Quando oltre tre anni fa Death Stranding fu presentato ufficialmente, nessuno avrebbe mai pensato di ritrovarsi di fronte il gioco che lo scorso 8 novembre è uscito in tutto il mondo. Quanto visto in quel primo enigmatico trailer era qualcosa di criptico e intrigante, che indubbiamente lasciava presagire qualcosa di diverso nel panorama videoludico attuale, ma ancora una volta Hideo Kojima è riuscito a superare ogni aspettativa, proponendci un titolo in cui il nostro scopo principale sarà essere un corriere in un mondo post apocalittico.
Spiegato con queste brevi e semplici parole Death Stranding può essere travisato, anche se quest’affermazione non è certo falsa, ma sarebbe oltraggiosamente riduttivo limitare il nuovo titolo di Kojima a questo soltanto, perché dietro agli innumerevoli viaggi che ci porteranno a consegnare tonnellate di carico nelle oltre 40-50 (o facilmente anche di più) ore che serviranno a terminare l’avventura, vivremo in un mondo dalla profondità difficilmente reperibile in altri titoli, basato sulla volontà di trasmettere al giocatore più di un messaggio, a costo di infischiarsene del suo divertimento, sovvertendo così le regole base del game design.
Tutta la produzione è sostenuta da una colonna portante: il tema delle connessioni fra esseri umani; e sto parlando di un aspetto centrale non soltanto nella trama e nel gameplay, ma anche nello sviluppo stesso del gioco. Nel 2015 Hideo Kojima, conosciuto dai tanti fan per essere il padre della saga di Metal Gear Solid, una delle più significative nel mondo videoludico, abbandona Konami tra diversi rumor legati a questa rottura. Il director non si perde d’animo, nonostante il momento difficile, e riparte da capo fondando la Kojima Productions.
Death Stranding, la prima opera videoludica nata dalla sua nuova casa di sviluppo, è frutto proprio delle connessioni che Kojima ha saputo creare nel corso degli anni. Sony ha dato carta bianca al game designer fidandosi del progetto. Guerrilla ha fornito il motore grafico Decima Engine, lo stesso di Horizon Zero Dawn. Norman Reedus, Guillermo del Toro, Mads Mikkelsen e molti altri attori hanno accettato di partecipare come personaggi di questo nuovo videogioco. Infine, non vanno dimenticati i tanti addetti ai lavori che sono saltati a bordo e hanno sviluppato per tre lunghi anni un titolo di cui, probabilmente, si parlerà per anni.
Death Stranding non è un gioco di cui sia facile parlare, soprattutto in una recensione. Ognuno di noi, nell’analisi di una qualsiasi opera, non può certo trascendere la sua opinione soggettiva, l’oggettività assoluta, di fatto, non esiste. La cosa importante è comunque mantenere un’analisi obiettiva prendendo in considerazione anche diversi punti di vista. Death Stranding è però un gioco che vuole parlare alla parte più intima di noi, e per questo motivo ogni persona reagirà in maniera differente agli stimoli offerti dal titolo. Perciò, in questo caso specifico, la soggettività è ancora più marcata.
Quello che farò è quindi parlarvi della mia esperienza, cercando di chiarire il più possibile cosa sia di fatto Death Stranding e nello specifico cosa ha rappresentato per me nel mio lungo viaggio insieme a Sam Porter Bridges; chissà che anche queste righe non possano creare delle connessioni con chi leggerà.
La vita di un corriere: il gameplay del gioco
Iniziamo stavolta a parlare del punto più controverso di Death Stranding: il gameplay. Il nostro protagonista, Sam, è un corriere e come tale il suo scopo è portare i diversi carichi che gli saranno affidati da un punto a un altro della mappa di gioco. Il titolo è strutturato come un open world, anche se non è effettivamente tale, dato che non ci sarà un unico mondo aperto, ma la mappa di gioco sarà divisa in tre macro aree.
Molte critiche mosse alla nuova creatura di Kojima fanno riferimento al fatto che questo sia un walking simulator (come ad esempio What Remains of Edith Finch o Firewatch), nuova branca di titoli dove il giocatore vive principalmente una storia interattiva, con elementi legati al gameplay molto minimali. Death Stranding non è niente di tutto ciò, perché, anche se camminerete molto a lungo, dovrete stare attenti a tanti aspetti che andranno a migliorare la qualità del vostro viaggio. L’attenzione al dettaglio è davvero maniacale: prima di intraprendere una nuova spedizione dovrete sistemarvi i pacchi sulla schiena nel modo più comodo possibile, tenendo conto che non ci si limiterà a portare con sé solo la merce da consegnare.
Dovrete passare da una zona ripida e rocciosa? Converrà allora portarsi una o due scale per evitare di allungare troppo la strada. Sul vostro percorso ci sarà un pendio? Sarà necessario portarsi una corda per facilitare la discesa. Se invece dovrete passare da un fiume, dovrete portare tutto l’occorrente per costruire un ponte, senza contare anche granate e armi per affrontare i due principali pericoli presenti nel mondo di gioco, ossia CA e Muli (ci arriveremo presto). Devo dire che i menu di gioco sono spesso troppo confusionari, mentre una resa dell’interfaccia più semplice avrebbe snellito di molto queste fasi, anche se dopo diverse ore ci farete l’abitudine.
La fase di preparazione, soprattutto le prime volte, vi prenderà diversi minuti così da sistemare il carico nel miglior modo possibile, così che il peso non sbilanci troppo il corpo da un solo lato, stando poi attenti al percorso da seguire, per trovare quello più veloce oppure quello più lungo ma meno pericoloso.
Una volta partiti ci ritroveremo di fronte a un sistema di gioco che rivede completamente il concetto di camminata, dato per scontato in molti altri giochi dove basta muovere la levetta analogica per spostare il personaggio. Non che qui sia diverso, ma ogni passo avrà un peso differente a seconda del carico trasportato e bisognerà stare attenti a non inciampare sui terreni più ripidi o cosparsi di rocce, pericolo che ovviamente aumenterà trasportando un peso eccessivo. Potremo mantenere l’equilibrio con i grilletti dorsali, stando sempre attenti che le nostre scarpe non si usurino tanto da diventare inutilizzabili.
Fortunatamente, con il proseguire dell’epopea di Sam sbloccheremo tanti oggetti utili che ci daranno dei cospicui vantaggi nelle consegne. Potremo infatti equipaggiare diversi tipi di esoscheletri, che ci permetteranno di portare un maggior peso o di muoverci più velocemente, e potremo poi sbloccare due tipi di mezzi: le moto e i furgoni, così da velocizzare di molto i viaggi, anche se non sempre converrà utilizzare un mezzo di trasporto, soprattutto su terreni montani o rocciosi. Altro strumento fondamentale sarà l’Odradek, una sorta di radar multifunzione che vi permetterà di analizzare i terreni e capire dove è meglio mettere i piedi.
Non mancheranno poi le fasi più action o stealth, a seconda del vostro approccio. Come detto prima, spesso si dovrà per forza passare da aree controllate dai Muli o dalle CA. I Muli, nella lore del gioco, sono dei corrieri impazziti sempre alla ricerca di un carico da possedere, diventati dipendenti dal senso di compiacimento che si riceve nell’aver fatto una buona consegna. Proveranno sempre a rubare il vostro carico e a volte saremo costretti a recuperare delle consegne dai loro campi. Difficilmente sarà possibile effettuare un approccio totalmente stealth, dato che i posti dove nascondersi sono molto rari e i nemici umani hanno una buona vista.
Inoltre, essi avranno dei radar che vi individueranno se gli passerete troppo vicino. Questo rischio può essere evitato utilizzando l’Odradek al momento giusto, così da annullare l’onda radar avversaria: più facile a dirsi che a farsi. Una volta scoperti dovrete dunque o darvi alla fuga o combattere. Potrete colpire i Muli con attacchi corpo a corpo, oppure utilizzare un vasto arsenale di armi, per la maggior parte non letali. Uccidere i nemici in Death Stranding è vivamente sconsigliato: vi porterà enormi svantaggi anche a livello di gameplay, perché un cadavere in poco tempo diventerà una CA, l’altro maggior pericolo del gioco.
Le CA, ossia Creature Arenate, sono degli esseri provenienti dalla dimensione dei morti e arenatesi nel nostro mondo. Incontrerete molto spesso delle zone dove cade la Cronopioggia, una speciale precipitazione che “ruba” il tempo a tutto ciò che tocca, deteriorando i vostri pacchi e i vostri mezzi. Già di per sé questa pioggia è un grosso problema durante le consegne, ma spesso la stessa è accompagnata dalla presenza delle CA, teoricamente invisibili ai nostri occhi. Grazie al nostro BB, ossia il Bridge Baby – dei feti che hanno ancora un legame con il mondo dei morti e per questo sono in grado di percepire la presenza delle CA – ci sarà possibile individuarle tramite il fido Odradek, che in questo caso darà dei segnali quando saremo molto vicini a una di queste creature.
Le CA non ci possono vedere, ma possono sentire i nostri passi e il nostro respiro, per questo sarà bene in loro presenza camminare lentamente trattenendo il respiro il più a lungo possibile. Nel malcapitato caso in cui ci dovessero individuare, dovremo fuggire da una sorta di catrame che uscirà dal terreno e che, una volta colpito, produrrà diverse sagome umane che proveranno a trascinarci in un’area dove ci troveremo di fronte una creatura mostruosa di grandi dimensioni. In tal caso, dovremo combattere o cercare di uscire dall’area per fuggire. Per affrontare le CA sarà necessario usare armi a base del sangue di Sam, efficace contro le creature dell’Aldilà per motivi di trama. Potremo quindi creare granate o fucili con speciali munizioni ottenute con il sangue del nostro protagonista.
Le fasi action sono in realtà il punto più classico della produzione di Kojima, con un buon sistema di shooting, simile a Metal Gear, ma senza nulla di innovativo. I combattimenti alla fine non sono il fulcro del titolo, che rimane sempre focalizzato sulle consegne. Ci saranno comunque delle Boss Fight spettacolari da vedere (soprattutto una, che sembrerà presa da Metal Gear Solid), ma anche queste avranno meccaniche molto semplici dove difficilmente si rischia di vedere il game over.
Game over difficile da vedere, dato che Sam è un riemerso, ossia è dotato di una capacità rara che gli permette di far tornare l’anima al suo corpo una volta morto. Saranno dunque poche le situazioni in cui dovrete ricominciare dall’ultimo salvataggio, come ad esempio la distruzione di alcuni carichi importanti e unici.
Sam avrà poi bisogno di riposo, dato che la sua barra del vigore diminuirà pian piano durante i lunghi viaggi che è tenuto a fare, facendo diminuire così anche la sua capacità di trasportare pesi. Per recuperare le forze potremo riposare in una delle tante stanze private presenti nei diversi centri logistici (oppure potremo costruircela da soli). Qui si vedrà il folle genio di Kojima. In questa stanza saremo solo noi giocatore e Sam, che in pratica sfonderà la quarta parete e diventerà Norman Reedus.
Potremo fargli fare una doccia o i suoi bisogni (cosa che avrà anche una sua utilità a livello di gameplay creando nuove granate utili contro la CA), fargli bere Monster o birra per recuperare il vigore, leggere mail e documenti relativi alla storia, controllare l’equipaggiamento, o semplicemente vedere le reazioni buffe di Sam quando proveremo a inquadrarlo da varie angolazioni. Ci saranno anche delle reazioni speciali che avverranno in determinate occasioni. Questa sezione serve soprattutto a prendere una dovuta pausa dalla fatica, anche mentale, che il giocatore accumula insieme a Sam a ogni consegna, un momento di leggerezza che smorza i toni dell’avventura.
Kojima ha creato un mondo di gioco unico nel genere open world, evitando di infarcirlo di troppi contenuti, spesso superflui, e preferendo focalizzarsi su quello che in gergo viene definita fetch quest, ossia l’andare da un punto A ad un punto B, raffinando nei dettagli questo sistema, che avrà un suo senso anche a livello di trama. Il giocatore si troverà spesso, durante le sue lunghe camminate, a riflettere proprio su quanto è chiamato a fare, facendo acquisire valore anche alle azioni più semplici.
Certo, Death Stranding non è un gioco per tutti, i ritmi sono lenti e la ripetitività di fondo è sempre dietro l’angolo, ma se si riuscirà a superare questo primo impatto, saprà regalarvi molte soddisfazioni. Personalmente ho impiegato 70 ore a finirlo, dedicandomi anche a diverse missioni secondarie, e in questo lasso di tempo non ho provato quasi mai stanchezza per il gameplay, anche perché questo è sorretto da un altro fattore importante: la storia.
Timefall: la storia di Death Stranding
Tutti i trailer dedicati a Death Stranding nel corso del tempo hanno creato innumerevoli domande e curiosità tra il pubblico. In realtà, una volta impugnato il pad, la trama è molto meno confusionaria di quanto ci abbia fatto credere Kojima in tutti questi anni.
In un passato non troppo lontano una catastrofe ha annientato il mondo come lo si conosceva: il Death Stranding ha sovvertito l’ordine naturale del creato facendo confluire il mondo dei morti in quello dei vivi. Le CA e la Cronopioggia sono le conseguenze più devastanti di questo cambiamento, che ha costretto l’umanità a vivere isolata in conglomerati urbani o in rifugi solitari in mezzo al nulla. Il problema principale è che se una persona viva viene presa da una CA, il contatto tra la sua materia e l’antimateria di cui sono composte queste creature genera un’esplosione dalla potenza superiore anche a quella di una bomba atomica, lasciando nella zona una voragine enorme. Queste esplosioni sono state la causa del declino dell’umanità.
Sam Porter Bridges (Norman Reedus) è un corriere che dopo uno spiacevole evento della sua vita ha deciso di tagliare i ponti con tutti, anche con la sua madre adottiva, Bridget Strand, l’ultima presidentessa di quello che rimane degli Stati Uniti D’America. Sam torna a far visita alla madre solo in punto di morte e questa lo prega di riunire gli Stati Uniti sotto il nuovo acronimo di UCA, Città Unite d’America.
Per fare ciò il corriere dovrà riconnettere punto per punto la rete chirale messa a punto da Amelie, la figlia della presidentessa, molto cara a Sam, attualmente tenuta prigioniera sulla sponda occidentale degli Stati Uniti da un gruppo di terroristi chiamati Homo Demens. Per salvarla, Sam inizierà il suo viaggio con lo scopo di riconnettere le persone alla rete chirale, una sorta di internet potenziato che permette di condividere tutte le informazioni possibili e di mandare a tutti i punti connessi ologrammi e oggetti fatti con una stampante 3D.
Dal punto di vista della storia Death Stranding è davvero incredibile: riesce a sorprendere sia per la qualità della narrativa che per l’originalità delle vicende. Ho amato la fusione tra tematiche scientifiche e metafisiche con aspetti più spirituali, quali l’esistenza di un Aldilà, dell’anima e delle Spiagge, una dimensione interiore che ciascuna persona possiede e che risulta connessa con il mondo dell’Aldilà e con tutte le altre Spiagge.
Gli eventi sono poi narrati in maniera ineccepibile. Il viaggio di Sam è in parte il tipico Viaggio dell’Eroe raccontato da Vogler, base di tantissime storie sin dagli albori della narrativa. In questo caso Sam non è un protagonista limitato a sé stesso, ma rappresenta l’umanità intera con tutte le problematiche attuali, legate alle sempre più grandi distanze che ci separano dal prossimo. Queste distanze nel gioco sono rappresentate da ostacoli fisici, come muri, montagne ripide e burroni invalicabili, un nemico che non si può più combattere con i bastoni, come succede negli altri giochi, ma per cui serve una corda, così da avvicinare il prossimo e ottenere il tesoro di fine avventura, ossia il ristabilire una connessione con le altre persone che si sta lentamente perdendo.
La metafora del bastone e della corda, tratto da un testo dello scrittore giapponese Kobo Abe, è la base su cui si fonda la produzione di Kojima. Secondo Abe, i primi strumenti dell’umanità furono il bastone, per tenere lontani i pericoli, e la corda, usata per tenere vicine le cose importanti.
Soltanto alla fine del viaggio, una volta compresi gli errori commessi e assumendosi le proprie responsabilità, si potrà tornare a una realtà nuova dove la vittoria sarà di tutta l’umanità, ora pronta ad accettare gli altri e a non isolarsi.
Death Stranding è un’analisi cruda e genuina dei tempi attuali, un appello al cambiamento delle nostre abitudini prima che sia troppo tardi, perché non può essere considerata davvero vita un’esistenza vissuta in isolamento, senza sapere neanche cosa sia il calore ricevuto da un semplice abbraccio.
Sono molte anche le critiche verso la società odierna, spesso suggeriteci anche in modo divertente, ma mai banale: si veda ad esempio l’importanza dei “mi piace”, una sorta di valuta del mondo post apocalittico con cui premiare i corrieri. Ogni fine consegna riceveremo infatti una valutazione del nostro lavoro basata su quanti “mi piace” avremo ottenuto. Non a caso, i “mi piace” sono uno degli elementi chiave della dipendenza dei Muli di cui parlavamo prima, che evidenzia il nostro stesso bisogno continuo di riceverne solo per sentirci approvati. Ma non solo, non saranno nemmeno troppo velate le critiche a certe politiche attuali che promuovono l’isolamento dei popoli e le posizioni ambientaliste e contro la guerra presenti già in altre opere di Kojima.
Tutto questo non avrebbe la stessa potenza emotiva senza un incredibile cast in grado di rendere significativa ogni scena della storia. Norman Reedus, Mads Mikkelsen, Léa Seidoux, Troy Baker e i molti altri attori presenti danno il loro meglio nelle interpretazioni, riuscendo a farci venire i brividi in diversi momenti del gioco, quando le loro controparti virtuali danno vita a scene che superano qualsiasi cosa fatta a livello recitativo nel mondo dei videogiochi.
Fragile, Deadman, Heartman, Mama sono tutti personaggi scritti benissimo, ognuno con una sua profondità caratteriale che è tale da renderli memorabili. Quello che ho amato di più è stato Clifford, interpretato da un magistrale Mads Mikkelsen, che, soltanto con la sua espressività, riprodotta perfettamente in formato virtuale, riesce a togliere il fiato per la sua performance.
Kojima ancora una volta dimostra di essere un tessitore di grandi storie, che non lascia mai nulla al caso. Spesso lascia la regia in mano al giocatore, altre volte incornicia il momento con la colonna sonora perfetta (in gran parte affidata alla band islandese dei Low Roar), scelta personalmente in modo maniacale, altre volte introduce dei siparietti comici, come alcuni rimandi a Metal Gear Solid o la presenza di alcune guest star d’eccezione, come Geoff Keighley o Conan O’Brien.
Arrivare in fondo alla storia di Death Stranding vi ripagherà di tutta la fatica del viaggio, offrendovi alcune scene epiche sia visivamente che emozionalmente, che non potranno non lasciarvi qualcosa dentro, da metabolizzare magari, ma per cui, ne sono sicuro, vi accorgerete che ne sarà valsa la pena.
Il futuro è nelle tue mani, anche in multiplayer
Manca ancora un aspetto molto importante di cui parlare: il cosiddetto Strand System. Non possiamo ancora sapere quanto Death Stranding impatterà sul mercato videoludico in futuro, probabilmente non ci troveremo con un’invasione di simulatori di fattorini, mentre è molto più probabile che qualcuno proverà a riprendere il sistema di multiplayer asincrono visto nell’opera di Kojima.
L’idea delle connessioni fra esseri umani trova la sua manifestazione più originale in un gameplay che ci permette di aiutarsi l’uno con l’altro. Ogni nuova zona, la prima volta che ci troveremo ad esplorarla allo scopo di riconnetterla alla rete chirale, sarà vuota e senza possibilità di interazione con nessuno. Ce la dovremo cavare da soli, accompagnati soltanto da un percepibile senso di solitudine che permea tutta questa fase. Una volta riconnessa l’area, tutto cambierà, infatti potremo finalmente vedere i messaggi e le costruzioni degli altri giocatori.
Il sistema è una sorta di evoluzione di quello visto nei Dark Souls, ma qui votato interamente alla cooperativa. Non incontreremo mai gli altri giocatori, ma potremo vedere i loro cartelli, lasciati per darci un’indicazione o semplicemente per farci coraggio, e soprattutto le strutture costruite da loro. Quante volte mi è capitato di essere in crisi per non avere con me una scala e di trovarne una nel punto dove più mi serviva, oppure di trovare un generatore per ricaricare le batterie della moto proprio quando erano in esaurimento. A volte potrete trovare anche carichi dispersi da altri giocatori potendo decidere di aiutare il malcapitato recapitando il pacco a destinazione al suo posto.
Questo aiuto reciproco vi invoglierà pian piano a fare la vostra parte contribuendo a costruire strutture o vere e proprie autostrade che modificheranno la navigazione della mappa di gioco solo per essere d’aiuto. Avremo anche la possibilità di condividere i nostri oggetti tramite un armadietto comune o di lasciare il nostro mezzo a un giocatore che potrebbe averne bisogno. Ogni struttura nel mondo di gioco sarà di tutti e ogni giocatore potrà interagire con lei per migliorarla.
Con orgoglio ricordo di aver contribuito alla creazione di una grande autostrada e di un sistema di teleferiche sparso nell’area montana, così da facilitare i viaggi di tutti. Potremo poi accedere alla sezione del sistema chiamata Bridge Link, che ci indicherà i giocatori con cui abbiamo interagito di più e molte altre statistiche, come anche i “mi piace” dati e ricevuti. Potremo inoltre legarci a determinate persone così da vedere con una probabilità più alta le loro strutture nel nostro mondo di gioco. Unica pecca è forse la mancanza di una maggior consapevolezza nel sapere chi stiamo aiutando o da chi stiamo ricevendo aiuto. Spesso, infatti, anche legandosi con un particolare giocatore non vedremo poi molto di quanto fatto da lui.
Non c’è comunque il pericolo di vedere troppe strutture nel nostro mondo di gioco, infatti ci sarà un limite alle costruzioni realizzabili e, inoltre, la Cronopioggia tende a distruggerle pian piano, il che rende necessaria una costante manutenzione per evitare che vadano perse.
Lo Strand System è un’innovazione del gameplay ben riuscita, in grado davvero di farci sentire connessi agli altri giocatori. Speriamo di poterlo vedere su nuovi lidi anche in futuro.
Perché giocare a Death Stranding?
Sony/Kojima Productions
Death Stranding non è un gioco per tutti. Come si è visto dai commenti dopo il lancio, è un titolo che ha diviso critica e pubblico, soprattutto per via del suo gameplay e dei suoi ritmi lenti. Kojima non ha fatto nulla per rendere il suo nuovo gioco più appetibile alla massa e ritengo sia giusto così. Nel mondo dei videogiochi è raro trovare dei prodotti autoriali come invece succede al cinema, e questo titolo è quanto più si avvicina al concetto.
Dunque, come un film d’autore, Death Stranding vuole principalmente veicolare un messaggio molto importante per il suo creatore, che al fine di comunicarlo ha scelto dei mezzi che non potranno piacere a tutti. Alla lunga è innegabile che le continue consegne diventino ripetitive, soprattutto una volta conclusa la storia, ma l’esperienza compiuta nel lungo viaggio di Sam non è fatta soltanto per divertire, ma vuole anche spingere il giocatore a riflettere sui suoi legami con la realtà che lo circonda, e per farlo sono necessari dei momenti e delle fasi di gioco meno divertenti in termini ludici, ma più significative simbolicamente.
La fatica condivisa con Sam nelle tantissime consegne da compiere e il lungo percorso da affrontare intermezzato da brevi riposi sono fasi necessarie per comprendere le emozioni che i diversi personaggi incontrati vogliono trasmetterci, così che anche noi giocatore possiamo sentirci vicini a loro. Death Stranding è innanzitutto un titolo riflessivo.
Il mondo di gioco, seppur desolato, è, a livello visivo, uno dei migliori incontrati in un videogioco, grazie ai suggestivi paesaggi carichi di bellezza e di una solitudine da interiorizzare a ogni passo, fino a quando non ci ritroveremo a condividere con gli altri giocatori strutture e messaggi, e allora lì sapremo di non essere più soli.
Per questi motivi secondo me vale la pena di dare una chance a Death Stranding, anche se il gameplay proprio non vi va giù: è un’esperienza che ogni giocatore dovrebbe provare, prima di giudicare, una regola che in questo caso vale ancor più del solito.
Il verdetto
Kojima ha dato la precedenza al messaggio che tutto il gioco vuole veicolare, adattando il gameplay a quest’aspetto senza pensare ad accontentare il grande pubblico.
Death Stranding Steelbook Edition - Limited - PC
Il gameplay, inutile negarlo, non potrà piacere a tutti e non vuole farlo, ma chi riuscirà ad apprezzare i lunghi e ardui viaggi per consegnare un carico importante, verrà premiato da un’esperienza unica, resa possibile da una storia narrata magistralmente, anche grazie all’interpretazione dei grandi attori che vi hanno partecipato, e da un sistema multiplayer dove le connessioni con gli altri giocatori assumeranno un nuovo significato.
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