Senza difese, senza pietismo: l'imperdibile performance di Renato Pozzetto in Lei mi parla ancora

Nel nuovo film di Pupi Avati Renato Pozzetto affronta il suo primo ruolo drammatico, dando una delle performance più memorabili della sua carriera e ipotecando un David di Donatello. La recensione di Lei mi parla ancora.

Autore: Elisa Giudici ,

Se non ha già il David di Donatello come miglior attore protagonista in tasca, quantomeno ci ha già messo sopra una bella ipoteca, tale è sentita e vibrante la performance di Renato Pozzetto nel nuovo film di Pupi Avati intitolato Lei mi parla ancora. Non sarò io a negare che un ruolo come quello di Nino, un anziano che diventa vedovo all'improvviso e non riesce a lasciare andare il ricordo della donna della sua vita, tocca tutta una serie di soft spot che vanno a nozze con una certa parte della critica e della stampa italiana.

Ispirato alle tarde memorie dello scrittore e pensatore Giuseppe Sgarbi (padre dell'editrice Elisabetta e del critico d'arte Vittorio), il nuovo film di Pupi Avati non può che incontrare il favore di chi - per questioni anagrafiche o ideologiche - guarda con rimpianto e nostalgia al bel tempo antico delle famiglie cascinali e dell'Italia "semplice". Una realtà familiare e patriarcale in cui una coppia poteva amarsi davvero e senza scossoni, onorando il vincolo matrimoniale per più di 60 anni.

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Nella sua più recente carriera Pupi Avati alterna pellicole più vicine al vecchio amore per il cinema di genere (Il signor Diavolo, 2019) a film come Lei mi parla ancora, con cui apertamente si dimostra "antistorico", così come lo hanno definito alcuni critici. È lui stesso a spiegare che il presente non lo attrae. Pupi Avati lo frequenta così poco che gli scorci attuali del film incentrati su cellulari, genitori separati e stress lavorativo se li è fatti scrivere dal figlio. Lei mi parla ancora però fa click nel modo giusto, evitando l'operazione nostalgia e raccontando tempi - se non più semplici - meno corrosivi delle energie umane. Un'epoca che, anche grazie al filtro semplificatore del ricordo, permette a chi supera una grande crisi di potersi aspettare una dolce quotidianità, con piccole gioie e senza troppi scossoni.

Alla morte dell'amata Rina (Stefania Sandrelli nel presente e una Isabella Ragonese condannata al ruolo della moglie morte che appare al marito affranto nel passato), Nino è inconsolabile. Anzi, è proprio incapace di lasciar andare la moglie: per lui ogni ricordo dimenticato è un attimo di vita insieme perduto per sempre. La figlia ed editor Elisabetta (una Chiara Caselli di cui si parla poco ma che si dimostra molto competente) decide di assumere un ghost writer per scrivere le memorie del padre.

Proust, Pozzetto e un vecchio che straparla

L'intento è quello di dare uno scopo alle giornate del genitore, di dare sfogo alla sua voglia di ricordare la moglie. La scelta cade su Amicangelo (Fabrizio Gifuni), stereotipico romanziere mancato che a cinquant'anni d'età tenta ancora di farsi pubblicare il Romanzo della Vita (titolo: Di cosa parliamo quando parliamo di Carver, si preannuncia già una catastrofe). Quel genere di personaggio che solo nei romanzi di Missiroli si può prendere davvero sul serio. Per fortuna Avati non dimostra particolare interesse nel trasformare il racconto della vita di Nino in uno strumento pedagogico ai danni di Amicangelo e dello spettatore. Non è l'equivalente di certi avventori di baretti con le verità della vita in tasca, pronte a balzar fuori per essere propinate a chi non consuma abbastanza in fretta il suo caffè.

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Renato Pozzetto a tavola
L'interpretazione di Pozzetto fa fare il salto di qualità al film

L'attenzione del cineasta è sulla figura di Nino, un uomo dal grande passato - espressione di cultura, benessere sentimentale e materiale - che vive un decadimento fisico inarrestabile. Per citare il film, Avati non "fa diventare Proust un vecchio che straparla", bensì guida Pozzetto in un racconto privo di pietismo, paternalismo e patetismo di una fase crepuscolare della vita in cui il passato è più tangibile del presente. In Nino c'è l'acume di chi ha parecchi anni alle spalle mescolato all'ingenuità a cui spesso condanna la vecchiaia, quando non riusciamo o non possiamo valutare bene un presente sfuggente. Pozzetto dà una performance estremamente naturale, che impressiona per la fragilità e la forza che trasmette. Non ha paura di mostrare quel lato intimo, quasi sacro, talvolta straziante di un uomo vicino alla morte. Come attore affronta quei piccoli, dolorosi momenti che privano di dignità e indipendenza una persona con il piglio di un grande vecchio e di un uomo che si riscopre debole come un bambino.

Non manca qualche scivolone, in una pur apprezzabile ricostruzione storica della campagna e della vita a Ro. Il film contestualizza bene un passato di "vita comoda" per i protagonisti, mentre finisce per idealizzare un po' troppo l'aspetto fiabesco di questo borgo in cui la gente è semplice e buona, così come confà alla servitù. L'unica nota davvero stonata è la neve aggiunta in post produzione a una scena: diciamo che non siamo ai livelli di David Fincher per accuratezza. La voce narrante fuori campo alle volte è discontinua, introdotta un po' troppo bruscamente.

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Renato Pozzetto sorride in una scena del film
Il primo ruolo drammatico di Renato Pozzetto potrebbe valergli un David di Donatello

Facezie, minuzie, per un film che sicuramente è destinato a piacere al pubblico avatiano, ma che sorprenderà anche i più giovani e scettici. La sola performance di Pozzetto però vale la visione di Lei mi parla ancora.

Commento

Voto di Cpop

75
Avati azzecca quasi tutto e guida bene un anziano Renato Pozzetto davvero memorabile ed emozionante: Lei mi parla ancora è il primo film italiano promosso a pieni voti del 2021.

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