Quando The Adam Project è finalmente uscito da un "development hell" durato quasi dieci anni passando da Paramount a Netflix, Ryan Reynolds ha subito accettato la proposta di prendere il posto del dimissionario Tom Cruise. Dietro il film di Shawn Levy, la seconda collaborazione consecutiva tra l'attore e il regista dopo Free Guy - Eroe per gioco, c'è infatti una storia troppo ghiotta e personale per non essere raccontata e l'occasione di venire a patti con il suo passato.
The Adam Project si basa su un'idea di T.S. Nowlin, uno "spec script" diventato un autentico copione con l'aiuto di Jonathan Tropper, Jennifer Flackett e Mark Levin. Un feel-good movie sul difficile percorso pratico ed emotivo della paternità "camuffato" da dramedy sci-fi. Al centro del racconto, che rimbalza avanti e indietro nel tempo tra il 2018, il 2022 e il 2050, c'è un pilota disposto ad incontrare il se stesso bambino (Walker Scobell), segnato come la madre (Jennifer Garner) dalla morte del padre scienziato (Mark Ruffalo), per salvare la moglie (Zoe Saldaña) e il mondo intero dai piani diabolici di una "filantropa" (Catherine Keener).
La storia vera di Ryan Reynolds dietro The Adam Project
Perché The Adam Project, in streaming sulla piattaforma dall'11 marzo, è una faccenda così personale e "concreta" per Ryan Reynolds? L'attore canadese ammette senza troppi giri di parole che "questa storia parla di me". Louis, il papà di Adam nel film, muore quando lui è ancora piccolo. Ryan ha perso il padre nel 2015, a 74 anni, ma dopo un lungo periodo di tremenda sofferenza.
James Chester Reynolds è un agente della GRC, i "Mounties": la polizia a cavallo canadese. Dopo aver lasciato la carriera da poliziotto, diventa un grossista alimentare. È un lavoro più sicuro per far crescere senza troppi problemi i quattro figli. D'altronde Jim è una persona di poche parole: sgobba per portare il pane a tavola, si impegna parecchio, ma quando torna a casa non passa tantissimo tempo con i suoi ragazzi. È un uomo d'altri tempi. La sua vita tranquilla è sconvolta all'improvviso nel 1995, quando Ryan ha 19 anni: un medico diagnostica a Jim il morbo di Parkinson.
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I primi sintomi sono i soliti della malattia: non muove bene un braccio, fa fatica a scrivere e ad esprimersi, a volte ha un tremore in tutto il corpo. Tutto il suo mondo è risucchiato in un buco nero. L'aspetto "strano", come l'ha definito l'attore in un'intervista a Today, è che il padre non parla mai esplicitamente del Parkinson con i figli. "Appartiene a una generazione piuttosto orgogliosa – spiega Reynolds – e non ne parla quasi mai: l'avrà detto apertamente sì e no un paio di volte".
La malattia del padre finisce per unire il resto della famiglia: i fratelli Reynolds si stringono intorno alla madre. Ryan conosce Michael J. Fox (a proposito di "ritorni al futuro") e nel 2008 entra a far parte della Michael J. Fox Foundation for Parkinson's Research. Partecipa addirittura alla maratona di New York (senza essere un runner) per sostenere e promuovere la ricerca. In un editoriale apparso sul blog dell'Huffington Post, Reynolds scrive che conosce bene la sofferenza di chi ha il Parkinson.
Ho visto mio padre – una persona forte e orgogliosa che ha cresciuto con successo quattro figli probabilmente pazzi – spogliato lentamente, crudelmente della sua indipendenza. I suoi anni d'oro rubati senza una spiegazione. Fa schifo. Vedere soffrire mio padre tutto questo tempo ha alimentato il mio bisogno di farmi avanti.
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Affrontare ogni giorno il se stesso del passato, ciò che si era ieri: è quello che succede ad Adam in The Adam Project e che accade alle persone colpite dal Parkinson. "Combattono una battaglia nel proprio corpo – scrive ancora l'attore – e la loro lotta, a differenza di una qualsiasi maratona, non finisce in una pozza di vomito appena usciti dal Tavern on the Green in attesa di un'ambulanza. Loro continuano giorno dopo giorno, combattendo in silenzio nella più personale delle loro battaglie".
Quando Reynolds e la moglie Blake Lively hanno avuto il loro primo figlio nel 2014, l'hanno chiamato James, proprio come il nonno. Una toccante immagine di Ryan e Jim insieme è ancora sui social. I papà del terzo millennio sono quelli desiderosi di essere sempre presenti, disponibili e coinvolti nella vita dei loro figli lungo tutto il percorso della crescita. The Adam Project ha un significato speciale anche per Levy: il regista ha vissuto rapporti contrastanti con i propri genitori e nell'arco della sua carriera ha sempre voluto cercare di darsi una seconda possibilità di legame, di risolvere i pesi del passato che si porta nel cuore.
L'infanzia "difficile" di Shawn Levy
Oggi papà di quattro figlie, il regista canadese ha rivelato di essere cresciuto in una famiglia disfunzionale. In un'intervista concessa a Entertainment Weekly ai tempi dell'uscita di This Is Where I Leave You, Levy parla apertamente di periodi duri passati dai suoi cari per via delle "lotte che mia madre stava attraversando". A salvarlo è stato il legame profondo con i cinque fratelli. Loro sono stati sempre presenti "nei momenti più bui della mia infanzia e adolescenza" e l'hanno convinto a riconciliarsi con i genitori.
Tutti commettono errori: l'importante è riconoscerlo e sfruttare il tempo che abbiamo a disposizione per ripararli. Per Levy "è difficile trascorrere del tempo con i tuoi fratelli e i tuoi genitori perché sei imprigionato nella convinzione che loro hanno di te, che è diversa dall'identità che ti sei costruito da adulto. Ma queste connessioni hanno un forte potere di redenzione".
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Il rapporto tra padre e figlio è il cuore di The Adam Project. "I traumi e le sfide della mia infanzia – ricorda Levy in un'intervista a Nerdist – mi hanno insegnato presto quanto sia importante fare pace con quelle lotte. E fare pace con quella rabbia e quei risentimenti che si accumulano negli anni". Shawn e Ryan sono stati un po' come il piccolo Adam: spaesati, solitari e in lotta con un'infanzia non proprio ideale, prima di crescere e riuscire finalmente a perdonare i propri genitori per le loro imperfezioni. Portare le loro esperienze e i loro sentimenti in questo film non è stato soltanto catartico. È stato un modo per tornare indietro e dire finalmente quello che non avevano mai detto.
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