Woody Allen torna a raccontare storie: Cafè Society, con la meravigliosa fotografia di Vittorio Storaro, è un film con colori ipnotici e con un ritmo tutto suo, che inizialmente sembra narrare una storia di formazione, ma che si trasforma. Man a mano che le storie si evolvono, le vicende d’amore assumono un aspetto che non ha nulla a che fare con il romanticismo ma quasi col grottesco, sino ad arrivare alla riflessione finale.
La trama
Phil Stern (Steve Carell) è uno degli agenti più famosi della Hollywood degli anni 30. Durante una delle tante feste a bordo piscina tra star e manager, riceve una chiamata della sorella Rose (Jeannie Berlin); suo figlio Bobby vorrebbe trasferirsi a Los Angeles e lavorare con lui. Bobby ha una sorella, Evelyn, professoressa sposata a un intellettuale comunista, e Ben, un gangster con alcune attività in città, ed entrambi rimangono a New York.
Bobby si trasferisce a Hollywood e prova inizialmente a mettersi in contatto con Phil senza successo. Passa i propri giorni da solo in hotel fin quando non si decide (incitato dal fratello Ben) a chiamare un servizio che manda prostitute a domicilio. La donna che viene mandata alla sua porta è Candy (Anna Camp), al suo primo lavoro, terribilmente insicura e impacciata, al punto da stremare un già esausto Bobby ed essere spedita a casa senza aver effettuato alcuna prestazione.
Quando finalmente si incontra con lo zio Phil, quest’ultimo gli promette di pagarlo per qualche lavoretto saltuario e qualche commissione, e lo affida a una sua segretaria, Vonnie (Kristen Stewart) affinché lei gli mostri un po’ la città. Bobby è incantato dalla personalità unica della ragazza e le chiede un vero e proprio appuntamento; purtroppo lei è costretta a rifiutare, perché esce già con un uomo, un giornalista di nome Doug.
Il tempo passa e Bobby si inserisce sempre di più per l’ambiente: arriva a controllare le sceneggiature per Phil e partecipa con lui alle feste, incontrando tutte le personalità del settore. In cuor suo, è evidente che non ha perso le speranze con Vonnie, che però continua a parlare del misterioso “Doug”, che in realtà è un fidanzato inventato per coprire la sua relazione con Phil stesso, di cui è molto innamorata.
Quando Phil, incapace di lasciare la moglie, decide di interrompere la relazione, Vonnie si reca all’appartamento di Bobby in lacrime. I due iniziano ad uscire insieme (tenendo la cosa segreta) e si innamorano; ma Phil inizia a intristirsi sempre di più, sentendo la mancanza della sua amante nella sua vita. Un pomeriggio decide di raccontare del suo affaire (senza farne il nome) e confidarsi con Bobby, che si confida a sua volta riguardo alla relazione con l'ex di Phil. Phil è sconvolto dello scoprire la relazione tra i due. Non rivela nulla a Bobby e va a trovare Vonnie al suo altro lavoro, promettendo che dirà tutto alla moglie e proponendole di sposarlo. La ragazza si trova di fronte a una scelta, ma non ci mette molto: sceglie Phil.
Bobby, distrutto, torna a New York e si inserisce nel giro di club del fratello gangster, Ben. Il ragazzo inizia a conoscere sempre più celebrità, politici e altri gangster. In questo ambiente, la “café society”; incontra Veronica (Blake Lively), una donna divorziata dall’ex marito perché l’aveva tradita con la sua migliore amica. I due iniziano a uscire, lei rimane incinta e i due si sposano.
Nel mentre, Ben non riesce a stare fuori dai guai. La sorella Evelyn lo chiama perché un suo atroce vicino, Joe (Brendan Burke), ha sparato al suo cane e si comporta in modo terribile, facendola arrivare a temere per la propria incolumità. Ben e i suoi complici rapiscono il vicino molesto, gli sparano e lo seppelliscono vicino al cadavere di un’altra persona uccisa tempo prima.
Quando una sera Phil e Vonnie, ormai sposati, visitano il nightclub di Bobby. Lui e Vonnie trascorrono l’intero giorno dopo insieme passeggiando per New York, finendo per baciarsi al parco.
Nel mentre, gli omicidi di Ben vengono scoperti (a causa di Leonard, il curioso marito di Evelyn): viene arrestato e condannato alla sedia elettrica, non prima di convertirsi al cristianesimo con grande disapprovazione dei genitori ebrei.
In seguito alla morte del fratello, il club ormai in mano a Bobby diventa sempre più popolare; si reca a Los Angeles con l’intenzione di aprirne un altro lì. Incontra Vonnie, di nuovo; lei gli dice che lei e il neo-marito rivisiteranno New York presto, ma i due giovani decidono di non vedersi più. Al ritorno a Los Angeles, Veronica ha dei dubbi per via di un brutto sogno e chiede a Bobby se l’ha tradita. Lui nega e la bacia sulla fronte.
I sogni sono soltanto sogni.
Qualche tempo dopo, è la sera di Capodanno. Bobby festeggia al club, mentre Vonnie e Phil sono ad un altro party Hollywoodiano. Parte il countdown. Entrambi sembrano estremamente tristi.
Il finale
Il film di Allen parla di un tempo in cui la California era un posto incredibile ed esclusivo, con locali celebri come il Mocambo e il Coconut Grove, pieni di star del cinema e vita mondana, e in cui la vita notturna di New York era travolgente, con una cultura underground di jazz, politici, gangster.
Il film smaschera una grande illusione, un grande mito americano: dietro un mondo caldo come il jazz che vi risuona, patinato e apparentemente delizioso, si nasconde una frustrazione comune a tutte le vite, un senso di impotenza nei confronti degli eventi e delle relazioni. Una vacuità che terrorizza ma che è troppo tiepida e piacevole da abbandonare.
E poi, l’amore. La trappola che, in modo trasversale, investe ogni epoca e fa cadere a tutti noi.
Bobby si innamora di Vonnie nel momento sbagliato: è un ragazzo inesperto, in un mondo patinato in cui si sente estraneo, e che si è preso una sbandata (quasi adolescenziale) per una ragazza che è bella, fresca, alla mano, autentica. È lontana da quel mondo lucente, che sembra così artificioso. Come precisa il regista:
Vivere sopra le righe… come posso dirlo? Non è realistico. Quei grandi personaggi che popolavano Hollywood, erano fuori dall’ordinario sullo schermo, e recitavano le parti di grandi eroi o grandi comici. Nella vita reale non potevano essere più grandi della loro stessa vita, dovevano essere a misura. Quando li conosci e quando studi le loro vite, vedi che sono piene di delusioni, di alcolismo, di divorzi, e di cose tristi che devono affrontare tutti. Sullo schermo erano eroici, incredibili, ma non si può fare nella vita, in quella vera, non funziona così.
Rispetto all’inizio del film, in cui gli intrecci sono confusi e il tormento amoroso non risparmia nessuno, a metà film le vite dei protagonisti sembrano “risolte”. Una vita coniugale felice, il successo, la sicurezza economica, le vite interessanti e piene di aneddoti da raccontare durante l’aperitivo. Verso il finale, però, intuiamo i desideri che si celano nel cuore di Vonnie e Bobby: cose che è difficile dire a voce alta, perché si è troppo impegnati ad essere grati per l’ascesa e il successo concessi dalla vita. Esattamente come Phil all’inizio del film, le loro vite sono molto distanti dall’essere imperfette, eppure…
Eppure non basta. La tentazione è sempre quella di tendere al passato. La nostalgia, è il caso di dirlo, canaglia, divora senza pietà ogni possibilità di appassionarsi al momento presente, legandoci a filo doppio all’intransigenza dei ricordi. È la realtà la nostra condanna o la nostra incapacità di slegarci dal passato? E se ci si rende conto di avere fatto una scelta sbagliata, un errore, perché la realtà è anch’essa così pesante e impietosa da non permetterci di tornare indietro? Sembrano riflessioni ciniche, ma non lo sono. Con le parole dello stesso Allen:
Tutti pensano io sia cinico. Non credo di essere cinico, piuttosto realista. Ovunque tu vada, nel mondo, troverai sempre persone che vivono difficoltà nelle relazioni. È uno dei punti fermi nella letteratura a partire da Medea sino ad Anna Karenina, è semplicemente quello che accade alle persone: si sta male. Ecco perché abbiamo installato app per il dating sui telefoni; le persone non riescono ad incontrarsi e a far funzionare le cose. Ad un certo punto si inizia a tendere sempre di più sino a un’altra persona, e i matrimoni si dissolvono. Credo semplicemente di rappresentare il mondo reale. Inoltre, se avessi fatto un film in cui tutto andava liscio, credo vi sareste annoiati!
Nella scena finale, durante il Capodanno, una festa che dovrebbe entusiasticamente proiettare verso il futuro, Vonnie e Bobby sono circondati dall’amore dei cari, ma questo non riesce a renderli felici o sereni. Il rimpianto è ormai una melodia di sottofondo della loro bella vita: la consapevolezza che forse un tempo uno slancio coraggioso li avrebbe fatti riunire. Ma così non è.
Le relazioni, le persone “che scegliamo” per starci accanto, dovrebbero essere l’espressione massima della nostra autenticità. Ma quanto può essere veramente autentica la “felicità” in una relazione? E quanto raccontano di noi le nostre scelte? Sono davvero espressione dei nostri desideri?
Bobby e Vonnie ci presentano un’idea di amore come una forza fuori dal nostro controllo (quindi poco autentica, o la cosa più autentica che possa esistere) e allo stesso tempo sottoposta al controllo della nostra esistenza: possiamo solo scegliere secondo il nostro desiderio, ma senza avere la garanzia di vivere senza rimpianti. E pur nutrendo i propri incontri fugaci con la forza dei loro ricordi condivisi, alla fine del film sono persone estremamente diverse da quelle che si erano innamorate anni e anni prima a Los Angeles. La vita li ha cambiati, e lo ammettono entrambi quando si incontrano al club. Sono persone diverse. La persona che nei ricordi continuano ad amare non esiste più, eppure la nostalgia è così forte da portare alla realtà questo fantasma e renderlo in qualche modo tangibile, anche se non autentico.
A proposito del personaggio di Bobby, l’attore che lo impersona, Jesse Eisenberg, afferma:
Sento questa trasformazione come molto tragica, nel finale. Anche se Bobby è sposato, continua ad amare comunque Vonnie, quindi la realtà in cui vive è forzata. Il personaggio diventa disilluso, che non è sorprendente visto che non è sorprendente visto che il “personaggio pubblico” che lo ha creato e diretto è noto per avere quella visione della vita. Il film termina con i protagonisti che non sono così felici con la vita che si sono scelti, ma che hanno piuttosto deciso di rassegnarsi. E anche se le loro condizioni sono relativamente buone, sono bloccati nei propri ricordi, nella perdita di ciò che sarebbe potuto essere.
Il film di Allen è un inno alla tragicità della nostalgia (lui stesso in molti film, come Midnight in Paris, parla della nostalgia persino di epoche non vissute), che ci condanna all’infelicità e che sembriamo volerci imporre. Ci mostra impietosamente come siamo i nostri soli sabotatori, e che le fantasie sono la strada più veloce per il rimorso. Come dice Bobby a sua moglie: “I sogni sono solo sogni".
Cafè Society è un film del 2016 diretto da Woody Allen, con Jeannie Berlin, Steve Carell, Jesse Eisenberg, Blake Lively, Parker Posey, Kristen Stewart e Corey Stoll. È distribuito in Italia da Warner Bros.
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