Anno 2019. In un Regno Unito più diviso e smarrito che mai, un eroe tornerà dalle nebbie della leggenda, per ispirare un popolo che ha perso la speranza e la fiducia nel futuro. Re Artù. Sembra un incipit incredibile, datato e fuori tempo massimo, ma invece questo rinverdire dell’epica arturiana nei prodotti cinematografici più pop tiene il polso di un’Inghilterra in fortissima crisi identitaria.
È questo il valore del mito: essere sempre uguale a sé stesso eppure mutare, essere senza tempo eppure sempre attuale. L’epica arturiana, gli incantesimi di Merlino e Morgana, l’etica cavalleresca e egalitaria della tavola rotonda e poi lei, Excalibur, la spada nella roccia che si consegna solo al suo legittimo possessore: quella di Artù è la leggenda fondativa del Regno, un’epica cucita e ricucita nell’identità inglese, tanto dalle canzoni medioevali quanto dalla cultura pop e cinematografica.
Non è un caso dunque che a qualche giorno dalla rilettura sovversiva ma sostanzialmente fallimentare di Hellboy, Joe Cornish consegni alle sale un film che rinnova e fa rivivere il mito del ragazzino destinato a divenire re.
Rinnovare il mito e la speranza
C’è una purezza, un’autentica etica cavalleresca in come Il ragazzo che diventerà re è scritto e realizzato. Tanto che a volte il film sembra a sua volta un mito, ripescato dalle spirali del tempo, fuori dal suo scorrere, datato eppure attuale. D'altronde non capita spesso oggigiorno di vedere un film così autenticamente rivolto ai ragazzi, così disinteressato a vendere loro qualcosa, ma concentratissimo nel regalare una storia che li rimette al centro la possibilità di salvare il Regno e il mondo. Il ragazzo che divenne re vuole proclamare forte e chiaro che la speranza è un diritto di tutti.
Il bello è che il film non s’inventa una cornice neutra per ribadire un messaggio etico vuoto e sterilizzato ma anzi, il riferimento al Regno Unito diviso e smarrito di fronte alla Brexit è palese, ancorché mai esplicitato. Il lungometraggio si apre con una veloce carrellata sulle gesta di Artù e dei suoi cavalieri che è di fatto uno splendido corto animato, per poi catapultarci in una Londra che, con un paio di suggestivi tocchi registici, appare grigia, priva di speranza, frammentata e divisa.
Qui vive Alex (Louis Ashbourne Serkis) un ragazzino senza padre, capace di esibire un coraggio esemplare ma restio a credersi l’eroe della sua stessa vita. Il ritrovamento fortuito di Excalibur catapulterà lui, l’amico Bedders e i bulletti della scuola Lance e Kaye in un’epica avventura per salvare il Regno dal ritorno di Morgana (Rebecca Ferguson), risorta più potente che mai nell’Inghilterra smarrita. Ultima della sua stirpe, la maga è convinta di poter regnare di diritti sui pleblei che abitano il Regno Unito, riducendoli in schiavitù.
Un mito democratico e proletario
La parte tecnica del film è liquidabile in un rapido giro di considerazioni: 8 anni dopo il suo esordio registro con Attack The Block Joe Cornish si conferma un regista talentuoso, accattivante, con una spiccata capacità di sfruttare la regia in maniera creativa e visiva. A mancargli stavolta un po’ è il budget, oltre a un vero talento carismatico come John Boyega che guidi il film, anche se non mi stupirei di vedere da qui a qualche anno Angus Imrie (qui un Merlino davvero british) diventare una nuova rivelazione del cinema inglese.
Il vero limite del ritorno di Cornish sta un po’ nell’incapacità di trasportare i suoi nobili intenti dentro i personaggi. Alex e gli altri si limitano per gran parte del film ad essere dei meri vettori di ciò che si vuole dire, risultando poco caratterizzati e mai davvero “vivi”.
Bisogna invece accuratamente rifuggire certe speculazioni che di cinematografico hanno poco secondo cui “i giovani d’oggi” non capiscano o meritino un film capace di replicare una magia perduta quasi quanto Albione: quella del senso di meraviglia, senza secondi fini commerciali, senza mezzi termini. Il ragazzo che diventerà re vivrà o morirà della sua ingenua, pura e sovversiva capacità di credere davvero nel futuro e nella possibilità che le giovani generazioni possano cambiarlo, senza se e senza ma.
Certo gli attori più giovani non sono sempre all’altezza, certo Patrick Stewart e Rebecca Ferguson sono un po’ sprecati, certo non è perfettamente coerente in ogni sua volta e ha dei grossi limiti produttivi, specie nelle scene di battaglia. Ci vuole però del coraggio purissimo ad approcciarsi al mito arturiano dicendo che come la storia è stato scritto dai vincitori, postulando che Excalibur non sia di Artù per diritto di sangue ma per nobiltà d’animo, cancellando il classismo insito nel mito e nell’anima stessa del Regno. È forse il tradimento più ardito, eppure Cornish fa rivivere l’essenza più autentica della storia di Artù: quella sovversiva di un ragazzino che diviene re, davanti a cui si inginocchiano adulti e cavalieri.
Nel 2019 è tempo che questa fiducia nella gioventù si rinnovi, mantenendo i simboli del mito (le armature, le cavalcature, le spade e le magie) ma democratizzandoli. Artù era un umile scudiero, oggi è un ragazzino proletario, così come la Signora del Lago vive ovunque, dai laghi del mito alle vasche da bagno. L'identità dell'Inghilterra non è appannaggio di pochi, è autentica in ogni persona, in ogni film; soprattutto in quelli che si preoccupano di problematizzarla e attualizzarla.
Si perdona volentieri qualche ingenuità a Joe Cornish, perché il suo cinema è puro negli intenti e pieno di talento. Anche se con qualche passo falso, suggerisce la strada giusta: lo spirito di Albione è ancora lì dove è sempre stato. Bisogna solo ripulirlo dall’interpretazione elitaria ed esclusiva che ne hanno dato gli autoproclamatisi vincitori.
Il ragazzo che diventerà re arriverà nelle sale italiane a partire dal 18 aprile 2019.
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