A Classic Horror Story: il finale del film Netflix e la sua spiegazione

Autore: Alessandro Zoppo ,

La natura citazionistica ed estrema di A Classic Horror Story, il nuovo film diretto da Roberto De Feo (il regista di #The Nest) e Paolo Strippoli, potrebbe far storcere il naso a qualcuno. E in parte è quello il suo obiettivo. Ma alla luce del suo finale intricato e pieno di colpi di scena, è di film simili che il cinema horror di oggi ha sempre più bisogno.

Vincitore del premio per la miglior regia al Taormina Film Festival e in streaming su Netflix dal 14 luglio, #A Classic Horror Story è un lavoro sorprendente che sfrutta topoi e omaggi per ribaltarli e destrutturare il genere, infilando nella sua conclusione un affilato, ironico e dissacratorio commento sociologico che lascia l'amaro in bocca.

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A Classic Horror Story A Classic Horror Story La giovane Elisa sta tornando a casa dalla famiglia per interrompere una gravidanza appena scoperta. Attraverso un'app di carpooling si unisce al camper di Fabrizio, studente di cinema, che già ... Apri scheda

Una storia "classica": trama e protagonisti del film

Prodotto da Colorado Film con la Rainbow di Iginio Straffi, A Classic Horror Story è un programmatico racconto di paura. Cinque persone si radunano tramite una app di car pooling per condividere un camper. I protagonisti del viaggio verso la Calabria sono figure tipiche del genere.

  • Elisa (Matilda Lutz) sta andando a trovare i genitori: è incinta e ha programmato un'interruzione di gravidanza controvoglia, su pressioni della madre che teme possa perdere il lavoro.
  • Riccardo (Peppino Mazzotta) è un medico misterioso tormentato da problemi famigliari.
  • Fabrizio (Francesco Russo) è un ragazzone calabrese vlogger, sfigato e aspirante regista, che studia cinema a Roma, sta tornando a casa per l'estate e documenta il "road trip" minuto per minuto.
  • Infine c'è la spensierata coppia mista Sofia (Yulia Sobol) e Mark (Will Merrick): lei designer ucraina di gioielli in 3D, lui inglese un po' idiota amante della birra e del divertimento.
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Quando Mark, al volante assonnato e mezzo sbronzo, schiva (con la complicità di Fabrizio) il cadavere di un caprone piazzato nel bel mezzo della strada e va a sbattere contro un albero, la classica storia d'orrore può cominciare. La via che stavano percorrendo non esiste più: il gruppo, con i cellulari che non hanno campo, si ritrova in un bosco fitto e oscuro immerso nel nulla (la location è la Foresta Umbra del Parco Nazionale del Gargano) e gira in loop in questa strana radura, dove spicca una casa maledetta (in via dei Matti numero zero, per citare la canzone di Sergio Endrigo in colonna sonora) in apparenza disabitata.

Quella baita di legno che pare una chiesa, con il tetto a punta, la vetrata romboidale e le pareti rosse, nasconde inquietanti presenze: un culto innominabile che nel Sud rurale e arcaico pratica sistematiche mattanze. I malcapitati incontrano Chiara (Alida Baldari Calabria), una bambina con la lingua mozzata e rinchiusa nella soffitta, in una "culla" di paglia e rami secchi, e sono trasformati in vittime sacrificali da questa malefica setta.

Dietro la congrega torturatrice e le loro terrificanti maschere lignee, si cela la venerazione dei "Tre Cavaleri d'anuri", una tradizione folkloristica locale. È la leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, una diceria popolare risalente al XV secolo: quella dei tre fratelli spagnoli della Garduña che hanno inventato le mafie. Secondo il mito, un protetto del re violentò la sorella di questi uomini, i quali decisero di uccidere lo stupratore per difendere l'onore di famiglia. Riconosciuti colpevoli e condannati a scontare la loro pena sull'isola di Favignana, i tre fratelli elaborarono un sistema di regole e leggi "di sangue e di guerra": tornati in libertà, lo esportarono in Sicilia, Calabria e Campania fondando Cosa Nostra, la 'Ndragheta e la Camorra. I loro moniti sono chiari: uno non vede, uno non sente e uno non parla. Le sevizie corrispondono a questi simboli: le vittime della congrega sono private di occhi, orecchie e lingua.

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Scoperte le carcasse delle auto di chi li ha preceduti, uno dopo l'altro cadono Mark, Sofia, Riccardo. E arriva il primo colpo di scena: Fabrizio afferra Elisa e la rinchiude dentro la casa.

Alida Baldari Calabria in una scena di A Classic Horror Story
Il sacrificio della piccola Chiara
   

Il finale e i suoi colpi di scena

Elisa capisce quel che sta accadendo: strappa l'apparecchio acustico a Fabrizio e scopre che il giovane filmmaker lo usava per ricevere istruzioni da qualcuno. Lo schema è ormai saltato: Mark, Sofia, Riccardo e Elisa erano le prede di Fabrizio e della congrega, radunata a pranzo (senza maschere) attorno a una tavolata imbandita.  

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La ragazza viene letteralmente inchiodata a una sedia, le mani trafitte come le stimmate di un santo. L'attonita gente del posto ascolta rapita un ragazzino deforme dedicare una canzone ai santi patroni Osso, Mastrosso e Carcagnosso. A capotavola c'è la Sindaca (Cristina Donadio): la donna, vestita completamente in rosso, rivela che la setta osanna i tre cavalieri d'onore – "i nuovi Freddy, Jason e Faccia di cuoio", dirà Fabrizio – per uno specifico tornaconto e per poter sopravvivere al mondo di oggi.

"La mafia non è più quella di una volta, ci dobbiamo adattare tutti quanti. Se non muori, come faccio a prendermi cura di loro?", le domanda prima di lasciarla, raggiunta da un agente della polizia locale. Ecco svelato il vero scopo del culto: quella gente pratica torture e uccisioni di passanti e viaggiatori per girare degli snuff movie, quei video che mostrano sevizie e morti reali per venderli in un lucroso mercato clandestino.

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Fabrizio è l'autentico regista di questo film nel film. Ha ripreso tutto perché è questo che fanno lì: "dei video mentre la gente muore". "Sono film horror", replica piccato ad Elisa che lo prende in giro perché il suo film fa schifo, è una scopiazzatura. È qui che A Classic Horror Story diventa una metafora sul cinema dell'orrore e sull'orrore della nostra società.

"In Italia nessuno vuole avere paura, poi accendi la televisione e ci sono solo morti, perché vi piace", rimprovera Fabrizio, ricordando "la studentessa che fa a pezzi la coinquilina" e "la mamma che soffoca il figlio". I riferimenti sono evidenti: la spettacolarizzazione della morte e la pornografia del dolore che hanno travolto l'omicidio di Meredith Kercher (la studentessa 22enne inglese sgozzata a Perugia la notte di Halloween del 2007) e il caso di Annamaria Franzoni, la donna condannata in Cassazione per aver ucciso il figlio di tre anni Samuele. Nella villetta di Cogne dove si è consumato il delitto, è sorto lo stesso turismo macabro che si è verificato ad Avetrana, a Erba, a Ferrazzano, al Circeo e in tanti altri luoghi d'Italia.

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La realtà è più raccapricciante della finzione. Siamo così abituati alla violenza che gli snuff del film sono diventati "i contenuti originali più richiesti". Perché il pubblico subisce il fascino del sensazionalismo, del true crime, dei serial killer? La cronaca nera e la sua morbosità sono il vero film horror.

Elisa a quel punto prende coscienza, si fa forza e si stacca dai chiodi, abbandonando la casetta in cui era stata rinchiusa e – come la Jen che Matilda Lutz ha intepretato in #Revenge – prendendosi la sua vendetta. Non prima del secondo colpo di scena: Chiara non è stata sacrificata al fuoco della setta. Fa anche lei parte della "troupe": è la sorella di Fabrizio e parla eccome. "La mamma è stata chiara: il cliente vuole che sia cosciente", dice al fratello riferendosi ad Elisa. Alla ragazza non resta altro da fare che rubare una maschera e un fucile, irrompere nel loro camper e fare fuori i due, mentre la camera continua a riprendere.

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"Ecco il vostro finale", ha promesso la protagonista agli spettatori.

Cosa succede a Elisa alla fine di A Classic Horror Story?

Elisa attraversa il bosco (si scopre che il set è una zona militare alla quale è vietato l'accesso) e finisce su una spiaggia, nello stupore generale. Il finale si ricollega al prologo grazie alle note del classico Il cielo in una stanza di Gino Paoli, la canzone che all'inizio del film fa da sottofondo alle torture praticate su una ragazza.

Finalmente c'è il segnale del cellulare, ma invece di richiamare la madre che l'ha tempestata di messaggi per ricordarle l'interruzione di gravidanza, Elisa molla il telefono sulla sabbia, entra in acqua e sprofonda sotto le onde, stringendosi le braccia attorno al ventre mentre il sangue delle sue ferite si riversa tutto intorno.

Elisa sopravvive? Non è dato saperlo. Probabilmente no, osservando come sono impegnati i bagnanti a riprendere la sua immersione in diretta con i loro smartphone senza muovere un dito per aiutarla.

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La scena durante i titoli di coda riassume il significato del film

Non è finita qui. Terzo e ultimo colpo di scena: il nero sfuma sul desktop di un pc dove è attiva la chat di una piattaforma streaming chiamata Bloodflix. È il servizio che ha pagato per lo snuff di Fabrizio e i suoi. Uno spettatore è seduto al computer e partecipa alla discussione: il moderatore chiede agli abbonati commenti sul film.

Le reazioni sono quasi tutte negative: "Ho chiuso dopo due minuti, noioso", "È la copia di altri film", "Elisa doveva crepare", "Se al prossimo non c'è più sangue cancello l'abbonamento". Immerso nel buio della sua cameretta, l'uomo al computer (l'utente "Samuel 19") posta un parere tranchant: "Noi italiani non siamo bravi a fare gli horror". Quando legge il commento di "Padan_666", ovvero "Il regista è italiano, va supportato", Samuel risponde: "Giusto Padan, lo guardo adesso".

Netflix
La scena finale del film A Classic Horror Story
Samuel 19 sta per mettersi a

"Samuel 19" accede alla piattaforma (l'icona è una cipolla di Tropea…) e comincia la visione di A Classic Horror Story ("nominato miglior film del dark web", si legge nelle note), ma dopo aver visto appena due scene (il saluto dei passeggeri e la morte di Fabrizio) spegne tutto perché la figlia lo chiama a tavola: la cena è pronta. E il giudizio? Pollice negativo.

La rivisitazione dell'horror e il cortocircuito meta-cinematografico sono compiuti. L'appendice di Bloodflix prende in giro i critici paludati perennemente insoddisfatti e gli spettatori sempre pronti a gridare al "già visto" e a giudicare un film dal trailer, da pochi secondi (magari mandati a 2x) o peggio ancora senza nemmeno averlo visto.

D'altra parte Francesco Russo, in un'intervista a Rolling Stone, ha rivelato di essersi spacciato per un esperto di film horror (quel che non è) al provino per la parte di Fabrizio e che nella sua vita ha guardato dall'inizio alla fine soltanto #Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci.

Il mio personaggio in A Classic Horror Story si sarebbe comportato proprio così.

La postilla di De Feo e Strippoli sottolinea come l'abuso di stilemi triti e ritriti abbia fatto perdere originalità al genere. Ma chi ha detto che l'horror in Italia non si può più fare? Quello che abbiamo appena visto è un'enciclopedia di premesse classiche e cliché dedicata a tutti quelli che "io i film italiani non li guardo". L'horror è il genere politico per eccellenza e specchio delle paure, quelle di cui si nutre Pennywise, come sottolinea Riccardo nel corso del film. Il vero mostro è l'espressione banale, lo stereotipo, la nostra sospensione dell'incredulità per alimentare il bisogno continuo d'intrattenimento. Nel mondo di oggi dominato dai social e dalle apparenze, uccide come la totale mancanza di empatia di quegli spiaggianti che hanno guardato Elisa annegare senza battere ciglio. 

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