esclusi e additati dagli altri compagni, ignorati e trattati con indifferenza dai professori, emarginati dagli amici che ora li guardano in modo diverso.
Una sera, Roman e la moglie Anna (Elsa Zylberstein) colgono di sorpresa Joseph e Maurice: danno loro cinquemila franchi e le indicazioni per fuggire a piedi, in autobus e in treno e raggiungere a Nizza i fratelli Albert (Ilian Bergala) e Henri (César Domboy). Roman fornisce loro il consiglio più prezioso di tutti: non rivelare mai di essere ebrei. Comincia così il lungo viaggio dei fratelli da Parigi verso il sud della Francia, spacciandosi per algerini cattolici. Per arrivare nella zona libera, i due attraversano la città di Dax, la stazione di Austerlitz, il rifugio di Mentone, la colonia "Nuovo Raccolto", Montluçon e Aix-les-Bains.
La loro è una vera e propria sfida per la sopravvivenza e per la libertà, scampata ad una più che probabile deportazione solo grazie all'incontro con un prete che ha i certificati di battesimo falsi per prenderli in custodia e fargli superare i controlli della Gestapo in vista dell'approdo al temuto Hotel Excelsior, la sede della IV sezione anti-ebraica. Il villain del film è Alois Brunner (Holger Daemgen), lo spietato funzionario delle SS che organizza il rastrellamento degli ebrei a Nizza.
Brunner è una figura realmente esistita: lo Schutzstaffel austriaco è "l'uomo migliore" di Adolf Eichmann per mettere a punto il genocidio nelle camere a gas di Auschwitz, Sobibór e Treblinka. Dopo la guerra, Brunner è riuscito a sfuggire al processo di Norimberga grazie ad un passaporto falso della Croce Rossa. Diventato Georg Fischer e rifugiatosi in Egitto nel 1953, ha vissuto per anni in Siria, protetto da tedeschi e statunitensi perché utile ai servizi segreti della Repubblica federale e alla Cia. Brunner è morto nel 2001, all'età di 89 anni, nonostante lo stesso anno fosse stato condannato all'ergastolo a Parigi.
Nella primavera del 1942, Nizza è annessa all'Italia. L'incantevole città della Costa Azzurra è l'unico lembo dell'Europa occupata dove gli ebrei non vengono perseguitati, anzi: grazie all'opposizione della popolazione, all'aiuto delle autorità italiane (in particolare del console Alberto Calisse) e all'attivismo di molti sacerdoti cattolici, sono avvertiti in tempo e hanno l'opportunità di scappare. Tuttavia, all'indomani della stipulazione dell'armistizio del governo Badoglio con gli Alleati, i soldati italiani devono ritirarsi e l'occupazione tedesca si fa durissima.
Nella realtà fu la "rete Marcel", un'organizzazione clandestina promossa dal professore siriano Moussa Abadi con la moglie Odette Rosenstock e il vescovo Paul Rémond, a salvare 527 bambini ebrei a Nizza e a far riabbracciare i figli, tenuti nascosti in vari istituti ecclesiastici, con i propri genitori. In questo contesto ostile, Joseph e Maurice lottano con astuzia e caparbietà per ritrovare la famiglia. La fuga è infinita e si conclude soltanto con la Liberazione, l'ammissione di Jo che grida al mondo di essere ebreo e l'approdo a Parigi, dove i Joffo si incontrano di nuovo. Tutti tranne il padre, morto ad Auschwitz. Negli anni del dopoguerra, Joseph ha preso in mano il salone di parrucchiere del papà e con i fratelli ha aperto una dozzina di negozi in tutta la capitale.
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Joffo ha raccontato che in questo preciso momento storico, la storia che ha vissuto e raccontato in prima persona "risuona in modo particolarmente forte".
A causa del terrorismo, anche i bambini di oggi sono costretti a fuggire. Come noi cinquanta anni fa, si ritrovano per strada, completamente isolati e lasciati a se stessi. Spero che il film ci sproni a interrogarci sul destino dei bambini e di queste famiglie distrutte.
Una missione condivisa da Duguay, che ha desiderato girare un film "in cui prevale il punto di vista del bambino e il suo sguardo fresco sul mondo che lo circonda" perché, senza mai sprofondare nel pietismo, "un bambino, di fronte ai drammi dell'umanità, deve imparare a conservare parte della sua innocenza e a difendersi".
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