La Ragazza del Treno è un film che non ha bisogno di presentazioni, quanto piuttosto di sottolineare come gli intenti e gli obiettivi del best seller da cui è tratto si riflettano sull'adattamento cinematografico che sta per arrivare nelle sale. Il thriller di Paula Hawkins è stato il campione di vendite della scorsa annata in tutto il mondo, ma bastava leggerne poche pagine per identificarlo come un mero tentativo di capitalizzare sul successo di un'idea altrui: quella di Gillian Flynn, l'amatissima autrice di gialli al cardiopalma come L'Amore Bugiardo.
Curiosamente l'intento dell'adattamento cinematografico di La Ragazza del Treno è esattamente lo stesso: tentare di portare al cinema una pellicola che richiamasse in sala lo stesso pubblico che ha decretato il successo di Gone Girl, lungometraggio tratto dal romanzo più amato della Flynn, diretto da un David Fincher in grande spolvero. Prevedibilmente la copia carbone cinematografica ne esce annichilita dal confronto con l'originale, così come avvenuto in campo letterario. Paula Hawkins non ha il respiro e la maestria di Gillian Flynn nel scrivere romanzi e certo Tate Taylor non può sperare di uscirne bene dal paragone con uno dei registi più influenti del panorama cinematografico statunitense.
A dare più fastidio di questa intera operazione commerciale è che La Ragazza del Treno non ci prova nemmeno a fare bene, figurarsi a lanciarsi in paragoni con la sua fonte d'ispirazione primigenia. Se è vero che il romanzo da cui è tratto non gli mette a disposizione un meccanismo a orologeria e un sottotesto dallo humor nero e talvolta raggelante (come aveva fatto Gillian Flynn scrivendo la sceneggiatura a David Fincher), questo non significa che non si potesse sfruttare la fonte originaria, rimediando ai suoi difetti. La Ragazza del Treno è il classico thriller senz'anima da aeroporto o ombrellone, che in mano a un regista e a uno sceneggiatore capaci sarebbe potuto diventare un gran bel film.
Il problema è che le poche modifiche apportate alla storia da Erin Cressida Wilson non solo non aggiungono mordente alla storia o spessore ai messaggi, ma anzi risultano incomprensibili e pretestuose: era davvero necessario spostare la storia da Londra (dove il contegno di molti personaggi aveva più senso) a New York? Se i produttori di questo film avessero avuto altre mire per il progetto oltre che a staccare il più alto numero di biglietti possibili, sarebbero bastato il primo flashback dal rallenti sfocato o il primo interminabile spiegone in voice over per chiarire che no, Tate Taylor non era in grado di raccogliere la scomodissima eredità di David Fincher.
Perché quindi scomodare un cast di attrici davvero promettente, capitanato dalla solita, portentosa Emily Blunt? Semplice, per indurre nello spettatore la speranza che il film possa avere del potenziale. Non si può quindi che essere irritati ed arrabbiati da un film riuscito solo a metà, che purtroppo ci lascia più che altro immaginare cosa sarebbe potuto essere con un grado maggiore d'impegno nella produzione.
Emily Blunt era una scelta quasi obbligata per Rachel, la protagonista del film: con il suo portamento d'acciaio e la sua capacità di esprimere durezza senza perdere la propria umanità, era già comparsa nei fan cast di tanti lettori del romanzo, quando ancora il film era solo un loro desiderio. Da seria professionista qual è non cade nella facile trappola di calcare la mano interpretando una donna completamente alla deriva, alcolizzata, mentitrice seriale, vittima di continue amnesie e impaurita dalla sua stessa cattiveria.
La vera sorpresa è vedere quanto le altre interpreti siano alla sua altezza, formando un gruppo di attrici capaci e magnetiche, che riescono nella difficile impresa di impedire (quasi sempre) al film di deragliare nello scadente o nel ridicolo. Forse la migliore performance è quella di Allison Janney, capace di far trasparire la sensazione sgradevole che prova la protagonista Rachel ogni volta che incontra la detective incaricata del caso. Acuta, pungente e mai conciliatoria, la detective Riley è il perfetto contraltare di Rachel e l'unico personaggio dal piglio fincheriano, in un mondo che si dimostra violentissimo nei confronti dell'altra metà del cielo. I personaggi della ragazza scomparsa (Haley Bennett) e della nuova moglie dell'ex di Rachel (Rebecca Ferguson) dimostrano però come l'aria al cinema e in libreria sia cambiata e come le donne siano pronte a vendere cara la pelle.
Così seguiamo Rachel nella sua spirale distruttiva, innescata dall'abbandono del marito per una nuova compagna, dall'alcool, dalle foto della figlia dell'ex postate su Facebook. Disperata e devastata, Rachel ripone le sue speranza su una coppia che spia ogni giorno dal finestrino del treno, assaporando da semplice spettatrice la loro intesa e il loro amore. Quando però scopre che la donna che spia ogni giorno tradisce il suo compagno, la rabbia più cieca la coglie. In una fitta di odio si precipita nella sua ex cittadina. Segue l'ennesimo blackout e l'angosciante scomparsa della fedifraga: cosa le è successo? Rachel può davvero credere di non essere implicata nella sua sparizione? Ancora annebbiata dal dolore e dall'alcool, una sempre lucidissima Emily Blunt guida lo spettatore verso la risoluzione di un giallo che è poco più di una promessa, purtroppo disattesa.
La Ragazza del Treno arriverà nei cinema italiani il 3 novembre.
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