Come si dice in questi casi: io c’ero. Ricordo bene, benissimo tutto quel periodo: il processo a O.J. Simpson, i servizi giornalistici, le dirette della rivolta scoppiata a Los Angeles, il caso di Rodney King.
Ed è proprio questo, le rivolte e Rodney King, ad aprire l’episodio pilota di un nuovo capolavoro del piccolo schermo.
Un capolavoro che ricostruisce minuziosamente non solo la storia, ma anche le immagini di repertorio che molti di noi ricordano, immergendoci di nuovo nell’atmosfera dell’epoca. E aggiungendo quell’approfondimento psicologico che nei resoconti di cronaca mancava.

Gli autori de #Il caso O.J. Simpson: American Crime Story non si tirano indietro. Ci dicono apertamente, da subito, qual era il clima in cui si svolse il processo.
Perché è da qui che bisogna partire per raccontare questa storia: dalla tensione che circondò il caso dopo i disordini che avevano paralizzato la città di Los Angeles, causando oltre cinquanta vittime.
O.J. “The Juice” Simpson, campione di football e celebre per la sua partecipazione alla saga cinematografica di “Una pallottola spuntata”, era una celebrità.
Amatissimo dal pubblico, dagli sportivi, da tutti: l’America era fiera di lui. Ce lo indicano le poche parole che gli rivolge l’autista, sufficienti a riportare il quadro della sua popolarità.
Ma l’America non conosceva ancora il suo lato oscuro. Non ancora.

Iniziò a intravvederlo dopo la passeggiata di un uomo che portava a spasso il cane, e che ritrovò i corpi di Nicole Brown, l’ex moglie di O.J., e del suo amico Ron Goldman, massacrati a coltellate.
L’arrivo della polizia sulla scena, e poi la scoperta delle impronte insanguinate, del berretto, di un killer mancino: tutti gli elementi portavano a O.J., l’ex marito violento che Nicole aveva più volte denunciato per maltrattamenti.
La grandezza di questo primo episodio è quella di precipitarci senza troppi complimenti in un incubo a occhi aperti.
Le tracce di sangue sulla (e nella) famosa Bronco Bianca, l’auto che O.J. prende per fuggire dando vita a uno dei più celebri inseguimenti della storia, portano dritte verso di lui.
Lui che, rintracciato telefonicamente a Chicago, si dice sconvolto dalla notizia della morte di Nicole. Senza, però, chiedere cosa sia successo, come sia morta una giovane donna in salute.

Senza chiedere perché conosceva già la risposta. Una cosa, infatti, va chiarita subito: qui non ci sono dubbi. In questa ricostruzione, che Cuba Gooding Jr. ha interpretato in modo particolare, si parte da un presupposto chiarissimo.
O.J. Simpson - il cui sguardo oscuro manca al sempre bravo Gooding Jr. - era colpevole. Tutte le prove portavano a lui. Fallì persino il test del poligrafo, come ci mostra questo primo episodio.
La ricostruzione è accuratissima, quasi maniacale. Dalla presentazione dei personaggi - a cominciare da Robert Kardashian - fino ai movimenti di macchina che indugiano su dettaglio dopo l’altro, per accrescere la tensione drammatica e per guidarci lungo il percorso che porta alla scoperta di prove schiaccianti… Rimaste inascoltate.
Sarah Paulson, nei panni del procuratore Marsha Clark, è impeccabile. La presenza scenica di John Travolta nel ruolo dell’avvocato Robert Shapiro non lascia indifferenti.
E nelle parole appassionate di Marsha, procuratore donna in un mondo di uomini, c’è tutto ciò che dobbiamo sapere:
Otto chiamate al 911, la polizia si è recata lì otto volte [...] Dio, il sistema l’ha abbandonata. Sai cosa mi fa incazzare davvero? Che è andata avanti per anni. Lui l’ha pestata per anni, prima che lo arrestassero.
Rivolte razziali, sessismo, star system. Sono queste le prove. Non i guanti, non il sangue, non la Bronco bianca. Un uomo violento, un bambinone viziato, arrogante eppure debole.
Pronto a minacciare di uccidersi nella cameretta dell’allora tredicenne Kim Kardashian, pur di non andare in galera. Pronto a salire sulla sua Bronco bianca e a scappare, senza una meta… Fino al prossimo episodio.
Nel prossimo episodio di #Il caso O.J.Simpson: American Crime Story:
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