Che non sarebbe stato un film sobrio lo sapevamo già da quell'iconica scena contenuta nel trailer di Lady Gaga che percuote con violenza ritmata il cucchiaino sulla tazzina di caffè mentre esprime vaghe minacce in direzione del marito. D'altronde esistono meno casi di cronaca più eccessivi, esagerati e completamente sopra le righe come il delitto di Maurizio Gucci per modalità, dinamiche e vicende pregresse.
Sulla carta House of Gucci sarebbe un progetto perfetto sia per Ridley Scott sia per Lady Gaga: una storia già naturalmente elevata "a livello undici", in cui la mancanza di sfumature e l'allergia alla sobrietà di entrambi sarebbero potute diventare formidabili carte vincenti. Quando però ci si ritrova ad assistere all'attrice e cantante premio Oscar che grugnisce in una pantomima sessuale che fa sembrare sobria la precedente scena di sesso con cui Adam Driver ha aperto il suo bizzarro, surreale 2021 (quella in cui cantava dentro la vagina di Marion Cotillard in Annette praticandole sesso orale), è chiaro che l'esperienza non sarà indolore.
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È solo l'inizio di una lunga, lunghissima (due ore e venti) pellicola che vista da una sala italiana ha ben più di un punto critico, non solo squisitamente cinematografico. Va ammesso però che House of Gucci non è quello schianto trash che in molti sospettavano, anzi. Ha alcuni inaspettati punti di forza e alcune performance davvero impeccabili (un notevole Jeremy Irons e il solito Ada Driver), quasi del tutto squalificate da delle cadute verso il basso così vertiginose che è davvero difficile fare un bilancio di quella che - nel bene e nel male - è davvero un'esperienza di visione sui generis. Anzi: fonda quasi un genere tutto suo.
House of Gucci: un tarocco poco made in Italy
La vicenda è arcinota in Italia, sia nei suoi risvolti neri sia in quelli rosa. House of Gucci adatta un romanzo (che già si prendeva alcune libertà rispetto alla storia originale) per raccontare come Patrizia Reggiani abbia maturato il piano per uccidere l'ex marito Maurizio Gucci, assoldando dei sicari attraverso un'amica e confidente. Il motivo? Un misto di gelosia e brava di mantenere il nome e il potere insiti nel marchio Gucci, che rischiava di perdere dopo il divorzio dal marito.
Il film in realtà mette quasi in secondo piano la vicenda dell'omicidio, che occupa solo un pugno di scene sul gran finale. Adattandosi all'ormai endemica struttura del film che si apre con la scena finale e poi ripercorre a ritroso gli eventi che portano alla stessa, House of Gucci è un racconto dalle potenzialità esplosive di come una donna ambigua si avvicini a un uomo legato (ma non affezionato) a una famiglia retta su dinamiche di potere e denaro ben precise, tentando di manipolarlo spinta da pulsioni ora amorose, ora manageriali.
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La storia avrebbe uno sbocco magnifico se seguisse con convinzione il suo spunto di partenza: House of Gucci è un racconto simbolico di un certo modo di fare imprenditoria in Italia; una commistione di bugie, manipolazioni e finanzia creativa in ambito familiare. Personaggi competenti ma sciacalli (Robert De Niro) si mescolano a giovani rampanti che non conoscono davvero i tesori che le suole delle loro stesse scarpe nascondono (Adam Driver), con contorno di sciacalli e incapaci.
La vendita del marchio sancisce la fine di un brand artigianale a conduzione familiare, l'avvento dell'era dei gruppi finanziari e dei fondi che appaiono come pescecani ad annichilire le radici (buone o corrotte) di grandi marchi con una chiara specificità geografica.
Lady Gaga bravina, Jared Leto squalifica tutto
Il problema è che questo tema, questa angolazione critica rispetto alla storia raccontata va più desunta con spirito italiano che vissuta su schermo, in un film che in più di un versante sposa un'immagine che riduce una donna da sempre facoltosa che da adolescente ricevette una pelliccia di visone come regalo di compleanno in una ragazza arrivista che lavora in cantiere e non distingue un Picasso da un Klimt. House of Gucci è il peggior coacervo di stereotipi sugli italiani: figuri grassi, sporchi, violenti, animati da una vena sessuale inesauribile e tutto sommato inetti. Stereotipi duri a morire, in un'era in cui certi approcci sembrerebbero messi al bando (e invece).
Anche soprassedendo sulla questione italiana, House of Gucci rimane un film ricchissimo di lungaggini inutili e scene eccessive. Scott getta alle ortiche le sue carte migliori proprio per seguire un facile sensazionalismo italiano...proprio laddove la storia che ha per le mani fornisce tutto il desiderabile e più.
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De Niro, Irons e Driver formano un trio notevole, che aiuta molto il film a non diventare inguardabile. Lady Gaga s'impegna e molto, ma è più o meno consapevolmente protagonista di una rilettura del personaggio di Patrizia Reggiani tutt'altro che neutra. La sua recitazione è altalenante: fisicamente è perfetta per il personaggio, caratterialmente riesce a restituire parte del gusto per il dramma proprio di certe affermazioni dell'originale, ma il suo modo impostato di parlare e persino sculettare ogni tanto scade nell'artificioso.
Una performance da annali comparata all'imbarazzante, terribile, squalificante, oscena e incommentabile presenza scenica di Jared Leto, che sconfina nell'offensivo. Più che una caricatura o macchietta: la sua performance nel film scade nel delirio egotico. Ridley Scott ha la responsabilità di non aver fermato questo delirante soliloquio, giustificabile solo se qualcuno fosse attivamente alla ricerca di un Razzie Award. Vedere la versione doppiata di questo film e risparmiarsi le vocette a cui ricorre Leto sarà una benedizione di cui chi scrive ahimé non ha potuto giovare.
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