Voleva essere un omaggio e una parodia del contest canoro più seguito al mondo. Invece il film sull'Eurovision Song Contest firmato da Netflix dimostra ancora una volta quanto questa manifestazione sia incomprensibile per il pubblico a stelle e strisce. Anzi, a ben vedere si sarebbe potuto tranquillamente evitare di scomodare l'Eurovision. Il film con Ferrell e McAdams è talmente generico nel raccontare l'evento che la prima battuta che faccia riferimento specificamente all'Eurovision ( "tutti odiano il Regno Unito, quindi...zero punti!") arriva a un'ora dai titoli di testa.
Una breve carrellata di star e vip legati all'Eurovision (e nemmeno i più rappresentativi) in un karaoke musicale di canzoni statunitensi (sic), una serie di esibizioni che tentano di ricreare lo stile sopra le righe e incurante del buon gusto e del buon senso della gara e il logo della manifestazione. A questo si riduce la descrizione di uno degli show dal vivo più seguiti del pianeta, il cui impatto culturale e musicale è ben più ampio del lancio delle carriere di Celine Dion e degli ABBA. Ovviamente sono proprio questi i nomi a venire citati nel film, perché è palesemente diretto a un pubblico statunitense che della storia pluri-decennale della manifestazione conosce solo qualche meme online.
Quindi viene da chiedersi: perché fare un film sull'Eurovision, quando un qualsiasi contest fittizio o un film su una stramba coppia di partecipanti a The Voice o a X Factor non sarebbe stato poi dissimile? La triste risposta è che, pur non comprendendo davvero la specificità e il valore dell'Eurovision, questa pellicola lo usa come specchietto delle allodole per attirare il pubblico (soprattutto europeo, soprattutto di fan della manifestazione). Sotto qualsiasi altro aspetto Eurovision Song Contest: la storia dei Fire Saga non ha niente di invitante da offrire.
Benvenuti nell'esotica Europa
Non c'è nulla di particolarmente divertente nella sceneggiatura di Eurovision Song Contest: la storia dei Fire Saga, a meno di non amare senza riserve la comicità a base di battute sulla lunghezza di membri maschili, la pronuncia inglese dei coreani e stereotipi culturali che sarebbero dovuti rimanere nel Novecento. A stupire (in negativo) è l'immagine esotica dell'Islanda e dell'Europa che il film irradia. Certo l'esagerazione è alla base di un certo tipo di commedia, certo qualche stereotipo geografico non manca mai nemmeno all'Eurovision. Tuttavia non è proprio divertente vedere gli islandesi ridotti a un gruppo di adulti mezzo sciroccati e mezzo imbronciati come adolescenti, tutti vestiti con maglioni da Duty Free e avulsi da qualsiasi conquista tecnologia o conoscenza del continente esterna alla TV dell'unico pub cittadino.
A rappresentarli ci sono ovviamente due star hollywoodiane che non sembrano islandesi e non paiono troppo convinte o coinvolte in quel che fanno. D'altronde i personaggi che interpretano sono imbarazzanti, rinchiusi un'ingenuità infantile che li rende più irritanti che divertenti. Will Ferrell è Lars, un uomo di mezz'età che si comporta da bambinone troppo cresciuto. Lars è concentrato sul sogno di vincere l'Eurovision, forte solo della sua discutibile musica e di un approccio amatoriale che nemmeno i concorrenti italiani nei loro anni più svogliati. Rachel McAdams raggiunge le più alte vette d'improbabilità interpretando Sigrit, una donna adulta perdutamente innamorata di Lars oltre ogni ragionevole dubbio o buon senso, rinchiusa in un'infantilità dissonante. Il film sarebbe molto più verosimile se i protagonisti fossero non dico islandesi, ma quantomeno ventenni o poco più, dato che è quella l'età della maggior parte dei concorrenti del contest. Una gara che fornisce ogni singolo anno una serie infinita di storie di riscatto e d'amore decisamente più appaganti e realistiche di quella narrata.
La sceneggiatura si appoggia a un'imitazione bovina dei lati più esagerati della gara, senza mai riuscire a colpire nel segno sottolineandone la vanità o le intricate questioni geopolitiche dietro il voto dei singoli paesi. Si poteva fare un omaggio più entusiasta o una critica più feroce, invece si sceglie di realizzare un film mediocre in tutto. Regia, sceneggiatura, costumi; tutto è di qualità scadente. Non manca la solita inspiegabile confezione estetica delle produzioni originali Netflix, che dalla fotografia al missaggio sonoro sembra puntare al più mediocre standard televisivo.
Qualche momento riuscito c'è: il personaggio di Dan Stevens è una gigantesca occasione sprecata per avvicinare i temi centrali dell'attualità europea ed eurovisiva, ma funziona comunque in chiave istrionica. Demi Lovato nei panni dell'iconica Katiana ha forse l'evoluzione più riuscita ed inaspettata, ma appare giusto in un pugno di scene. Le canzoni eurovisive realizzate ad hoc per il film non sono tremende.
Il mondo è già cambiato, ma Will Ferrell non lo sa
C'è un momento in particolare in cui il film dimostra tutta la sua inadeguatezza nel comprendere e quindi descrivere la sua tematica centrale. Si è appena svolta un'esibizione raramente disastrosa sul palco, portata a termine in qualche modo dagli interpreti. Nessuno nell'arena applaude per lunghi, lunghissimi minuti. Qualcuno ride. Eppure se c'è una notte in cui si può perdonare tutto - l'eccesso, il successo, il disastro e l'imbarazzo - è proprio quella dell'Eurovision, dove non è mai stato rifiutato un applauso d'incoraggiamento, nemmeno di fronte a stecche leggendarie o figuracce clamorose.
È imperdonabile la superficialità di tutto il progetto, la mancanza di cura con cui si vuole restituire un fenomeno complesso a un pubblico (non italiano) che lo segue e ama da decenni. Se voleva essere un modo per tirare fuori gli statunitensi dalla loro concezione ipernazionalista della cultura e delle arti, non è decisamente la via per riuscirci. Il film è l'equivalente del ritratto che viene fatto dei turisti statunitensi, con Lars li insulta e li approccia con i peggiori stereotipi. La sua invettiva non dà un ritratto rilevante né tantomeno veritiero dell'Europa e degli Stati Uniti. Il mondo non sta cambiando, è già cambiato.
[movie id="531454"]
Descrivere i due continenti e i relativi fenomeni culturali come assolutamente impermeabili è una forma di miopia, di pigrizia e forse anche di arroganza che affossano un film in cui nessuno sembra aver mai creduto.
Commento
Voto di Cpop
40Iscriviti al nostro canale Telegram e rimani aggiornato!