Eroe romantico e sognatore ribelle. Oppure terribilmente impreparato o un semplice ragazzino idealista. Christopher McCandless, il protagonista di Into the Wild – Nelle terre selvagge, è definibile in molti modi, probabilmente tutti corretti.
Il film del 2007 scritto e diretto da Sean Penn prendeva ispirazione dal libro di Jon Krakauer chiamato Nelle terre estreme, nel quale si raccontava proprio la storia di McCandless. Un giovane benestante che, appena finiti gli studi, decideva di lasciare per sempre famiglia e affetti e dirigersi alla volta del grande nord, dell’Alaska.
La pellicola poteva contare su un cast di tutto rispetto. A cominciare dal protagonista principale, interpretato da Emile Hirsch, apprezzato anche in C'era una volta a... Hollywood. Senza dimenticare William Hurt, Marcia Gay Harden e una giovane Kristen Stewart, che appena un anno più tardi, nel 2008, sarebbe arrivata alla ribalta internazionale con il primo film della saga di Twilight.
A dare ancora più valore al tutto, interveniva l’ispirata colonna sonora comprendente brani della chitarrista Kaki King e soprattutto di Eddie Vedder, colonna portante dei Pearl Jam.
Dopo questa introduzione, è tempo di ripercorrere brevemente la storia di Into the Wild – Nelle terre selvagge, e di concentrarsi soprattutto sulle sequenze finali del film, cercando di comprendere il significato delle toccanti parole del protagonista.
- La trama di Into the Wild – Nelle terre selvagge
- Il finale della storia
- Il significato delle parole di Chris
La trama di Into the Wild – Nelle terre selvagge
La vita di Christopher Johnson McCandless sembra veramente perfetta da ogni punto di vista. Può contare su una sorella amorevole, sui libri dei suoi autori preferiti e su un’esistenza che, vista nel complesso, fila liscia sui binari tracciati dalla società. La sua famiglia è benestante, tant’è che suo padre, dopo la laurea in scienze sociali nel 1990, decide di regalargli una nuova auto. Solo che Christopher non vuole tutte queste cose.
Non vuole una macchina nuova, non vuole conformarsi, non vuole seguire quel percorso che lo porterà ad avere un lavoro, una famiglia, una casa con giardino. La sua mente inquieta lo porta a scontrarsi più volte con i genitori, specie suo padre, mentre le idee di autori come London e Thoreau lo portano a progettare la più grande delle avventure.
Un giorno, decide di tagliare per sempre i ponti con la sua famiglia e di partire per un viaggio che ai più sembra folle. L’obiettivo è arrivare in Alaska, negli sconfinati territori selvaggi. Per dare un senso ancora più profondo al suo viaggio, Chris sceglie di cambiare nome, diventando Alexander Supertramp.
Partendo dalla Virginia, il ragazzo inizia un viaggio materiale ed esistenziale che lo porterà addirittura in Messico. E sulla sua strada, Chris farà la conoscenza di personaggi fuori dal comune come Jan (Catherine Keener) e Rainey (Brian H. Dierker), una coppia di hippie, oppure Tracy (Kirsten Stewart), giovane cantautrice che si invaghisce subito di lui, ma che non verrà ricambiata.
Perché lasciarsi alle spalle una ragazza che si strugge per te? Perché per il protagonista l’obiettivo è solo uno: arrivare in Alaska. E per acquistare l'equipaggiamento necessario accetta lavori umili e sottopagati, grazie ai quali può rafforzare le sue idee sulla società capitalista di oggi, disumana e dedita allo sfruttamento delle persone. Non riuscirà a fermarlo nemmeno Ron (Hal Holbrook), veterano di guerra che si affezionerà talmente tanto al giovane da volerlo accompagnare nella tappa finale del suo viaggio, l'ultima fermata prima dell'arrivo in Alaska.
Rimasto solo, il ragazzo riuscirà finalmente a coronare il suo sogno, raggiungendo le terre selvagge dell’Alaska che tanto sognava. Dopo aver trovato rifugio in un autobus abbandonato - ribattezzato subito “Magic Bus” - Chris tenta di vivere secondo i ritmi della natura, procurandosi il cibo tramite la caccia. Ed è qui che le cose inizieranno a prendere una brutta piega.
Il finale della storia
Chris arriva al suo centesimo giorno in Alaska nelle peggiori condizioni di vita. Magro e affamato, ha fallito nel suo obiettivo più grande: cacciare e mantenere in buono stato le risorse così ottenute.
Dopo aver ucciso un alce, infatti, il ragazzo non riesce a evitare che gli insetti rovinino la carne. Rimasto senza altre fonti di sostentamento, Chris sceglie di ingerire alcune bacche selvatiche, che secondo uno dei suoi libri dovrebbero essere commestibili.
Si tratta dell’errore che costerà la vita al protagonista, visto che le bacche ingerite, in quel particolare periodo dell’anno, erano fortemente velenose. Iniziano così giorni di agonia, che lo porteranno in breve tempo a riflettere sul suo viaggio, sulle sue intenzioni. Poco prima di andarsene, così, Chris arriverà ad ammettere la lezione più grande, ovvero:
La felicità è reale solo se condivisa.
Ed è con questa consapevolezza che il giovane si sdraia per l’ennesima volta sul suo letto di fortuna, alza gli occhi al cielo ed esala l’ultimo respiro, mentre la camera si allarga e si iniziano a sentire le prime note di Hard Sun di Eddie Vedder.
Il significato delle parole di Chris e le frasi più importanti
Prima di esalare l’ultimo respiro, il pensiero di Chris va ai suoi genitori. Immagina di essere tornato da loro, di essere tra le loro braccia. Ma non è un pensiero che sa di rimorso. Il personaggio sembra dispiaciuto del fatto che le altre persone non riescano a capire i suoi sentimenti in quel preciso momento:
E se io stessi sorridendo e stessi correndo tra le vostre braccia, riuscireste a vedere... quello che vedo io ora?
Certo, si trattava dei pensieri di un moribondo, che peraltro pochi istanti prima era arrivato alle più dolorose delle rivelazioni. Sì, perché dopo aver viaggiato in lungo e in largo per l’America, aver spezzato il cuore di una ragazza e riacceso la speranza nella vita di un vecchio rimasto solo troppo tempo, Chris arriva a capire una cosa. Arriva a passare da frasi come queste, pronunciate nel corso del film:
Ma ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone. Dio ha messo la felicità dappertutto e ovunque, in tutto ciò in cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose.
A una sentenza come quella già citata in precedenza, che dice che la felicità è tale solo se condivisa.
C’era arrivato, Chris, rileggendo i suoi autori preferiti, durante le fredde giornate passate all’interno del Magic Bus. Rivedendo un passaggio di Tolsoj, ad esempio, che diceva:
Ho vissuto molto, e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. E poi, al di sopra di tutto, tu per compagna, e dei figli forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?
A pensarci, viene quasi il nervoso. Come può un ragazzo intelligente ed estremamente colto capire qualcosa del genere solo in punto di morte?
E questa è proprio una delle interpretazioni che si può dare a tutta la storia di Chris – almeno seguendo quanto ritratto nel film, che non è necessariamente aderente alla vicenda reale. La storia di un ragazzino idealista che sceglie di dare un dolore enorme ai suoi genitori, e buttare via la sua vita in un modo talmente stupido e banale. A guardare la splendida interpretazione di William Hurt e Marcia Gay Harden durante le ultime sequenze del film, in effetti, si stringe il cuore:
E poi, volendo trasferire il tutto su un piano pratico, l’impresa di Chris era tutt’altro che disperata. Ci sono letteralmente decine, se non centinaia di persone che scelgono di andare in Alaska e vivere secondo i ritmi della natura, riescono a farlo e a vivere dignitosamente. Basta guardare docu-serie come Life Below Zero, Alaska: The Last Frontier o The Last Alaskians per rendersene conto. Chris è morto perché era inesperto, troppo idealista e poco pratico.
Ed è tutto vero. Un ragazzo brillante e nel fiore degli anni è morto esattamente per questo. Però, se ancora oggi la sua storia ispira e affascina, deve esserci un motivo. Non si spiegherebbe altrimenti, infatti, la sorta di pellegrinaggio che spingeva gente da ogni parte del mondo a raggiungere il vero Magic Bus, anche a rischio della vita. Circostanza che, come si legge su Variety, ha costretto le autorità a rimuovere il mezzo nel giugno 2020.
E perché affascina così tanto? Perché nella parabola di Chris, nelle sue parole, ci sono sentimenti in cui tutti quanti possiamo riconoscersi. La voglia di esplorare l’ignoto, di prendersi quello che si vuole davvero. In ultima analisi, di cercare di essere felici, di dare un senso alla propria vita. Chris ha dovuto viaggiare in autostop fino in Alaska e sacrificare la sua vita per capirlo. Ed è questo suo sacrificio finale che affascina così tanto.
Riuscire a comprendere le stesse cose senza far soffrire troppo gli altri e senza sacrificare i propri valori, in ultima analisi, sembra essere il viaggio più importante da compiere. Nelle terre selvagge che si percorrono ogni giorno, ma anche dentro se stessi.
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