I soliti sospetti: Keyser Söze, gioco di prestigio del cinema

Autore: Emanuele Zambon ,

“Dammi le chiavi, stronzo succhiac*#@i”. C'è da identificare una voce, a cinque indiziati viene richiesto di pronunciare altrettante parole durante un confronto all'americana. Sei settimane più tardi nel molo del porto San Pedro a Los Angeles si scatenerà l'inferno: un peschereccio in fiamme e 27 cadaveri sparsi un po' ovunque.

I soliti sospetti è uno dei grandi cult anni '90, thriller poliziesco contorto con un finale da rimanere a bocca aperta. La sceneggiatura di Christopher McQuarrie è un congegno a orologeria programmato per esplodere negli ultimi minuti, che sconvolgono tanto i protagonisti quanto il pubblico, affascinato da un villain che tutti sembrano conoscere e nessuno osa nominare: il Keyser Söze del superlativo Kevin Spacey.

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Il cast de I soliti sospetti

"Non esiste Keyser Söze", urla uno dei criminali più temuti del film, il Dean Keaton di Gabriel Byrne, convinto che si tratti di un'invenzione. C'è chi crede che dietro quel nome si nasconda un macellaio psicopatico e sanguinario. Pare che sia turco o addirittura che il padre sia tedesco. Nessuno, insomma, crede che esista davvero. Non una foto e nemmeno una testimonianza diretta, se si esclude quella di un ungherese sopravvissuto alla carneficina al porto.

Nessuno nel film sa chi sia, questo sembra essere il più grande potere di Söze. "La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste". Lo racconta il criminale di mezza tacca - per di più storpio - Verbal Kint (Kevin Spacey), altro scampato al massacro al porto. Ottenuta l'immunità dal procuratore generale, Kint viene interrogato dall'agente Dave Kujan (Chazz Palminteri) che intende far luce sull'accaduto.

Insospettabile Kevin

È proprio quello di Palminteri il personaggio chiave del film. La sua superbia gli costerà caro. Scarta a priori Verbal Kint come responsabile della strage perché ossessionato dalla figura di Keaton, di tutt'altro - almeno apparentemente - spessore criminale. È convinto che ci sia il personaggio di Byrne dietro tutta la vicenda e non cerca, come dovrebbe, la verità. Vuole solo che siano confermate le sue congetture.

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Kint, scopriremo poi, si prende gioco dell'agente doganale raccontando una storia inventata di sana pianta: un carico di droga in arrivo e un conflitto a fuoco tra bande. Il machiavellico protagonista col volto e la camminata scomposta di Spacey memorizza nomi e articoli sparsi sulla parete dietro la scrivania nell’ufficio dell’interrogatorio per poi raccontare a Kujan ciò che vuole sentirsi dire.

Il motivo? È lui il burattinaio, è stato lui a muovere i fili dell'intera (fantasiosa) vicenda, facendo passare l'eliminazione di un testimone oculare per una compravendita di droga finita male. In poche parole, è lui Keyser Söze, genio del male capace di ingannare tutti: complici, polizia e spettatori.

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Kevin Spacey nel confronto all'americana de I soliti sospetti

Vero e proprio mattatore dei finali cinematografici anni '90 - come non pensare a Seven di David Fincher - l'attore americano si ritaglia un ruolo leggendario, camuffando fino all'ultimo la sua vera identità.

Un gioco di prestigio, una storia nella storia raccontata in voice-over cercando sempre il depistaggio (così Kint prima del confronto all'americana: "Potevo far finta di essere un pezzo grosso in mezzo a dei veri rapinatori"), fino al coup de théâtre finale. E, come niente, sparisce. A Kevin gli occhi, please.

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