Cosa non si fa per i figli, verrebbe da dire vedendo la 86enne Sophia Loren mettersi addosso uno grembiule da casa, raccogliersi disordinatamente i capelli con un mollettone e interpretare una prostituta in pensione che si prende cura del figli delle colleghe. Basato sul romanzo La vita davanti a sé di Romain Gary, remake di Madame Rosa (1977) di Moshé Mizrahi, La vita davanti a sé catapulta una storia di emarginazione, vite di strada e legami familiari da Pigalle a una Bari così non descrittiva da non essere mai esplicitata.
Il film lo si liquida in poche parole, tanto è mediato, medio e qua e là mediocre. È la classica storia del ragazzino nero immigrato molto ribelle, molto solo, molto intelligente e molto vicino a fare una brutta fine che viene salvato da chi la strada e la disperazione le ha vissute e a sua volta e ne conserva i segni sul corpo. Man mano che il film esplora il rapporto tra l'anziana e burbera Madame Rosà (Sophia Loren) e il ribelle Momò (Ibrahima Gueye) si può sentire la pellicola aumentare la propria pressione sui dotti lacrimali dello spettatore, pigiando sempre di più nella speranza di commuoverlo.
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Basterebbe la drammatica storia di Momò, orfano e solo al mondo, a straziare il cuore, ma poi abbiamo la prostituta transessuale madre single in rotta col padre, il medico premuroso e lo studioso musulmano vedovo ancora affascinati da Rosà, il bambino figlio di prostituta che attende invano la madre scomparsa nel nulla...il campionario della commozione al gran completo. Buona parte della trama è mutuata da Gary, certo, ma nella sua scrittura a mancare è proprio lo scorcio da volemose bene: la durezza, l'acume, talvolta la cattiveria dello scrittore francese di origine russa vengono mutuate nel modo più convenzionale possibile.
La potenza di un'icona
Venendo dopo decine di film (italiani e stranieri) che hanno narrato le stesse prospettive, le stesse difficoltà sociali e la stessa solidarietà tra reietti ai margini della legalità, al netto della sua protagonista La vita davanti a sé è un film trasparente, incapace di lasciare un segno o un solco nella memoria dello spettatore. La sua inconsistenza però finisce per creare lo sfondo ideale per far brillare ancora di più l'elemento che fin da subito ha richiamato l'attenzione generale: la presenza di Sophia Loren. Non è la prima volta che l'attrice collabora con il figlio (era già successo in Cuori estranei nel 2002 e Voce umana nel 2013), non è così inconsueto che manchi dal grande schermo per anni. Dal 2000 ad oggi ha preso parti a solo quattro progetti, due dei quali diretti da Ponti. La ciociara nazionale non è dunque ritirata dalle scene, ma si prende qualche lavoro tra una lunga e meritata serie di anni in pensione e l'altra.
La vita davanti a sé non è un ritorno così eclatante, ma sembra tale un po' perché l'età della Loren è comunque importante e portata splendidamente, un po' perché se c'è un aspetto in cui Netflix è particolarmente versata è quello della promozione. Dalla lunga conferenza stampa di madre e figlio affrontata uno a fianco all'altra abbracciati al poster di un intenso arancione in cui lo sguardo della Loren emerge da un cromatismo quasi astratto, si è saputo sapientemente cambiare cornice al progetto. Dal film di Ponti La vita davanti a sé è diventato il ritorno della Loren.
A funzionare davvero è lei, in un ruolo che più che evidenziarne la bravura recitativa, ne sottolinea la potenza iconica. Sophia Loren non è Madame Rosa, è Sophia Loren. Ogni muoversi per la sua modesta casa, intercalare qualche parolaccia dialettale nel parlato, ogni sguardo in camera scatena un'associazione d'idee cinematografiche inarrestabili. La Loren fa sembrare Bari Napoli, ti fa sentire l'odore del caffè che le abbiamo visto preparare in tante scene di capolavori del cinema italiano. Dietro lo stipite della porta più che Momò uno si aspetta di veder sbucare Mastroianni.
Non cambiare nulla per vincere tutto
A voler essere profondamente onesti e persino un po' crudeli si potrebbe dire che Sophia Loren qui non s'inventa nulla, esattamente come suo figlio alla regia. Non c'è nulla di nuovo di Madame Rosa, presentata e recitata esattamente con la stessa intensità italiana, rionale e drammatica dei ruoli che l'hanno resa celebre in tutto il mondo. Tanto basta però per innescare una magia. A chi conosce quei ruoli quest'interpretazione con più rughe ad alta definizione tocca il cuore con la potenza che solo la nostalgia e alcune conferme di certi stereotipi culturali riescono a fare.
Al netto di motorini e cellulari, l'Italia qui descritta è così generica chenon si discosta così tanto dagli italiani poveri ma belli che hanno creato e cementificato un certo modo di guardare all'Italia, specie da Oltreoceano. Funziona esattamente allo stesso modo di La Grande Bellezza: è un rinforzo positivo di un'idea pre-esistente. Là dove Sorrentino si appoggiava a Fellini, Loren si appoggia a sé stessa.
Non sorprende dunque che la critica estera (e statunitense in particolare) impazzisca per questa performance e di rimando la stampa italiana (allo scadere dell'embargo moderatamente entusiasta) calchi la mano e rilanci l'idea di una nomination agli Oscar. D'altronde si può ben dire che Sophia Loren sia La vita davanti a sé, un film che senza di lei non avrebbe sollevato un granello d'attenzione e che invece ora sta generando un ciclone mediatico. Nella sua medietà è il film perfetto per quest'impresa: abbastanza semplice e rassicurante nei suoi messaggi per raggiungere il grande pubblico che vuole le emozioni temperate, caricato a molla dall'effetto nostalgia, così tiepido nel suo messaggio politico da non suscitare la benché minima controversia.
Se c'è una cosa che l'Academy adora sono le storie lacrimevoli che vedono contrapposti anziani e bambini. Un altro elemento pesante nella corsa alla nomination è il fattore "grande ritorno", specie per qualcuno dallo status leggendario come Sophia Loren. Ripresentarsi con un'interpretazione molto chiacchierata a 58 anni dalla prima vittoria agli Oscar è il genere di storia che Hollywood adora raccontarsi. Sophia Loren è l'antico e il moderno, l'attrice iconica di un'altra epoca cinematografica ma pur sempre una straniera che non recita in inglese in un'epoca in cui una cinquina degli Oscar viene dissezionata, celebrata o condannata in base al suo grado di biodiversità. Per Sophia tutti i grandi vecchi italoamericani, la truppa italiana contemporanea (ricordate, a questo giro vota anche Favino!) e la componente più anziana dell'Academy non faticherà a fare il tifo. Che il film parli d'integrazione e accettazione nella maniera più politicamente corretta e blanda possibile è la ciliegina sulla torta in un anno in cui agli strascichi del #MeToo si aggiungerà l'impatto del #BlacksLiveMatter.
Quindi sì, la Sophia nazionale ha tutte le carte in regola per giocarsi una nomination in un'edizione degli Academy Awards che si preannuncia bizzarra e sorprendente. Mi azzarderei già da ora ad escluderne la vittoria finale, ma arrivare a strappare una nomination con la sola potenza della sua leggenda e con un film e un ruolo tanto inconsequenziali sarebbe già una vittoria enorme. E il cinema conta così poco? Stiamo parlando di Oscar, quindi la risposta già la sapete.
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Voto di Cpop
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