Anche i principi azzurri scolorano col tempo, esclama sconsolato un personaggio di La dea fortuna. Anche il nuovo film di Ferzan Özpetek che conferma come il 2019 sia stato un anno cinematografico in cui tanti registi affermati e acclamati hanno riflettuto sul passare del tempo dentro e fuori il cinema, sulla vecchiaia. Sia chiaro, siamo ad anni luce dal bellissimo Dolor y Gloria, testamento cinematografico e spirituale di un regista come Pedro Almodóvar. Un nome che per anni è stato accostato a quello di Ferzan Özpetek, vuoi per la sensibilità queer che li accomuna, vuoi per la pigrizia insita nell'atto di descrivere per accostamenti e raggruppamenti registi dai risultati in realtà molto differenti.
Stavolta però i due film hanno almeno un centro tematico comune: lo scorrere del tempo, lo scorgersi all'improvviso nel presente diversi, cambiati e forse non per il meglio. Per Almodovar l'agente del cambiamento è il dolore, così lancinante da donargli uno sguardo acutissimo sul suo corpo e sul suo decadimento, che si trasforma in un film di rara potenza.
La routine ci rende miopi
Per Ferzan Özpetek è una presa di coscienza più sfumata e graduale, che corona tra le lacrime nella realizzazione che un amore che si dà per scontato, anche se in crisi, potrebbe non essere per sempre. Le cose potrebbero cambiare ma non lo fanno, o il cambiamento è così rallentato che quando tenti di dare lo strappo finale, i legami affettivi ti portano al punto di partenza. Così la leggenda che dà il titolo al film, quella statua della dea fortuna che permette di portare con sé per sempre l'immagine dell'amato se evocata di fronte a lei, sembra quasi diventare una condanna. Özpetek sembra metterci in guardia rispetto ai ricordi che celiamo nel cuore, invitandoci a compararli col presente, o a rinnovare il voto d'amore fatto alla dea, senza farsi travolgere da una routine che ci rende miopi.
A fare da maschera alle riflessioni del regista ci sono Edoardo Leo, uno dei volti più ricorrenti del cinema italiano nel 2019, e il sempreverde Stefano Accorsi. Lui è un idraulico pragmatico e talvolta indolente, l'altro diventa caricatura di un mondo intellettuale sempre più precario e fallimentare, assillato dalla gelosia, dalla mancanza di attenzione, dal senso di estraneità. Alessandro e Arturo sembrano galleggiare su un presente di crisi infinita, incapaci di uscire da una scontentezza perpetua divenuta il vero collante della loro unione, insieme alla mancanza di sesso e ai continui tradimenti, sempre più plateali.
Eppure questo stato di perenne insoddisfazione sembra capace di inglobare tutto: gli amici di sempre, le beghe di lavoro, persino i figli di una vecchia amica di Alessandro, interpretata da Jasmine Trinca. Lei e i suoi due bimbi sembrano il terzo vertice di un triangolo perfetto, di una famiglia che si scopre tale nella difficoltà.
Özpetek riscopre la famiglia
La dea fortuna inverte la tendenza calante del regista: questo film infatti segna una netta risalita nella parabola ormai discendente degli ultimi lavori di Özpetek. Rispetto al confuso Napoli Velata e al tremendo Rosso Istanbul, il regista sembra ritrovare nei suoi temi di sempre un'ispirazione che mancava da tempo. Forse è la componente autobiografica che scorre sottotraccia a fare la magia, forse è la voglia più concreta del solito di superare l'erotismo (qui praticamente assente) per imbastire un discorso più calato nel concreto e nel quotidiano.
La dea fortuna esplora un'esperienza di genitorialità inizialmente non desiderata e affrontata con un sorriso di circostanza da Alessandro e Arturo che, lungi dal divenire una soluzione troppo facile, gli permette di mettere a fuoco più nitidamente i loro problemi di coppia.
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Solitamente uno dei punti forte di Ferzan Özpetek è il saper guidare i suoi attori. Stavolta invece sono loro a salvare lui, a dare concretezza alla storia nei momenti in cui rischia di farsi più sfuggente. Su tutti brilla Jasmine Trinca, che si rivela ancora una volta un'interprete di grandissima bravura, capace di dare forza al film anche con un ruolo marginale e che per giunta ha un punto di arrivo scontato sin dalle sue premesse.
Anche Edoardo Leo dimostra grande sostanza, aiutato però da una parte che sembra lambire spesso il suo carattere innato. Su Stefano Accorsi c'è poco da dire: inizialmente si ride con lui degli aspetti più caricaturali del suo personaggi precisino e rancoroso, mentre nella seconda parte si finisce a ridere di lui e della sua recitazione totalmente sballata. Però si ride, con misura, in un film che riesce a galleggiare sulla drammaticità della sua storia, evitando le pesantezze più evidenti.
L'antidoto al cambiamento, scontato a dirsi, per Ferzan Özpetek è l'amore. Anche quando la malattia costringe due amanti a rinnovarlo ogni giorno, anche quando gli occhi dei più piccoli (e stavolta i giovanissimi interpreti sono davvero talentuosi, a differenza di quanto accade di solito nel cinema italiano) rivelano che è inutile aver paura d'invecchiare, perché quando la si prova vuol dire che si è già vecchi.
L'amore tra Alessandro e Arturo e la sua infinita capacità di inglobare ogni crisi sotto la superficie tranquilla della routine quotidiana è una metafora perfetta del cinema del tardo Ferzan Özpetek, ma non è certo la più lusinghiera. Se nella vita e in amore si può accontentarsi della ripetizione, il cinema richiede una forza rinnovatrice (o anche distruttrice) ogni volta, ad ogni film.
La dea fortuna è nei cinema italiani a partire dal 19 dicembre 2019.
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Voto di Cpop
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