Ariaferma, le location del film: dietro le sbarre di San Sebastiano

Autore: Alessandro Zoppo ,

Ariaferma, il terzo lungometraggio di finzione di Leonardo Di Costanzo, è un'opera di rara intensità. Presentato Fuori Concorso a Venezia 78 e disponibile su Sky e in streaming su Prime Video dopo il passaggio nelle sale con Vision Distribution, il film vede protagonisti per la prima volta insieme Toni Servillo e Silvio Orlando con un ricco cast di contorno (su tutti Fabrizio Ferracane, Roberto De Francesco e Salvatore Striano) ed altri interpreti che sono davvero ex detenuti.

Scritto dal regista ischitano con Bruno Oliviero e Valia Santella e fotografato da Luca Bigazzi, #Ariaferma è un denso racconto sulle relazioni umane all'interno del carcere. L'ambientazione è lo spazio soffocante di un vecchio penitenziario sperduto in una vallata, ormai prossimo alla chiusura. In questo luogo si muovono tredici detenuti in attesa di trasferimento, capitanati dal camorrista Lagioia (Orlando), e un gruppo di agenti addetti al loro controllo, coordinati dall'esperto Gargiulo (Servillo), il secondino più anziano che ha dovuto assumere la direzione.

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Il carcere, le celle confinanti e la sala circolare comune, lo spazio per l'ora d'aria e l'ala dismessa sono un vero e proprio personaggio aggiunto di Ariaferma. Ma il regista di L'intervallo e L'intrusa, con un passato di documentarista tra l'Italia e la Francia e arrivato alla fiction più che cinquantenne, dove ha girato quello che da più parti è stato indicato come uno dei migliori film del 2021? Scopriamolo insieme.

Ariaferma Ariaferma Un vecchio carcere ottocentesco, situato in una zona impervia e imprecisata del territorio italiano, è in dismissione. Per problemi burocratici i trasferimenti si bloccano e una dozzina di detenuti con ... Apri scheda

Mortana, il carcere di Ariaferma

Mortana, il luogo imprecisato del meridione dove si trova il carcere di Ariaferma, è un paesino fittizio. Esiste davvero un Mortana, ma si trova nel sud dell'Australia. Quello del film è situato in un immaginario Supramonte, l'antichissimo e immenso complesso montuoso cuore verde del Nuorese.

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Di Costanzo ha visitato diversi istituti di pena (da Poggioreale e San Vittore ad altre piccole carceri del Nord), ha ascoltato le storie di parecchi detenuti, ha parlato e si è confrontato con direttori, educatori, assistenti e psicologi come Luigi Pagano (ex direttore dell'Asinara e di Badu 'e Carros), Lucia Castellano (direttore generale del Ministero della Giustizia per l'esecuzione penale esterna ed ex dirigente delle CC di Marassi, Eboli e Bollate) e il Presidente dell'Autorità Garante dei diritti dei detenuti Mauro Palma.

Tutte le storie del film, da quella di Lagioia a quella del giovane Fantaccini (Pietro Giuliano), sono ispirate alle vicende realmente accadute a persone vere, finite dietro le sbarre. Pure il titolo è "reale": il regista ha letto la scritta "L'aria è ferma" in una delle tante celle che ha visto. Come spiegato nelle note di regia, "il carcere di Mortana nella realtà non esiste: è un luogo immaginario, costruito dopo aver visitato molte carceri".

Quasi ovunque abbiamo trovato grande disponibilità a parlare, a raccontarsi; è capitato che gli incontri coinvolgessero insieme agenti, direzione e qualche detenuto. Allora era facile che si creasse uno strano clima di convivialità, facevano quasi a gara nel raccontare storie. Si rideva anche. Poi, quando il convivio finiva, tutti rientravano nei loro ruoli e gli uomini in divisa, chiavi in mano, riaccompagnavano nelle celle gli altri, i detenuti. Di fronte a questo drastico ritorno alla realtà, noi esterni avvertivamo spaesamento. E proprio questo senso di spaesamento ha guidato la realizzazione del film: Ariaferma non è un film sulle condizioni delle carceri italiane. È forse un film sull'assurdità del carcere.

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In un primo momento il regista aveva pensato di utilizzare come set le Nuove di Torino, poi ha cambiato idea. Ariaferma è stato girato nell'ex carcere di San Sebastiano, la monumentale Casa Circondariale di Sassari dismessa nel luglio del 2013 con il trasferimento dei detenuti nella nuova struttura di Bancali. San Sebastiano ha ospitato i condannati per oltre centosessanta anni nel centro della città sarda. Le finestre delle celle danno sui palazzi di via Cavour, a pochi passi dalla parrocchia di San Giuseppe e dalla casa d'infanzia di Francesco Cossiga, al quale è stato intitolato il corso.

Oggi l'antico edificio di via Roma, accanto al Tribunale, è ormai in condizioni fatiscenti e viene spesso utilizzato come set cinematografico. Presto sarà ristrutturato e trasformato nel nuovo Polo giudiziario di Sassari, con un museo della memoria carceraria. Il produttore Carlo Cresto-Dina di Tempesta Film ha definito San Sebastiano "un luogo in cui si sentiva ancora dentro la pena, ovvero punizione e reclusione".

Nell'inferno di San Sebastiano

Costruito completamente in tufo nel 1871, il San Sebastiano è stato progettato dall'architetto astigiano Giuseppe Polani quando venne abbandonata la struttura di San Leonardo, nell'attuale piazza Tola. Il carcere prende il nome da una chiesa, sconsacrata e poi demolita, che si ergeva proprio nell'area dell'istituto e dedicata, appunto, al martire cristiano. Alla fine del Diciannovesimo secolo quella era una zona rurale lontana dal centro: con la crescita e l'urbanizzazione, in pochi anni il carcere è stato inglobato nel cuore di Sassari.

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La caratteristica principale del San Sebastiano è la sua forma panottica (circolare con una torretta in mezzo) a cinque bracci e su tre piani. Dalla rotonda centrale si diramano i raggi su cui si affacciano le celle. Questa struttura è ispirata alla concezione di carcere perfetto, il Panopticon ("colui che può vedere tutto") ideato dal filosofo inglese Jeremy Bentham. Nel Panopticon un solo guardiano, collocato nel corpo centrale, controlla i detenuti in tutte le celle senza essere visto, grazie a un gioco di luce e controluce. Il singolo detenuto non può vedere gli altri carcerati.

Il progetto del Panopticon di Bentham è stato ripreso da Michel Foucault nel suo classico Sorvegliare e punire del 1975. Il Panopticon per Foucault funziona come una sorta di "laboratorio del potere". Il suo effetto principale è "indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere".

Far sì che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se è discontinua nella sua azione; che la perfezione del potere tenda a rendere inutile la continuità del suo esercizio; che questo apparato architettonico sia una macchina per creare e sostenere un rapporto di potere indipendente da colui che lo esercita; in breve, che i detenuti siano presi in una situazione di potere di cui sono essi stessi portatori. Per questo, è nello stesso tempo troppo e troppo poco che il prigioniero sia incessantemente osservato da un sorvegliante: troppo poco, perché l'essenziale è che egli sappia di essere osservato; troppo, perché egli non ha bisogno di esserlo effettivamente. Perciò Bentham pose il principio che il potere doveva essere visibile e inverificabile.

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Oltre al San Sebastiano, diversi esemplari di Panopticon sono le carceri olandesi di Breda, Arnhem e Haarlem, il "Presidio Modelo" di Cuba (che ispirò Orwell per il Grande Fratello) e il "roundhouse" di Stateville nell'Illinois, il carcere di massima sicurezza di – tra gli altri – #The Blues Brothers, #Natural Born Killers, #Nemico pubblico - Public Enemies e #Prison Break.

Nell'ex carcere di Sassari, dal piano terra si accede ai due cortili passeggi, il più grande per i detenuti comuni e il più piccolo per i ristretti in isolamento. Il secondo piano è stato chiuso nel 2007. L'ala abbandonata è effettivamente quella che fa da passaggio breve tra la cucina e la rotonda. Le celle ad accesso dal corpo circolare centrale sono state create appositamente per il film dallo scenografo Luca Servino. È qui che si consuma la scena della cena condivisa, quando un blackout lascia il carcere senza corrente, punteggiata dalla scelta musicale di Clapping Music di Steve Reich.

Il San Sebastiano ha avuto per anni una capienza prevista di 192 posti, ma spesso, nei momenti di massimo sovraffollamento, ne sono stati occupati fino a quattrocento. Il numero dei suicidi all'anno è stato a lungo tra i più alti d'Italia e sono numerose le dolorose esperienze avvenute in passato, in particolare i "fatti" del 2000.

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Il massacro ai detenuti

Fino al 2000 San Sebastiano era celebre soprattutto per una delle più spettacolari e famose evasioni del bandito Graziano Mesina, che nel 1966 era fuggito calandosi dal muro insieme al compagno di prigionia spagnolo Miguel Atienza. Con il passare del tempo e la "congestione" di corpi nelle celle, sono aumentati a dismisura gli episodi di autolesionismo, gli scioperi della fame (come quello del film, quando i reclusi rimasti rifiutano il cibo precotto) e i suicidi.

L'episodio più drammatico e vergognoso avvenuto al San Sebastiano risale alla primavera del 2000. È il 28 marzo e i detenuti organizzano una protesta pacifica: a causa dei disagi provocati dallo sciopero dei direttori, mancano l'acqua e non arrivano i pacchi da casa, il vitto è scadente e la sporcizia è dilagante. I carcerati battono con le posate e i piatti sulle grate e danno fuoco alle lenzuola.

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Ettore Tomassi è il comandante cagliaritano giunto da poco a Sassari. Si è formato a Poggioreale e arriva dalla Casa Circondariale "Capodimonte" di Benevento. Per placare le proteste, il neocomandante organizza un gruppo di agenti scelti, i Gom (Gruppi operativi mobili della polizia penitenziaria), gli stessi che un anno dopo, per il G8 di Genova, avrebbero gestito la caserma di Bolzaneto.

È il 3 aprile e Tomassi vuole dare un "segnale di cambiamento" ai carcerati. Con la scusa di gestire un trasferimento di elementi "problematici", il comandante e i suoi uomini organizzano un violento pestaggio. Fanno uscire i detenuti, li fanno spogliare nudi, li ammanettano con le mani legate dietro la schiena, li mettono in fila, poi li picchiano, umiliano e torturano selvaggiamente, con particolare ferocia per i malati e i tossicodipendenti.

In un'interrogazione parlamentare rivolta al Ministro della Giustizia Oliviero Diliberto (sono gli anni del governo di Massimo D'Alema), il deputato Giuliano Pisapia riporta le parole che hanno riferito i familiari dei reclusi.

Tomassi "si sarebbe presentato ai detenuti con le seguenti parole: 'Io sono il vostro Dio, qui in quindici giorni diventerete come agnellini. Sappiate che il lager è un paradiso, qui inizia l'inferno'".

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Tre giorni dopo viene presentata la prima denuncia, ma il processo per il maxipestaggio si trasforma presto in una farsa di Stato: dura tre anni e nonostante sia la più grande inchiesta per maltrattamenti nella storia delle carceri italiane, si chiude con poche condanne e parecchie assoluzioni. Il Provveditore delle carceri sarde Giuseppe Della Vecchia, il comandante Tomassi e la direttrice Maria Cristina Di Marzio scelgono il rito abbreviato e sono condannati, rispettivamente, a un anno e sei mesi, un anno e quattro mesi e un anno. I dieci agenti scelgono il rito ordinario e ricevono condanne da quattro a sei mesi. Gli assolti sono sessantaquattro.

Molti colpevoli sono prosciolti per prescrizione dei reati commessi, nessuno è sospeso dai pubblici uffici. Della Vecchia è mandato a dirigere la Scuola di formazione della polizia penitenziaria, Di Marzio è dirottata al Ministero di Giustizia e Tomassi prima al carcere di Vasto e poi a quello di Campobasso. Nel 2014 la Commissione Giustizia della Camera definisce San Sebastiano il peggior carcere del Paese, mentre una sanzione della Corte europea dei diritti dell'uomo condanna l'Italia a risarcire una delle vittime, Valentino Saba, per il trattamento "inumano e degradante" al quale è stato sottoposto.

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Disperazione e miseria tornano ad abbattersi sul San Sebastiano nel 2007 con la morte del detenuto Marco Erittu, trovato impiccato nella sua cella. Non è un suicidio, come inizialmente accertato a causa dell'inquinamento delle prove. A uccidere Erittu sono stati l'agente Mario Sanna, i detenuti Nicolino Pinna e Giuseppe Vandi. I tre sono stati condannati all'ergastolo, sentenza confermata in Cassazione, sulla base delle dichiarazioni del superpentito Giuseppe Bigella, reo confesso e già in carcere per un altro omicidio. Il caso Erittu è stato al centro di un doppio episodio del programma Un giorno in pretura, non reso disponibile su RaiPlay.

A questa e a tante altre storie guarda un film profondamente umanista come Ariaferma, che senza mai giudicare analizza in profondità la funzione punitiva della detenzione e il successivo reinserimento in società. Come ha spiegato Di Costanzo, Ariaferma "veicola riflessioni sulla condizione umana – la punizione, il bene e il male – più che sul sistema penitenziario" perché "le violenze succedono, ma è quasi naturale finché il carcere rimane così: vanno immaginate altre forme di punizione e risarcimento. E non riguarda solo il Ministero della Giustizia, ma tutti". Il carcere è carcere per tutti, non solo per chi è dentro. Lo sa Lagioia e lo sa benissimo anche Gargiulo.

Quali sono le location dov'è girato Ariaferma?

Ariaferma è stato girato nell'ex carcere di San Sebastiano a Sassari. La Casa Circondariale edificata nel 1871 è chiusa dal luglio del 2013, ma per oltre 150 anni è stata attiva e funzionante nel centro della città sarda.

Il carcere di Ariaferma esiste davvero?

No, il carcere di Ariaferma non esiste nella realtà: nel film l'istituto di pena si trova nell'immaginario paese di Mortana, in un imprecisato meridione.

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