È l'alba dell'umanità quella che sorge su una sconfinata zona desertica. Le scimmie antropomorfe si affannano attorno ad un misterioso monolite comparso dal nulla. Nero, impenetrabile. Eppure illuminante per il destino della futura umanità: trasmetterà ai primati la capacità di servirsi di un osso come di un'arma attraverso cui sopraffare il proprio rivale. La strada verso il Paleolitico è tracciata - organizzazione gerarchica e utilizzo di manufatti litici per la caccia - e, di colpo, un balzo temporale vertiginoso conduce quell'osso scagliato dal capobranco fino al futuro prossimo in quello che è un brillante esempio di match-cut.
Non ha certo bisogno di presentazioni 2001: Odissea nello spazio, sci-fi per antonomasia che mostrava tutto ciò che somiglia terribilmente al presente che viviamo. O quasi. Dietro la pellicola più ambiziosa della storia del cinema vi era la mano di un regista ermetico, riflessivo, imperscrutabile: Stanley Kubrick, figura di spicco del Novecento artistico, surfista dei generi cinematografici, cavalcati sempre con l'intenzione di raccontare altro, servendosene quindi come mero pretesto.
E 2001, difatti, non è un film di fantascienza. O meglio, non è solo quello. È il film spartiacque (non solo) della carriera di un regista ossessionato dall'esplorazione, mentale più che altro.
Trip sensoriale al di là dell'umana comprensione
Si può senza dubbio affermare che 2001: Odissea nello spazio sta al cinema come The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd sta alla musica (magari in featuring con lo "starman" Bowie). Un'opera sperimentale, mainstream, che travalica il genere insinuandosi nell'inconscio del pubblico.
Eppure il poster originale del film parlava di un "dramma epico di avventura ed esplorazione". MGM, che produsse il film, pensò di avere tra le mani un kolossal classico. Le cose, però, non stavano affatto così. Kubrick diede vita al progetto assieme allo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke, muovendo da un racconto di questi intitolato La sentinella, che però fu stravolto completamente tanto che Clark affermò in seguito: "La sentinella assomiglia a 2001: Odissea nello spazio come una ghianda assomiglia a una quercia adulta".
I due chiamarono il progetto How the Solar System Was Won (Come è stato conquistato il sistema solare) e, almeno inizialmente, la spinta di Kubrick fu indirizzata all'autoconvincimento dell'esistenza di una vita extraterrestre intelligente e le conseguenze immediate di una tale scoperta. Il regista, ossessionato dall'imminente (secondo lui) comparsa extraterrestre, si rivolse, senza successo, addirittura ai Lloyd's di Londra per l'ottenimento di una polizza nel caso gli alieni fossero giunti sulla Terra prima dell'uscita del suo film nelle sale.
Ben presto, però, il cineasta statunitense mutò atteggiamento, orientando le vicende raccontate nel film - riassumibili nella missione spaziale dell'equipaggio della Discovery One, astronave in rotta verso Giove per decodificare un segnale proveniente da un misterioso oggetto alieno - verso un approdo nuovo per la science fiction di allora, una sorta di commistione di ontologico e filosofico tra pianeti e stelle.
2001, come vedremo, è un'opera visionaria che immagina l'inimmaginabile, aperta a chiavi di lettura multiple. Invade l'immaginario collettivo, influenza l'arte tutta - dal design (si pensi, ad esempio, alle iconiche sedie rosse Djinn realizzate da Olivier Mourgue) alla fantascienza cinematografica (quante A.I. ribelli alla stregua di HAL 9000 vedremo in seguito?) - e favorisce un dibattito ancora oggi rimasto aperto.
La risposta del pubblico dinanzi ad un progetto di tale portata fu, almeno inizialmente, disastrosa. In soccorso di Kubrick e Clarke vennero però le comunità hippie di tutto il mondo, all'epoca (siamo nel '68) figlie della letteratura beat e della musica tambureggiante (il rock, ovvio). I cinema andavano riempendosi di fan di pellicole di culto quali The Trip di Roger Corman oppure Psych-Out e di lì a poco Hopper, Fonda e Nicholson avrebbero travolto il sogno americano in sella ai loro chopper in Easy Rider. Grazie ad un'intuizione dello studio lo slogan che accompagnava l'uscita in sala di 2001: Odissea nello spazio venne corretto in corsa e la campagna marketing pubblicizzò il film definendolo "The ultimate trip".
Il significato di 2001: Odissea nello spazio
"Se qualcuno riesce a capire davvero 2001: Odissea nello spazio abbiamo fallito. Volevamo porre domande più che dare risposte". Così Arthur C. Clarke liquidò l'ambiguità di un film come 2001, riservandosi di fornire risposte ben più esplicite nel romanzo omonimo che accompagnò l'uscita del film. C'è chi nello sci-fi del '68 ha scovato la presenza del divino, chi lo stadio finale dell'umanità, chi un revival nichilista.
Kubrick non realizzò certo un film immediatamente comprensibile - esistono due categorie di spettatori: chi afferma di non aver compreso subito il film e chi mente - ma ad una lettura accorta non può certo sfuggire l'esigenza del regista di raccontare l'evoluzione dell'umanità, l'intero arco della vita degli esseri umani ("da scimmia ad angelo", scrisse qualcuno), interrogandosi a più riprese sul destino della nostra specie (chi siamo? Da dove veniamo? E così via).
"Non mi piace parlare di 2001 perché è essenzialmente un'esperienza non verbale. Per più della metà, il film non ha dialoghi. È un tentativo di comunicare con il subcosciente e con le sensazioni, piuttosto che con l'intelletto". A parlare è lo stesso Kubrick, il quale ribadisce una volta per tutte come il film sfugga alle logiche del cinema convenzionale, procedendo invece per allegorie, rimandi e simbolismo. In un'intervista successiva, il filmaker corregge il tiro asserendo: "Sul livello psicologico più profondo la trama del film simboleggia la ricerca di Dio e alla fine postula ciò che è poco meno di una definizione scientifica di Dio". Scienza e fede convivono in 2001: Odissea nello spazio, ma il sacro teorizzato da Kubrick non possiede mai una vera e propria accezione religiosa, così come la scienza del film non risponde a tutti gli interrogativi formulati.
Il contributo al pensiero filosofico offerto dalla pellicola è, infine, fin troppo noto, a partire dal commento musicale di 2001 che coinvolge "Also sprach Zarathustra, Op. 30", il poema sinfonico di Richard Strauss ispirato all'omonimo trattato filosofico di Nietzsche, testo che parla della parabola evolutiva che dalla scimmia conduce all'Oltreuomo (e non è ciò che Kubrick mostra al pubblico attraverso ominidi e lo Star Child finale?), concepito come lo stadio finale dell'evoluzione umana.
Come se non bastasse, nel capitolo Delle tre tetamorfosi, Nietzsche identifica il bambino come l'ultimo gradino prima dell'Oltreuomo (dopo il cammello e il leone). Difficile non ravvisare un riferimento interpretativo della sequenza finale in cui fa capolino il "Bambino delle stelle", il neonato stellare - ritratto nudo e indifeso, ma con gli occhi ben aperti - che volteggia nel cosmo a simboleggiare un "nuovo grande inizio".
In definitiva, Kubrick non elargisce spiegazioni rassicuranti allo spettatore. Al contrario, lo invita a perdersi nell'infinito dello spazio (esistenziale), confrontandosi con il mistero del cosmo e della creazione, teorizzando un domani già vissuto da una razza superiore aliena, il cui messaggero altro non è che un enigmatico blocco di pietra di colore nero.
Il fascino inquietante del film viene smontato (almeno parzialmente) dall'omonimo romanzo di Arthur C. Clarke, che sembra spiegare il finale del film in modo più chiaro. Questi identifica chiaramente il monolite come un oggetto creato da una razza aliena che è passata attraverso molti anni di evoluzione, partendo dalle forme organiche, attraverso le biomeccaniche e infine ha raggiunto uno stato di pura energia. Questi alieni attraversano il cosmo aiutando le specie minori nel compiere i passi dell'evoluzione. Il romanzo spiega la sequenza della stanza d'albergo come una specie di zoo alieno — fabbricato dalle informazioni derivate dalle trasmissioni televisive intercettate dalla Terra — nelle quali David Bowman (il protagonista astronauta impersonato da Keir Dullea) viene studiato dalle entità aliene invisibili. Tutto ciò nella pellicola viene lasciato volutamente inespresso.
Le possibili interpretazioni di 2001: Odissea nello spazio
Tra le svariate interpretazioni del capolavoro di Kubrick, quella avanzata da Leonard F. wheat nel suo libro "Kubrick's 2001: A Triple Allegory" sembra essere la più complessa e articolata. Lo studioso parla del film come di un'opera che procede attraverso una continua allegoria e per simboli, costruita su un duplice strato, superficiale e nascosto. Wheat individua una tripla allegoria caratterizzante 2001:
- Wheat nota i rimandi a Zarathustra, descrivendo l'umanità come un acrobata in equilibrio fra la scimmia e l'Oltreuomo, arrivando a sostenere che tutto il film mette in scena quell'immagine
- L'omaggio (nemmeno troppo) velato all'Odissea di Omero: il titolo che chiama in causa il poema, il nome di Bowman ("arciere" in inglese) che guarda all'abilità di Ulisse, l'accostamento di Hal 9000 al Ciclope (entrambi in possesso di un solo occhio) e così via
- La teoria di Arthur C. Clarke della futura simbiosi di uomo e macchina, estesa da Kubrick in quello che Wheat chiama "uno scenario con tre salti dell'evoluzione": dalla scimmia all'uomo, un salto mancato dall'uomo alla macchina e un finale salto di successo dall'uomo al "bambino stellare"
Sulla ricerca del divino, teorizzata dai più, intervenne invece lo stesso Kubrick in un'intervista rilasciata a Playboy:
Dirò che il concetto di Dio è al centro di 2001 ma non alcuna tradizionale, antropomorfica immagine di Dio. Non credo in nessuna religione monoteistica della Terra, ma credo che qualcuno possa costruire un'intrigante definizione scientifica di Dio, una volta accettato il fatto che ci sono approssimativamente 100 miliardi di stelle solo nella nostra galassia, che ogni stella è un sole che dà vita e che ci sono approssimativamente 100 miliardi di galassie solo nell'universo osservabile. Dato un pianeta in un'orbita stabile, non troppo caldo e non troppo freddo, e dati un paio di miliardi di anni di possibilità che reazioni chimiche venissero create dall'interazione dell'energia del sole sulle sostanze chimiche del pianeta, è piuttosto certo che la vita in una forma o in un'altra emergerà alla fine. È ragionevole ammettere che debbano esserci, infatti, innumerevoli miliardi di tali pianeti dove è emersa la vita biologica, e le probabilità che tale vita abbia sviluppato un'intelligenza sono alte. Ora, il sole non è in alcun modo una stella vecchia, e i suoi pianeti sono meri bambini nell'età cosmica, quindi sembra probabile che ci siano miliardi di pianeti nell'universo non solo dove l'intelligenza è su una scala minore rispetto all'uomo, ma altri miliardi dove è approssimativamente uguale e altri ancora dove è centinaia di migliaia di milioni di anni avanti a noi. Quando pensi ai giganteschi passi tecnologici che un uomo ha fatto in pochi millenni — meno di un microsecondo nella cronologia dell'universo — puoi immaginare lo sviluppo evoluzionistico che hanno fatto delle forme di vita molto più vecchie? Possono essere avanzate da specie biologiche, che sono gusci fragili per la mente nei migliori dei casi, in entità meccaniche immortali — e poi, dopo innumerevoli eoni, potrebbero emergere dalle crisalidi di materia trasformati in esseri di pura energia e spirito. Le loro potenzialità potrebbero non avere limite e la loro intelligenza incomprensibile per gli umani.
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