La bellezza del mondo del fumetto è che ogni lettore può trovare una storia che sappia emozionarlo. Abituati come siamo a vedere quasi una corrispondenza tra fumetti e supereroi, spesso tendiamo a dimenticare la lezione di grandi maestri della nona arte, che con la loro visione artistica hanno trasformato il fumetto in uno strumento analitico, raccontando la realtà. Da Will Eisner a Nate Powell, una lunga serie di nomi celebri ha mostrato come le tavole a fumetti possano ritrarre la realtà mettendo a nudo i difetti della società e rendendoli palesi, impossibili da ignorare. Uno spirito che si sposa meravigliosamente con il concetto di graphic journalism, il voler rendere realtà e narrativa un tutt’uno, la stessa molla che ha spinto Kate Beaton a realizzare Ducks.
Edito da Bao Publishing, Ducks merita a pieno titolo di figurare all’interno del graphic journalism. Non un reportage, come il meraviglioso Giorni di sabbia di Aimee De Jongh, ma una condivisione intima e personale, che unisce un percorso liberatorio a una volontà di denuncia che non deve rimanere inalscotata. Una premessa che non deve lasciare dubbi: Ducks colpisce duro. La storia di Kate Beaton non è una lettura leggera, ma non era questa la volontà dell’autrice, che punta invece a mettere in mostra la verità di una fetta di mondo, che sembra quasi asincrona in una società che cerca disperatamente di mostrarsi moderna e progressista.
Ducks, un racconto biografico imperdibile
Nel 2005, la giovane Kate Beaton ha terminato i suoi studi e ha subito una spada di Damocle che incombe su di lei: pagare il suo debito studentesco. Oltreoceano questa pendenza è uno dei vincoli più stringenti per i giovani laureati, consci di come l’estinzione di questo debito sia il primo passo per essere liberi e poter iniziare la propria vita lavorativa, consapevolezza che, nel caso di Kate, è ancora più gravosa, sapendo di esser parte di una comunità tutt’altro che florida e ricca di possibilità.
Nonostante la famiglia cerchi di spingere la ragazza ad abbandonare le sue velleità artistiche per accettare lavori più tradizionali e disponibili anche nelle comunità del Capo Bretone, Kate decide di seguire l’esempio di altre persone del posto che hanno scelto di cercare fortuna nell’Alberta del Nord, dove lo sfruttamento delle sabbie bituminose è una delle industrie più redditizie. E quindi, una meta per coloro che stanno cercando fortuna, speranzosi di potersi creare rapidamente una piccola fortuna.
Scelta fatta anche da Kate, che abbandona la sua casa, vedendo nelle possibilità offerte dalle sabbie bituminose l’occasione di liberarsi del gravoso peso del suo debito studentesco. Una speranza, spietata e acida ma sufficiente per spingerla verso questa avventura, che pur essendo geograficamente confinata ha un sapore amaro condivisibile a ogni latitudine.
L’esperienza di Kate Beaton, in prima battuta, è incredibilmente universale. Non è un caso che l’incipit sia un ritratto della sua vita sino al momento della decisione di partire, e non lo è nemmeno la scelta del titolo del primo capitolo, Famiglia, in cui la sua scelta viene scrutinata dai familiari.
In questi due passaggi si respira un attimo di comunione tra autrice e lettore, quella sensazione condivisa che per quanto si ami la propria terra, le possibilità di crescita siano altrove, con la dolorosa accettazione di dover lasciare luoghi familiari, sicuri per affrontare un mondo ricco di promesse ma avaro di certezze. Un pensiero che trova forma in una frase di malinconica potenza:
È tempo di un'altra sedia vuota intorno alla tavola. È tempo di partire
Non paga di avere offerto questo spaccato di vita familiare, con Ducks la Beaton esplora, nelle 400 pagine del volume, altri temi particolarmente spigolosi. La tematica ambientalista è una delle linee narrative più evidenti, ma non sfugge come l’autrice miri a creare un ritratto acido di un’umanità impoverita, fatta di individui disumanizzati da questa industria massacrante e famelica, che prosciuga tanto fisicamente quanto emotivamente chi ne è coinvolto.
Sconcerta vedere in alcuni passaggi la faticosa resilienza di Kate, il modo in cui cerca di tenere fede al proprio impegno con sé stessa, nascondendo ai suoi familiari la verità, la sua malinconia e il profondo senso di isolamento che inizialmente la avvolge. Il ritrovare delle persone originarie del suo paese diventa quasi un momento salvifico, una sorta di rifugio all’interno di un’esistenza in cui viene costantemente messa sotto pressione, non solo lavorativamente ma soprattutto come individuo. O meglio, come donna.
In un ambiente principalmente maschile, il suo essere donna e giovane la trasforma in una sorta di oggetto del desiderio, anche andando contro la sua volontà. Commenti scurrili, avances maldestre e fastidiose sono all’ordine del giorno, e la Beaton le mostra senza censura, racconta la pressione emotiva subita, culminando con la rappresentazione edulcorata di atteggiamenti tossici, sino a violenze vere e proprie.
Kate Beaton realizza una storia universale
Non viene mostrato l’atto nella sua brutalità, ma si pone l’attenzione sulla ancora più velenosa reazione del dopo, quando si deve affrontare interiormente il fatto, scontrandosi con un ambiente in cui anche le persone che dovrebbero fare quadrato per proteggerti, sembrano essere parte di un mondo ferino in cui la vittima non è tale, ma:
Eri ubriaca, quindi non è stupro
In questo passaggio, Ducks è di un’umanità spiazzante. Sofferta, velenosa e impietosa per chi legge, viene messo a nudo il meccanismo del senso di colpa della vittima, se ne evidenziano i segnali rivelatori. Kate è costretta a vivere in questa realtà tossica, sempre più isolata, sempre più insensibile come reazione a una condizione a cui sembra avere sacrificato la propria anima.
E nonostante l’intervento della sorella Becky sembri creare una sorta di connessione tra vittime (E’ capitato anche a me all’università. Ti credo. Non è colpa tua), è impossibile non percepire come ci sia una sorta di spirale impazzita in cui la vittima cerca una scusa per i suoi carnefici, identificandola nell’ambiente mefitico in cui vivono queste anime perdute, come se fossero tutte vittime. L'irrazionale ricerca di una motivazione esterna all'animo umano per non accettare che possa esistere una simile oscurità.
La forza di Ducks è di esser un racconto personale che, pur partendo come storia autobiografica, si rivela universale, grazie alla pura, spiazzante verità con cui Kate Beaton condivide la sua esperienza. Nei dialoghi traspare una vis narrativa adamantina e semplice, che trova concretezza nello stile grafico della Beaton, che spostandosi dall’ambito web a quello cartaceo, mantiene un’apparente semplicità, fatti di sfondi parchi di dettagli ma che consentono di apprezzare la vitalità dei volti dei personaggi ritratti, ricchi di emotività e sofferenza.
Si potrebbe vedere la potenza di Ducks citando la sua trionfale avventura agli Eisner, che hanno fruttato a Kate Beaton due premi, come Miglior autrice unica e Migliore biografia a fumetti. Ma considerato la cifra emotiva di questa storia, la cruda sincerità con cui Kate Beaton si apre ai lettori è la vera essenza di Ducks, il suo essere un racconto universale, capace di esser rifugio e sostengo per chi ha vissuto esperienza simili alla protagonista e al contempo strumento critico per comprendere come evitare certe brutture nel mondo.
Commento
Voto di Cpop
90Pro
- Lettura travolgente e magnetica
- Racconto autobiografico universale
- Stile grafico semplice ma efficace
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