Profondo rosso: spiegazione e curiosità sulla scena dello specchio

La chiave di lettura di un film che non vuole lasciarsi etichettare da un solo genere e che ha scritto la storia del cinema: ecco tutti i segreti di Profondo rosso e della scena dello specchio che l'ha reso un cult movie.

Autore: Chiara Poli ,

Proprio come L’esorcista, anche Profondo rosso per i fan del genere thriller e horror rappresenta un rito di passaggio.

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E come chiunque abbia visto L’esorcista non possa dimenticarne la prima visione, allo stesso modo vedendo Profondo rosso in compagnia si sarà sentito dire la stessa cosa, a pochi minuti dall’inizio del film: 

Hai già visto l’assassino.

E da quel momento, fino alla conclusione, sarà tutto un susseguirsi di ipotesi, tentativi di ricordare, idee per capire cosa può esserci sfuggito.

Certo: un conto era vedere la scena in VHS, con la definizione di allora. Un conto è rivederla oggi, con una qualità che di certo aiuta lo spettatore.

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In ogni caso, sì: l'assassino viene visto dal protagonista Marcus Daly (David Hemmings) poco dopo il brutale omicidio della medium Helga Ulmann (Macha Méril).

Visto, ma non registrato, non sul momento. La concitazione impedisce a Marcus di capire cos'ha visto. Lo ricorderà solo molto più tardi, nel maestoso finale del film.

Rivediamo - registriamo - il volto dell'assassino insieme a lui, nella premessa della scena finale.

Indizi e depistaggi sull'assassino

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Uscito nel 1975, scritto e diretto da Dario Argento, Profondo rosso è subito diventato un cult proprio grazie a quella scena. La scena dello specchio.

Una scena che chiunque abbia visto il film ricorda come la ricostruzione di un ricordo che porta Marcus faccia a faccia con l'insospettabile assassino, una strepitosa Clara Calamai.

A patto di non cogliere il viso della Calamai riflesso nello specchio nella sequenza qui sopra, tendiamo a credere che l'assassino sia un uomo. E a ragion veduta: le scene in cui si vedono le sue mani, coperte dai guanti neri, sono state "interpretate" dallo stesso Dario Argento, che ha prestato le proprie mani alla cinepresa per trarre in inganno il pubblico.

Legandosi inoltre alla spaventosa sequenza iniziale ambientata nel passato, con la musica infantile e il bambino che assiste a un omicidio, siamo portati a credere che l'assassino potesse essere il bambino stesso, oggi adulto, o magari il padre che nel passato aveva ucciso la madre (sentiamo gridare una donna).

Sulle note di School at Night (Lullaby Child Version), composta appositamente dai Goblin per la colonna sonora del film - che rappresenta anche il loro album più venduto - il passato torna a tormentarci e l'immagine di quel bambino ci spinge a ricercarlo nei personaggi del film.

Ma anche chi lo riconosce in Carlo (un giovanissimo Gabriele Lavia), ha ricondotto le uccisioni alla storia del bambino ma non ha ancora la soluzione del caso.

La spiegazione finale

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Tormentato dall'idea di aver sempre saputo chi fosse l'assassino, fin dal principio, Marcus torna sul luogo del delitto: la casa di Helga, la sua prima scena del crimine.

Mentre ripercorre i propri passi, cercando di ricostruire esattamente il modo in cui si era mosso quella sera, capisce di aver avuto ragione: sapeva. Aveva sempre saputo. Doveva solo ricordare...

Era soltanto uno specchio... Non c'è mai stato un quadro, qui. Quello che vedevo era solo un riflesso. Avevo visto la faccia dell'assassino.

Con queste parole, accompagnato dall'immagine che Marcus e noi tutti avevamo già visto all'inizio del film, il protagonista ricostruisce il puzzle.

Sì: il bambino della sequenza nel passato era Carlo. Ma l'assassino non è lui, lui è stato sempre e solo una vittima. L'assassino è sua madre, Marta, la donna che molti anni prima uccise il marito davanti agli occhi del figlioletto e che ora, per ricostruire quella follia omicida al fine di tenere segreta la propria identità, ha bisogno di riascoltare la canzoncina infantile che aveva fatto da colonna sonora alla sua follia molti anni prima.

Per la durata di tutto il film, mentre Marcus indaga sui delitti accanto alla giornalista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), la questione del quadro rimane fondamentale.

Non solo perché Marcus è convinto che in quell'angolo del corridoio ci fosse un dipinto che non ritrova - prima di capire che si trattava solo di uno specchio - ma anche perché la pittura (i disegni infantili, i murales nascosti e ritrovati, le scritte sui muri) fa da filo conduttore alla narrazione di Profondo rosso.

Rizzoli Film
Profondo rosso: il bambino nella sequenza del passato
Profondo rosso: il bambino protagonista della sequenza ambientata nel passato

Il segreto di un capolavoro

Considerato il capolavoro di Dario Argento, Profondo rosso venne girato in dieci settimane, a partire dal 9 settembre del 1974, per uscire nelle sale italiane il 7 marzo del 1975.

Come ha più volte raccontato lo stesso Argento, inizialmente la sceneggiatura era lunghissima: oltre 500 pagine. Dopo la sua lettura da parte del padre e del fratello, che suggerirono come il pubblico di allora non fosse pronto per un film così lungo, Dario la tagliò riducendola a 321 pagine.

L'idea dello specchio che rifletteva il volto del killer fin dalle prime scene era alla base della sceneggiatura, così come l'ossessione per i quadri e la pittura in generale. Non a caso, vent'anni dopo Dario Argento avrebbe diretto La sindrome di Stendhal, incentrata proprio sul potere evocativo dell'arte (e interpretato da Asia Argento, la figlia che il regista ebbe da Daria Nicolodi, protagonista femminile di Profondo rosso).

L'intero film venne costruito sulla storia del passato di Carlo e Marta che, molti anni dopo il suo primo omicidio, torna a uccidere per nascondere proprio il primo delitto.

A partire da questo presupposto, Profondo rosso venne scritto da Argento con due punti fermi: la prima parte della scena dello specchio e la seconda, ovvero l'epifania di Marcus che ricostruisce i propri ricordi.

Tutti i delitti che separano questi due momenti sono solo il modo per condurre Marcus dritto dritto a un finale che ha fatto la storia del cinema e che ha dimostrato agli spettatori dell'epoca come il cinema potesse ingannare anche i loro ricordi.

Molto prima della fede che cade alla fine de Il sesto senso, costringendoci a ricostruire in pochi istanti tutti i fatti narrati dal film nella nostra mente, la scena dello specchio di Profondo rosso aveva mostrato le potenzialità di un finale a sorpresa che, come tutti gli altri finali del genere, aveva già consegnato al pubblico la soluzione del mistero. Fin dall'inizio.

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