Doppio amore, la recensione: il thriller erotico di François Ozon non stuzzica la fantasia

Autore: Elisa Giudici ,

Basta l'apertura folgorante di Doppio amore, quella rapida soggettiva di una vagina che si fonde con l'occhio cristallino e malinconico della protagonista Marine Vatch, per capire molto, forse tutto quello che c'è da sapere sul nuovo film di François Ozon. Nella filmografia del regista francese si respirano immagini erotiche e ambiguità, con film dall'intensità carnale che forse solo il connazionale Alain Guiraudie può uguagliare. Entrambi dichiaratamente omosessuali, i due sono tra i beniamini di casa del Festival di Cannes e alfieri dell'anima sensuale e carnale propria del cinema d'Oltralpe. 

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Paul e Chloé
Paul e Chloé sono i protagonisti teoricamente arditi di un thriller che si crede ben più estremo di quel che è

Non stupisce quindi che dopo il rigore formale e la sensualità appena suggerita e trattenuta del bellissimo Frantz, un regista che da sempre dichiara di voler girare un porno si sia concesso un film ben più esplicito e ardito. Nell'adattare per il grande schermo la tortuosa relazione di una donna con il compagno e il di lui gemello ideata da Joyce Carol Oates, Ozon sembra voler inserirsi in un genere - il thriller ad alto tasso di erotismo - che parte dagli omicidi a luci rosse di Brian De Palma e approda a un cult contemporaneo come Elle di Paul Verhoeven. Sfortunatamente per noi e per lui, è un ambito che mal si adatta al suo stile e che rivela impietosamente la concezione ormai sorpassata dell'erotismo che propone. 

Doppio amore: Ozon come Ozpetek

Attraverso le sedute dallo psicanalista di cui finirà per diventare convinvente, di Chloé (Marine Vatch) sappiamo tutto quel che c'è da sapere sin dal principio. Affetta da dolori psicosomatici al ventre, trattenuta da un rapporto quantomeno problematico con la madre, Chloé se ne va in giro nel suo corpo da modella alternando un bisogno di protezione a fantasie erotiche più brutali, che non confessa neppure a sé stessa. A scoprirle non sarà il mite e rassicurante Paul con cui vive una relazione finalmente stabile, bensì il suo misterioso gemello Louis. Nel passato dei due ci sono attriti e segreti tali che il primo tace l'esistenza del secondo, che mette in atto un gioco di dominio e seduzione estremo con Chloé, condito dall'ossessione piena di disprezzo per il doppio perduto. 

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Marine Vatch è Chloé
Marine Vatch torna a lavorare per Ozon e i risultati tornano ad essere discutibili

Tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 questo genere di thriller psicologico ad alto tasso eroico ha vissuto un momento d'oro, grazie a registi come i già citati De Palma e Verhoeven stesso. Divisi tra la volontà di scioccare il pubblico in sala e la voglia di sperimentare a livello formale, quei film sono figli di un'epoca in cui il ritratto del corpo e del desiderio femminile era decisamente più basilare di quanto richieda la scena cinematografica e sociale contemporanea. 

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Tra sfumature e riflessi doppi e triplici negli specchi, Ozon un po' gioca con il registro formale dei bei tempi arditi andati, un po' sembra voler sperimentare dopo il rigore del bianco e nero di Frantz. Purtroppo il suo stile elegante e ricercato è davvero agli antipodi rispetto a quello vicino alla produzione di bassa fascia che richiede questo genere di pellicola per far funzionare l'operazione. In mano a un regista più anonimo (o a un Verhoeven che di queste scene paradossali ed eccessive ha fatto il fondamento del suo cinema) i tanti passaggi che ricadono costantemente nel ridicolo di Doppio Amore avrebbero potuto generale quella tensione e quella perversione che Ozon tenta disperatamente di ottenere, finendo persino per annoiare un po'. 

Non gioca a suo favore il fatto che una storia che vorrebbe complicata e misteriosa raggiunga il suo climax sì, ma di banalità, ricordando troppo da vicino non solo tutta una serie di pellicole d'annata che partivano dai medesimi presupposti per approdare a conclusioni sovrapponibili, ma anche il recente Napoli Velata di Ferzan Ozpetek.

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Il regista italiano si rifà alla medesima visione ormai antiquata della sessualità femminile vista attraverso la lente del cinema e guarda caso i due finiscono per parlare delle stesse tematiche (i gemelli, il doppio misterioso) con le stesse abusate iconografie (Giovanna Mezzogiorno e Marine Vatch che a inizio film salgono la medesima scala a chiocciola e si riflettono negli stessi specchi esagonali). Forse la versione italiana ne esce persino meglio, pur mancando a Ozpetek ormai da anni lo spunto creativo e la maestria del collega francese. 

Certo non aiuta l'assoluta incapacità recitativa di Marine Vatch, tanto bella quanto inespressiva e incapace di trasmettere la paura, l'erotismo e il malessere del suo personaggio. Per uno scopritore di talenti attoriali come Ozon l'ossessione verso questa attrice è quasi inspiegabile. Non a caso era la protagonista di Giovane e bella, il peggiore dei film del passato recente del regista francese, che senza di lei e la visione eteronormativa che si porta sempre dietro raggiunge livelli ben più apprezzabili.

Di fronte a tanta pochezza recitativa, un altro dei pupilli di Ozon - il belga Jérémie Renier - si ruba tutta la scena senza nemmeno dover strafare. I suoi due gemelli ci restituiscono forse il ritratto più autentico del cinema a cui si rifà Ozon: quello in cui la donna, anche se protagonista, è estensione estetica e sensuale di un uomo in cui risiede tutta la complessità e lo spunto intrigante della storia. 

Doppio amore sarà nelle sale a partire dal 19 aprile 2018.

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Commento

cpop.it

40

François Ozon vuole divertirsi giocando con la sessualità e la psicologia, prendendo in prestito toni e stili da De Palma a Verhoeven, che non gli si addicono. Più dell'ambiguità, regna il ridicolo.

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