Manifest Destiny, la nascita violenta degli States

Autore: Manuel Enrico ,

Immaginate di dover creare una nazione, partendo da una popolazione priva di una radice culturale unica e sorta dalle ceneri di una rivoluzione. In assenza di un sentimento comune, cementare queste differenti origini, spesso animate da asti mai risolti, rischia di essere un compito arduo, salvo che non si trovi un elemento unificatore, un ideale puro e aggregatore che diventi il punto di partenza per la creazione di un senso di unità, di nazione.

Per gli States, più che la Guerra di Indipendenza dal giogo britannico, questa scintilla vitale è stato il concetto di manifest destiny, passato da ideale ispiratore a vero e proprio dogma del sentiment nazionale. Osannato e onorato, questo cardine dell’identità nazionale americana è stato utilizzato come scusante in diversi momenti della storia americana, una salvifica giustificazione che è stata messa in discussione in una delle più intriganti serie a fumetti dell’ultimo decennio: Manifest Destiny.

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Pubblicato in terra americana da Skybound, in Italia Manifest Destiny è arrivata grazie a saldaPress, che ha raccolto il ciclo creato da Chris Dingess in otto volumi. Non dovrebbe stupire che sia stato l’editore emiliano a valorizzare Manifest Destiny, considerato come all’interno del catalogo di saldaPress siano presenti diversi titoli che indagano in modo evidente nella verità americane meno nota.

Da Undiscovered Country a Redneck, passando per American Monster e Dreaming Eagle, nomi come Ennis, Snyder o Chaykin hanno consentito a saldaPress di offrire un insolito spaccato della società americana, più graffiante e disilluso.

E Manifest Destiny si inserisce in questo percorso analitico come un ideale punto di partenza.

Manifest Destiny, l'origine violenta dello spirito americano

Manifest Destiny, nascita di una nazione

La dottrina del Destino Manifesto è stata spesso considerata come una perversa idealizzazione della necessitò espansionistica degli States degli albori. Da semplici colonie a nazione, con a disposizione un intero continente da conquistare, il concetto di manifest destiny si basava su una sorta di divina consacrazione allo slancio verso ovest, compreso l’annettere terre selvagge imponendosi sulle popolazioni locali. Una machiavellica miscela di razzismo, in cui essere anglosassone diventa una superiorità razziale, patriottismo romantico e sfruttamento di un territorio vergine, i cui slanci conditi di spirito di avventura sono divenuti le fondamenta della mentalità americana.

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Per quasi un secolo lo sviluppo della società americana si è fondata su questo caposaldo culturale, andando a creare una pericolosa predisposizione culturale alla supremazia americana rispetto al resto del mondo. Non sono mancati detrattori che hanno visto in questa semidivina concezione una sorta di auto-esaltazione mai pienamente riassorbita all’interno di una razionalità sociale, portando alla nascita di una hubris nazionale ancora oggi ben radicata nella società a stelle e strisce.

Una simile filosofia primigenia non poteva lasciare indifferenti autori intenzionati a muovere una critica alla propria società. Specialmente negli ultimi anni, quasi come moto reazionario all’ascesa di una mentalità conservatrice particolarmente velenosa, anche il modo del fumetto ha voluto offrire una propria disamina relativamente alla società americana. Dopo decenni in cui il medium fumetto ha scalfito il tessuto sociale americano metropolitano, con storie incentrate sulla caduta degli eroi (come Il Demone della Bottiglia) e puntando il dito contro pericolose forze razziste ( vedi Dio ama, l’uomo uccide), il mondo della nona arte si è discostato dal sicuro contesto supereroico per ritrarre un’America più concreta e astiosa.

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La libertà offerta da etichette più libere da certe impostazioni narrative ha consentito di vedere emergere una progressiva critica alla vera America. Tra chi ha immaginato un futuro distopico opprimente, come l’inquietante The Seed di Aya e Nocenti, a chi ha invece ritratto con piglio graffiante e caricaturale l’America di oggi, in primis Howard Chaykin, i comics hanno voluto scardinare una visione granitica dell’American Way per mettere alla berlina i mille vizi di una nazione che per troppo tempo ha mostrato solamente le sue virtù.

Se gran parte degli autori hanno voluto raccontare l’America di oggi o identificare degli States distopici futuri, come in Undiscovered Country, la scelta di Chris Dingess è andata in tutt’altra direzione, puntando direttamente alla nascita di una delle forze animatrici dello spirito nazionale americano.

Dingess entra nel novero di questo club esclusivo non guardando al presente della nazione, come fatto da altri autori, ma cercando nel passato, nelle origini stesse degli States le radici di alcuni aspetti della contemporaneità americana. Se appellarsi al principio del manifest destiny aiuta a comprendere la spinta primigenia della serie, non meno importante è l’aver scelto come cardine narrativo la celebre spedizione di Lewis e Clark, uno dei capisaldi dell’epica americana.

Il Corpo di Spedizione, esplorare l’ignoto

Nella mentalità americana, l’impresa di Lewis e Clark è divenuta una perfetta incarnazione dello spirito di conquista e di potenza della nazione. Presentata da sempre come un atto di coraggio e di conquista della frontiera, anticipando anche il mito del west, la traversata del continente compiuta dal Corpo di Spedizione si è spogliata della sua natura autentica, ossia il mappare territori promettenti e arrivare all’altro capo del continente, vestendo la maschera di impresa epica.

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Sfruttando l’acquisto della Louisiana francese, il presidente Jefferson incaricò Lewis e Clark, eroi nazionali, di raggiungere il territorio annesso e di proseguire la loro esplorazione sino alla costa pacifica, in territori ancora sotto la dominazione spagnola. La radice storica di Manifest Destiny si ferma proprio alla nascita e alla collocazione cronologica della missione, senza addentrarsi nella fedeltà pedissequa, che avrebbe anzi privato l’opera di Dingess della sua valenza allegorica.

La vera missione, almeno secondo la visione di Dingess, era utilizzare la nobile visione della spedizione di esplorazione per raggiungere, all’insaputa di tutti tranne i due comandanti della missione, un luogo segreto in cui entrare in contatto con Navath, antico demone. Scopo di questo incontro era il compiere un sacrifico umano per saziare la fame del demone, chiedendo in cambio la pace nel continente, fermando quindi gli scontri tra gli americani e gli indiani, in modo da garantire la supremazia degli States. A spingere il governo americano in questa follia era stato il ritrovamento di un teschio di grandi dimensioni e dalla morfologia disumana, che aveva spinto Jefferson a organizzare questa inquietante spedizione.

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Basandosi su questo principio, viene sviluppato l’intero arco narrativo di Manifest Destiny. Difficile non ammirare lo spirito con cui Dingess abbia voluto rielaborare un elemento centrale dell’identità nazionale americano privandola della sua aura di epicità, presentandolo in una visione più acida e venata di tinte orrorifiche.

Manifest Destiny non si limita a riscrivere il mito della spedizione di Lewis e Clark, ma lo investe di una sorta di palese ritrattistica di una società nascente già venata dalle pecche future. Al netto della segretezza con cui viene preservata la ragione autentica della missione, sin dai primi albi si percepisce una volontà da parte dell’autore di mettere alla berlina i vizi di una mentalità americana spesso edulcorata e resa più ideale.

L’iniziale contrapposizione tra Lewis e Clark illude il lettore di aver trovato in questi due personaggi la dualità evidente della storia. Tanto deciso e energico il primo, quanto riflessivo e aperto il secondo, questo duo nelle prime fasi della storia aiuta il lettore a percepire un diverso approccio emotivo. Gran parte delle situazioni sono risolte dalla loro guida, un ruolo che muta in modo evidente alla comparsa dell’apparente nemico di questo viaggio: le creature mostruose.

Durante la loro traversata del continente, la Spedizione incontra diverse creature, spesso ferine e violente, che sembrano volersi opporre all’avanzata dell’uomo bianco. Ad anticipare la loro venuta è la presenza di gigantesche arcate, che ben presto diventano per gli uomini e le donne della missione il monito di imminente sventura. E morte.

Soprattutto morte, considerato come l’approccio intrapreso sia sempre lo sterminio della minaccia. Non solo intesa come reazione a scopo difensivo, ma anche come azione preventiva, seguendo un ordine impartito nietemeno che dal Presidente: eliminare ogni minaccia. Una direttiva che spinge Lewis e Clark a vedere i propri uomini come pedine, sacrificabili in nome di un interesse superiore. Solo una vita deve esser protetta a ogni costo: quella della loro guida indiana Sacagawea.

La Storia ci insegna che questa donna indiana si sia rivelata essenziale nel guidare il Corpo di Spedizione alla scoperta del continente, ma in Manifest Destiny la sua importanza viene ulteriormente ampliata. Da semplice scout, Sacagawea viene resa madre di un bambino il cui ruolo è centrale per la buona riuscita dell’impresa. Dingess riveste la donna indiana di una forza d’animo adamantina, a tratti brutale, consapevole del suo ruolo. Sacagawea non è mai debole o remissiva, anzi conferma ad ogni occasione la propria identità e la sua accettazione del ruolo che le è stato dato. Persino la maternità, focalizzante nella caratterizzazione della sua figura nella seconda parte di Manifest Destiny, viene piegata alla sua disperata dedizione al compito affidatole.

Il suo ruolo di madre del Figlio della Guerra, il sacrificio designato per compiacere Navath, rende Sacagawea una figura incredibilmente vivida e graffianta. Laddove la sua determinazione sembra essere figlia di un’accettazione di un ruolo cucitole addosso dalla sua stessa gente, il progredire della storia ci consente di apprezzarne diverse sfumature. L’indiana non è una semplice appendice della storia della Spedizione, ma in Manifest Destiny diventa rapidamente il fulcro emotivo di un progressivo disvelarsi delle vere ragioni della missione.

Un viaggio che non si conclude raggiungendo la costa del Pacifico, ma che si concretizza pienamente solo nel ritorno dei sopravvissuti alla loro vita all’interno degli States. E dopo una simile esperienza, nulla potrà più essere come prima.

Perché leggere Manifest Destiny

Manifest Destiny non vuole esser un fumetto puramente didattico, ma cerca di mitigare la sua volontà critica mitigandola all’interno di una narrazione avventurosa dalle forti tinte orrorifiche. La sfida di esplorare l’ignoto, infatti, viene valorizzata con la presenza di minacce mostruose che sembrano scaturire dagli incubi stessi dei viaggiatori, non mancando di creare una contrapposizione crescente tra chi sia il vero mostro.

Difficile non rivedere in diverse occasioni una visione del monstrum in senso latino, ossia una creatura straordinaria, lontano dall’ordinario. Alcune creature sono concretamente letali, ma quasi sempre è lo slancio degli esploratori, animati da questa loro convinzione quasi divina di dover conquistare e annettere, a creare l’elemento di vero pericolo.

Emblematico il terzo volume, Chiroptera e Carniformaves, in cui la presenza di un popolo di volatili senzienti, i Fezron, viene prima visto come l’occasione di stabilire un contatto con una nuova specie, salvo poi essere la sublimazione della violenta espansione coloniale verso l’interno dell’America.

Nella mattanza dei Fezron, Dingess realizza un’allegoria della cieca violenza degli States nei confronti del mondo selvaggio che hanno sanguinosamente conquistato, un momento di grande efferatezza, scandita da tavole in cui l’eccidio viene vissuto con soddisfazione da alcuni dei membri più cupi della spedizione, ma patito con dolore da altri, tanto che Clark riporta nel suo diario una dichiarazione di bruciante consapevolezza:

Dovrei dire che ogni uomo si è comportato in maniera ‘ammirevole’, ma devo essere onesto..quello che abbiamo fatto stasera non potrebbe che disonorare quella parola.

All’interno della trama di Manifest Destiny, il terzo volume è il punto di non ritorno della spedizione. Lo sterminio della prima forma di vita senziente, desiderosa di accogliere nel proprio mondo questi strani visitatori, rappresenta l’accettazione consapevole di una missione sanguinaria, ipocritamente vissuta come una nobile avventura ma null’altro che una spietato sterminio.

A sostenere l’impianto narrativo di Dingess sono i disegnid i Matthew Roberts. La costruzione della tavola non è statica ma premia il dinamismo della storia, muovendosi agilmente tra un’impostazione tradizionale, con vignette separata in modo netto, ad altre in cui viene consentita maggior compenetrazione tra diversi elementi, enfatizzandone l’importanza.

Roberts privilegia una narrazione visiva di movimento, cercando di ritrarre i protagonisti sempre in pose quanto più vivide possibile, premiandone la vitalità con espressioni rivelatrici e lasciando emergere l’interiorità dei personaggi senza mezze misure. La cinetica delle scene più movimentate integra questa sua propensione, consentendo di avere una narrazione complessiva che alterna momenti riflessivi ad altri più adrenalici, senza spezzare il ritmo di lettura o renderlo asincrono.

Una concezione artistica che consente di utilizzare in modo accorto le didascalie, che diventano la voce dei protagonisti tramite i loro diari. Ognuno realizzato con una diversa grafica, vergato su carte differenti per sancire la diversità dell’interpretazione emotiva, questi estratti dai diari di viaggio rappresentano un modo perfetto per farsi portavoce dell’impatto degli eventi sui diversi attori di questa tragedia, ma soprattutto di mostrare la progressiva, inesorabile discesa verso il lato oscuro dell’umanità.

Tutti questi elementi, valorizzati dalla colorazione quasi pittorica di Owen Gieni, concorrono a rendere Manifest Destiny una lettura impagabile. Pur appoggiandosi a tratti fondanti della mentalità american, la saga di Dingess non si presta a essere fruibile a un lettore avvezzo alla cultura degli States, ma anzi cerca di rendere agevole un primo contatto con questa diversa civiltà.

L’ambientazione storica diventa al contempo contestualizzazione precisa e atmosfera avventurosa, in cui l’introduzione elementi orrorifici consente di mitigare la natura di critica favorendo anche una lettura che privilegi un ritratto umorale dell’umanità.

Come leggere Manifest Destiny

Nel nostro Paese, Manifest Destiny è stato pubblicato da saldaPress, in otto volumi brossurati. Il tipico formato della editrice emiliana si presta al meglio per dare pieno valore alle tavole di Roberts. 

Pur mancando dei comparti redazionali che diano maggior contestualizzazione sul piano storico,  la presenza di gallery che mostrano bozzetti e sketch rendono appassionante scoprire la nascita della visione di Manifest Destiny

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Flora e fauna. Manifest Destiny (Vol. 1)

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Amphibia & insecta. Manifest Destiny (Vol. 2)

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Chiroptera e carniformaves. Manifest destiny (Vol. 3)

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