Netflix ricostruisce la storia di Pino Maniaci nella docu-serie Vendetta - Guerra nell'antimafia

Autore: Alessandro Zoppo ,

Effetto #SanPa. Dopo "luci e tenebre" di San Patrignano e del suo fondatore Vincenzo Muccioli, Netflix lancia in catalogo Vendetta - Guerra nell'antimafia, nuova docu-serie tutta italiana in 6 episodi che punta ad entrare in men che non si dica nella classifica dei titoli più visti sulla piattaforma.

Stavolta al centro dell'indagine – un altro prodotto pensato, scritto e confezionato con grosse ambizioni – c'è una vicenda che ha fatto molto discutere: quella che è stata definita la "mafia dell'antimafia", ovvero il processo (ancora in corso) che ha sconvolto l'ufficio Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Non solo.

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#Vendetta: Truth, Lies and The Mafia (questo il titolo inglese, a sottolinearne il respiro internazionale) ripercorre il terremoto giudiziario che ha fatto crollare il mondo dell'antimafia attraverso la testimonianza del giornalista Pino Maniaci, direttore dell'emittente televisiva Telejato.

Le storie di Pino Maniaci e Silvana Saguto

Dal 1999 Pino Maniaci lotta contro i clan, la politica tangentara e il malcostume della magistratura denunciando malaffare e corruzione nel palermitano. Da quando ha rilevato Telejato, piccolo network siciliano con sede a Partinico, è diventato un volto noto in tutta la Sicilia e a livello nazionale per le sue campagne contro Cosa nostra e le sue ramificazioni.

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Maniaci prende una rete ormai prossima al tracollo finanziario a causa dei debiti contratti dal precedente editore, e la trasforma in quello che viene subito definito il canale con "il telegiornale più lungo del mondo". Nei suoi servizi-fiume denuncia apertamente la criminalità organizzata e la presenza mafiosa dilagante nei territori di Partinico e Alcamo, Castellammare del Golfo e San Giuseppe Jato, Corleone, Cinisi e Montelepre.

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Pino Maniaci in una scena della docu-serie Netflix Vendetta - Guerra nell'antimafia
Pino Maniaci sul campo

Su Telejato, descritta come una "CNN amatoriale e in miniatura", passano inchieste sulle speculazioni operate sul territorio e sull'opaca gestione politica, amministrativa e ambientale locale. Collaborano al canale Letizia Maniaci, figlia di Pino, e Salvo Vitale, già conduttore con Peppino Impastato di Radio Aut.

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Maniaci non si ferma davanti a nulla: attacca apertamente Bernardo Provenzano e il super latitante Matteo Messina Denaro, ricevendo in cambio diverse minacce e numerosi attentati. Il più clamoroso avviene nel gennaio del 2008 quando Michele Vitale, il figlio all'epoca minorenne del boss Vito, cerca di strozzarlo con la sua stessa cravatta perché il giornalista ha segnalato l'abbattimento di cinque stalle abusive costruite a Partinico dalla famiglia di "Fardazza", il killer di Cosa nostra che "spara come un dio".

Silvana Saguto è una giudice in prima linea nella lotta alla Cupola e donna simbolo dell'antimafia. Presiede la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo che si occupa di gestire i beni sequestrati alla mafia. Uno scandalo scoperchia però un illecito clamoroso che la collega Claudia Rosini bolla come "uno spettacolo veramente indegno": Saguto è accusata di avere gestito in modo clientelare, in cambio di denaro e favori, le nomine degli amministratori giudiziari dei patrimoni confiscati alle cosche.

Radiata dalla magistratura con una decisione del Csm, nell'ottobre del 2020 l'ormai ex giudice è condannata in primo grado a otto anni e sei mesi per gli affari illeciti nella gestione dei beni. Saguto è a capo di quello che il giudice Andrea Catalano chiama nella sua sentenza "un sistema perverso e tentacolare". "Un patto corruttivo permanente" tra giudici, avvocati, funzionari e ufficiali che genera "danni patrimoniali ingentissimi all'erario" e getta un "discredito gravissimo all'amministrazione della giustizia".

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Nel processo d'appello la posizione della ex presidente si aggrava ulteriormente: la procura contesta il reato di associazione a delinquere perché "il programma criminoso" della Saguto e del suo giro di parenti, amici e professionisti era "destinato a trascendere e superare il solo accordo corruttivo".

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Lorenzo Caramma e Silvana Saguto in una scena della docu-serie Netflix Vendetta - Guerra nell'antimafia
Lorenzo Caramma e Silvana Saguto

Le strade di Maniaci e Saguto si incrociano nel 2013, quando il vulcanico giornalista comincia a realizzare una serie di servizi su gravi episodi di corruzione ad opera di alcuni rappresentanti della magistratura siciliana, tra cui proprio la giudice palermitana.

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Dalle inchieste di Maniaci, secondo il quale dietro l'elezione del sindaco di Borgetto Gioacchino De Luca ci sarebbe la mafia, emerge che la Saguto, con la complicità del marito Lorenzo Caramma e di alcuni collaboratori del suo "cerchio magico", avrebbe offerto gli incarichi della gestione dei beni sempre agli stessi professionisti e portato diverse aziende alla bancarotta.

L'ex presidente della sezione Misure di prevenzione replica a muso duro. Tre anni dopo, nel 2016, la Procura di Palermo accusa Maniaci di estorsione ai danni di due amministratori comunali, De Luca e Salvo Lo Biundo, gli ex sindaci di Borgetto e Partinico. Il giornalista avrebbe estorto 366 euro ai due in cambio di una "linea morbida" nei loro confronti nei servizi del suo telegiornale.

La notizia diventa nazionale quando Repubblica, "imboccata" dalla Procura, preannuncia l'operazione con un articolo firmato dal cronista Francesco Viviano. Vengono pubblicate le intercettazioni ambientali nelle quali "il baffone" userebbe il suo "metodo a tenaglia": denigrare o esaltare, a secondo dell'utilità, mafiosi e politici locali in cambio di mazzette.

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Pino Maniaci in una scena della docu-serie Netflix Vendetta - Guerra nell'antimafia
La gogna mediatrca travolge

Comincia così una battaglia senza esclusione di colpi. Maniaci sostiene che è stata la Saguto a sollecitare gli inquirenti affinché indagassero su di lui, mettendo in moto una macchina del fango nei suoi confronti. Il cronista, ormai sottoposto ad un linciaggio mediatico nonostante nel corso degli anni abbia ricevuto avvertimenti e intimidazioni di ogni tipo, pubblica una lettera aperta nella quale accusa i suoi colleghi di essere "porgitori di microfono", persone che non hanno "la piena libertà di scrivere ed esprimere i propri giudizi, dal momento che questi si uniformano a quelli di chi vi paga o vi da le informazioni".

L'odissea giudiziaria del direttore di Telejato si conclude nell'aprile del 2021: Maniaci è assolto con formula piena dall'accusa di estorsione perché "il fatto non sussiste" e condannato a un anno e cinque mesi per aver diffamato i giornalisti Michele Giuliano e Nunzio Quatrosi, il pittore Gaetano Porcasi ed Elisabetta Liparoto, la presidente del Consiglio comunale di Borgetto.

"Maniaci è stato distrutto per estorsioni inventate: che gli vengano restituiti sei anni di vita distrutta, l'onore e la reputazione professionale indegnamente cancellata", tuona l'avvocato Antonio Ingroia, che ha difeso il cronista insieme a Bartolomeo Parrino.

"La vendetta – scrive ora Maniaci sui social presentando la docu-serie Netflix – è quella che l'ex giudice Saguto e i suoi amici hanno architettato per mandarmi fuori campo, per spegnere la voce libera e fuori dagli schemi di Telejato".

La nostra colpa? Aver osato portare alla luce uno degli scandali più clamorosi dell'ultimo secolo. Ebbene, i loro piani alla fine sono andati in fumo. Certo, ci sono voluti sei anni per uscire fuori da questo incubo, ma il tempo è stato galantuomo: ad aprile un giudice mi ha assolto con formula piena dall'accusa di estorsione perché il fatto non sussiste, nel frattempo a Telejato non ci siamo mai fermati, nonostante le innumerevoli minacce di chiusura.

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Chi c'è dietro Vendetta - Guerra nell'antimafia

Se tutti e due, Maniaci e Saguto, sono imputati, allora chi è il colpevole? E chi è innocente? Sono le domande a cui tenta di dare una risposta Vendetta - Guerra nell'antimafia, promettendo di lasciare nelle mani del pubblico la scelta di decidere se condannare o assolvere i protagonisti di questa storia controversa.

Dietro la docu-serie ci sono autentici professionisti del genere: gli autori Ruggero Di Maggio e Davide Gambino con la casa di produzione indipendente palermitana Mon Amour Films (a loro si devono i doc The Second Life, Pietra pesante e Marenegato - Volevo solo fare un tuffo) e Flaminia Iacoviello, Daniela Volker e Suemay Oram.

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La produzione è di Nutopia, la società fondata da Jane Root (ex presidente di Discovery Networks US, controller di BBC2 e co-fondatrice di Wall to Wall) che ha prodotto – tra gli altri – #Il mondo secondo Jeff Goldblum, #One Strange Rock e Unmasking Jihadi John: Anatomy of a Terrorist.

Vendetta - Guerra nell'antimafia è dal 24 settembre 2021 solo su Netflix: come ripete Maniaci, "preparatevi: qui non si torna indietro nemmeno per prendere la rincorsa".

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