Padrenostro intrappola Favino nel ruolo del padre martire: la recensione da Venezia 77

Si può trasformare una storia commovente in un soliloquio che parla soprattutto alla propria infanzia, dimenticandosi del pubblico in sala? Sì, a giudicare da Padrenostro di Claudio Noce, in concorso a Venezia 77: la recensione.

Autore: Elisa Giudici ,

Si può molto perdonare a un regista che si presenta come figlio che dedica al padre tutta una pellicola; quella in cui racconta la propria infanzia al suo fianco e il drammatico evento che l’ha segnata. Claudio Noce è infatti il figlio di Alfonso Noce, funzionario statale che negli anni ’70 ricoprì il ruolo di responsabile della Sezione Antiterrorismo del Lazio. Il 14 dicembre del 1976 l’uomo, già sotto scorta, subì un drammatico attentato da parte dei NAP (Nuclei Armati Proletari). Al di sotto della propria abitazione nel quartiere romano di Monteverde venne accerchiato e centrato in pieno alla schiena da numerosi colpi di mitra. La sua scorta reagì, freddando uno degli attentatori.

Padrenostro è una ricostruzione tra lo storico, lirico e l’intimo di quel momento spartiacque nella vita del regista. Il film è narrato dal punto di vista del figlio più grande di Alfonso e Gina, che assiste per caso alla sparatoria e alla morte dell’attentatore agonizzante. Si può perdonare quindi un certo sentimentalismo nei primi piani e nelle prospettive aeree con cui Noce racconta lo shock subito dal ragazzino, che nasconde all’amato padre di aver visto il suo ferimento.

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D’altronde nella prima parte il film scorre senza particolari lungaggini, raccontando le drammatiche settimane successive all’attentato, con i bambini chiusi in casa e la madre che non dà loro notizie del padre.

Da commovente ad autoreferenziale

Gli anni di piombo, la lotta politica e il clima degli anni ’70 ci sono ma rimangono ai margini del film, occupato interamente dall’ammirazione di un ragazzino per il padre e dal tentativo di quest’ultimo di non cedere alla paura, tenendo la famiglia al sicuro. Isolato nella ricca scuola privata che frequenta, Valerio (Mattia Garaci) trascorre le sue giornate con un amico immaginario, almeno fino a quando se ne palesa uno reale.

Christian (un Francesco Gheghi molto brillante) è un ragazzo di borgata, mani sporche e piedi scalzi, girovago e spiantato. Appena più grande di Valerio, prende il ragazzino sotto la sua ala, cacciandolo nei guai e facendogli da fratello maggiore, apparendo e scomparendo, a fasi alterne. Christian va e viene con una malizia tale che lo spettatore comincia a dubitare che sia un’allucinazione, ben prima che la famiglia Noce faccia armi e bagagli e si sposti in Calabria, terra d’origine di Alfonso.

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La Calabria diventa il luogo del riposo e del ristoro, con tanto di vedute che faranno la gioia del locale ufficio turistico. In uno scenario visivo e narrativo che ricorda Io non ho paura di Gabriele Salvadores (2003) i ragazzini vedono complicarsi la propria amicizia dalla presenza di Alfonso, che finisce per diventare anche per Christian una figura paterna di riferimento. Dopo la trasferta meridionale però il film si fa lunghissimo e sfilacciato, giocato com’è sulla facile ambiguità dell’allucinazione. Sembra quasi un espediente per distrarre il pubblico dalla deduzione invero abbastanza semplice su quale sia la motivazione che muove Christian.

Ciò che mi è risultato insopportabile di PadreNostro è proprio come tenga il piede in due scarpe: allucinazione e svolta narrativa a sorpresa, senza scegliere con fermezza una delle due risoluzioni. Prodotto da Universal e Amazon, il film vede il coinvolgimento come attore e produttore di Pier Francesco Favino, che da un po’ non sbagliava così un ruolo. Il suo apporto rimane trascurabile, perché Alfonso è già messo sull’altare da un regista che racconta e idealizza sé stesso e il padre.

VD
La scena finale del film vede i giovani protagonisti correre per strade di Roma
Il film riesce a infilare due chiusure parimenti eccessive e posticce

Nel farlo però mette da parte la Storia stessa (quella di quegli anni difficilissimi) e si concentra su un discorso che da commovente e partecipato si fa egoriferito, con Favino nei panni di un padre archetipo e santificato. Noce riesce nella non semplice missione di centrare non una, bensì due scene finali del tutto sopra le righe, didascaliche e ruffiane. Nonostante le buone intenzioni, questo è l’ennesimo esempio di un film italiano che da una storia importante tira fuori un lungometraggio che si perde per strada. Padrenostro parla soprattutto a sé e non di sé in dialogo col pubblico.

Commento

Voto di Cpop

45
Dalla commozione di un figlio che racconta il suo rapporto col padre si passa rapidamente alla noia. Noce non sa trovare altra storia che la celebrazione del suo genitore, con uno svolgimento confuso.

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