Addio a Paolo Villaggio, storico volto del cinema italiano

Autore: Chiara Poli ,

Una cosa, noi italiani, sappiamo fare davvero bene: ridere di noi stessi.

Prenderci in giro, trasformare i nostri punti deboli in risate e le nostre paure in sorrisi.

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Paolo Villaggio, morto al Policlinico Gemelli di Roma dove era ricoverato da alcuni giorni, era l’attore-simbolo di questa grande capacità.

Era l’uomo che aveva reinventato la commedia all’italiana, quella grande tradizione del Dopoguerra che con i film di Risi, Monicelli, De Sica, Germi e tanti altri aveva ridato speranza a un Paese da ricostruire.

Quella grande tradizione che celebrava la capacità di farci riflettere sulle italiche manie e sulle italiche disgrazie strappandoci sempre qualche risata.

L'attore Paolo Villaggio
Il grande Paolo Villaggio

Ecco perché il ragionier Ugo Fantozzi è stato un personaggio fondamentale per il nostro cinema, ma anche per la nostra cultura popolare.

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Paolo Villaggio l’aveva inventato durante il lavoro come impiegato presso la Cosider, importante industria siderurgica, negli anni ’60.

Il suo libro sul ragioniere calpestato da tutti, a cui seguirono diversi altri romanzi, divenne un film - il primo di una lunga, indimenticabile saga - nel 1975 con la regia di Luciano Salce.

Fu l’inizio di un mito, ma solo il prosieguo di una promettente carriera d’attore.

Villaggio aveva lavorato come cabarettista e come intrattenitore sulle navi da crociera, per poi farsi le ossa “sul serio” in teatro, con la celebre Compagnia Goliardica Mario Bastrocchi di Genova, la sua città natale.

Sul grande schermo aveva debuttato nel 1968. Prima di Fantozzi, aveva già preso parte a film di grande successo come I quattro del pater noster, Brancaleone alle crociate e Beati i ricchi.

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La popolarità di Fantozzi, che lo trasformò in una vera e propria icona culturale, non gli impedì mai di dimostrare il proprio talento impegnandosi in parti drammatiche.

Se la commedia era il suo piatto forte (cito, giusto per fare qualche titolo: Dottor Jekyll e gentile signora, Fracchia la belva umana, Pappa e ciccia, Bonnie e Clyde all’italiana, Sogni mostruosamente proibiti e Le comiche), la capacità di indossare panni diversi gli procurò grandi riconoscimenti.

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Da Il segreto del bosco vecchio di Ermanno Olmi (che gli regalò una nomination ai Golden Globes come migliore attore) a Cari fottutissimi amici di Mario Monicelli, da La voce della Luna del grande Federico Fellini (premiato ai David di Donatello) a Camerieri di Pompucci, Paolo Villaggio ha interpretato sogni, incertezze e timori come pochi altri nostri attori.

Dozzine i ruoli memorabili. Dozzine le pellicole di culto che resteranno sempre parte del nostro patrimonio culturale.

Denti di Salvatores, Azzurro di Rabaglia, Io speriamo che me la cavo della Wertmuller, A tu per tu di Corbucci, La locandiera di Cavara, Il turno di Cervi…

Una vita passata davanti alla macchina da presa a interpretare personaggi sempre diversi, uniti dall’immancabile tocco che solo lui sapeva regalare a ciascuno.

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Nel 1992 gli venne assegnato il Leone alla Carriera a Venezia. Ma la sua carriera era ancora nel vivo, destinata a regalarci tanti altri personaggi indimenticabili.

Come Loris Bianchi, il protagonista di Camerieri, una delle sue interpretazioni più toccanti. Speciale perché mescolava con un'alchimia quasi magica quell’amarezza e quell’ironia che solo lui sapeva incarnare senza sbavature, diventando credibile perfino nelle situazioni più incredibili.

Per annunciare la sua morte, Repubblica ha titolato così: "L’Italia piange Fantozzi".

Ed è vero. Abbiamo perso un pezzo della nostra storia, uno dei personaggi di culto del nostro cinema e della nostra letteratura.

Ma abbiamo perso anche un uomo che si divideva fra cinema, teatro e televisione.

Un giornalista e uno scrittore.

Un simbolo di come il talento, quando è così grande da diventare tangibile, supera ogni confine. E diventa immortale.

Ciao Paolo, fai buon viaggio. E grazie per tutte le risate, le lacrime, i sorrisi e le riflessioni che ci hai regalato.

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