Una constatazione banale su una filmografia e un regista che talvolta sono stati prevedibili sì, ma mai scontati: il cinema di Pedro Almodovar è stato sin dagli albori carnale, fatto di corpi, sensazioni tattili, sensualità. Da qualche anno e film a questa parte però l'attenzione si è spostata sul corpo in quanto tale, luogo in cui risiede il nostro io, limite e confine del nostro essere. Le membra da positivo ricettacolo di piacere si sono fatte luogo d'insidia, prigione identitaria, origine del disturbante.
Vedendo Dolor Y Gloria diventa palese l'origine di questo cambiamento: il dolore fisico incessante che perseguita Almodovar ormai da anni. Il regista è preda di acciacchi d'età ma anche di una moltitudine di patologie croniche, talvolta rare, che vengono esposte senza pudore nel suo film più personale e intimo. Almodovar ci mostra insomma la pelle che abita - per usare un suo titolo - perché la confessione spirituale di un cineasta così fisico e carnale da dove altro poteva partire, se non dal corpo?
Dopo tre anni di silenzio il regista spagnolo ha radunato attorno a sé tutti i collaboratori più cari; dalla sua musa Pelenelope Cruz al compositore Alberto Iglesias, passando per l'amico Antonio Banderas. È un riflesso comprensibile: quando ti metti a nudo così profondamente, tenti di farlo in territorio amico, tra persone che hanno dimostrato in passato di conoscerti e accettarti per quello che sei. Così si spiega anche il ritorno al Festival che lo ha lanciato e protetto: Cannes, di cui è sembrato che quest'anno potesse essere finalmente il trionfatore, dopo tante Palme d'oro sfumate. Non è stato ancora così (probabilmente non lo sarà più, dato che in questo film sembra aver dato tutto sé stesso), ma lo spagnolo ne esce come il vincitore morale. Banderas invece ne esce trasfigurato, risorto: da attore finito a interprete con in mano una serie possibilità di calcare il tappeto rosso degli Oscar.
La mitologia del corpo
C'è un passaggio bellissimo in Dolor Y Gloria in cui l'alter ego filmico di Almodovar elenca tutti i dolori che lo affliggono. È un elenco lungo, intricato, complesso, una sorta di mappa sensoriale che viene definita mitologia del corpo. Il riferimento è a quella greca classica. Il corpo come un Dio capriccioso per farsi notare manda dolori, perché può essere conosciuto nella sua natura più intima solo attraverso il sacrificio.
Dolor y Gloria è il film più bello di Almodovar? In un certo senso sì, ma con riserva. Non è il film da cui partire per conoscere questo strepitoso cineasta, perché è il classico genere di pellicola che si può girare solo con una filmografia e una vita vissuta alle spalle. Non sarebbe troppo scorretto affermare che l'apprezzamento e la comprensione che ne deriva è direttamente proporzionale alla conoscenza pregressa dell'opera di Almodovar. Ovunque infatti riecheggiano scene già viste, già dirette, ma radicalmente spostate nel territorio dell'autofiction, finalmente inserite in un fluire cronologico e geografico che tracciano il profilo di Almodovar.
La finzione è lievissima: Antonio Banderas interpreta un regista anziano e preda dei dolori cronici di nome Salvador Mallo, bloccato in una fase di stallo creativo dal suo decadimento fisico. Preda di un dolore lancinante alla schiena e alla testa, stimolato da chi gli sta accanto a tentare almeno di presenziare a qualche evento, Mallo si ritrova a tu per tu con l'attore che interpretò il suo film di svolta, con cui non parlava da anni. Da questo incontro ne ricaverà una parziale rappacificazione ma soprattutto l'incontro fatale con l'eroina, unica alternativa al dolore.
La droga gli stimola un viaggio all'indietro, nei ricordi dell'infanzia di bambino prodigio ma poverissimo, legato alla madre pragmatica e affascinato dal cinema e dalla lettura. Nel mezzo c'è tutta l'ascesa alla gloria, che però è presente solo nel titolo: Dolor Y Gloria allude al periodo d'oro dell'artista ma non ce lo mostra mai, creando una rete di rimandi tra infanzia e anzianità, illustrando come sia cambiato il rapporto con Dio, la madre, la creatività, la propria omosessualità e la droga dagli albori a quest'ultima fase crepuscolare.
Ha molto senso che la parte centrale non ci sia, perché in un certo senso la conosciamo già: la gloria di Almodovar è cosa pubblica, è l'esperienza condivisa attraverso cui lo conosciamo. Questo film è invece una mappatura privata, un rilevare le cicatrici sul corpo e le ferite dell'anima dell'uomo. Il gioco tra fiction e realtà è in realtà piuttosto articolato, perché per esempio all'interno del film un attore porta in scena un testo in cui l'alter ego di Almodovar racconta dell'amore della sua vita. Servono tutte queste stratificazioni per evitare che il corpo sessuale prenda il sopravvento su quello dolorante della vecchiaia, in un film ineditamente casto, quasi celebrale, in cui la prima e unica rivelazione di un corpo nudo e giovanile provoca uno svenimento, un turbamento indicibile ma castissimo. La morte invece è una presenza palpabile, invisibile ma capace di toccare tutto in una casa museo in cui il regista si consuma in una solitudine lacerante.
Confessione e trasfigurazione
Lo sguardo di Almodovar su sé stesso è tutt'altro che benevolo: si concede poche attenuanti, suggerisce molte scaltrezze, soprattutto confessa tantissimo di sé. Senza bisogno di farlo esplicitamente (in un film che ha tutti i presupposti per esserlo al massimo grado), Almodovar illustra i suoi tradimenti e le sue manipolazioni ai danni dei suoi cari, per il suo egoismo cinematografico e umano. La visione di questo film è un'esperienza così personale che non si può metterla a parole, è come se Tommaso tentasse di spiegare cosa a provato immergendo il suo dito dentro la piaga sul costato di Gesù.
La constatazione più semplice e banale di tutte è sottolineare quanto sia strepitoso Antonio Banderas come doppio, alter ego, falso realista di Almodovar; il regista a cui deve tutto, l'amico con cui ha condiviso 40 anni di cinema e vita. Si sente tutta l'emozione e l'intensità di abitare la pelle di una persona per lui così importante. Se Almodovar ne é uscito perdente vittorioso, Banderas è addirittura trasfigurato. Una carriera avviata al meglio ma forse mai davvero "arrivata", una celebrità che pareva finita incappa nell'interpretazione che vale una vita e forse persino l'attenzione dell'Academy in autunno. Vada come vada è stato un potente monito di quanto un attore tanto irriso nel recente passato possa tornare a essere sottile e potente.
Dolor Y Gloria è nei cinema italiani dal 17 maggio 2019.
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